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sabato 14 giugno 2025

Ritorno a Los Angeles

Le Tesi di Los Angeles,  di "EndNotes"

«In questa società, l'unità appare come qualcosa di accidentale, la separazione come normale.»
- Karl Marx, Teorie sul Plusvalore -

1) Viviamo in un'epoca di crisi sociale che dura ormai da molto tempo, e che è fondamentalmente la crisi delle società organizzate in maniera capitalistica. Infatti, le relazioni di occupazione, che nelle società capitalistiche governano la produzione e il consumo, si stanno dissolvendo. Il risultato è stato quello della ricomparsa di una condizione strutturale che Marx ha definito come «capitale in eccesso insieme a popolazione in eccesso». Nonostante la stagnazione economica, continuano a verificarsi trasformazioni tecnologiche che danno origine a una situazione in cui ci sono troppo pochi posti di lavoro, a fronte di troppe persone. Nel frattempo, enormi riserve di denaro setacciano il pianeta alla ricerca di profitti, e portano a periodiche espansioni di bolle che poi esplodono massicciamente. L'aumento dell'insicurezza lavorativa e della disuguaglianza sono i sintomi della crescente impossibilità di questo mondo in quanto tale.

2) Attualmente, queste contraddizioni, che fin dal principio sono sempre state contenute nelle società capitalistiche, si trovano sul punto di esplodere. La crisi del 2008 ne è stata una manifestazione, dando luogo a un'ondata globale di lotte che oggi sono ancora in corso. Per cercare di ottenere un qualche controllo su una crisi in continua ebollizione, gli Stati hanno organizzato dei salvataggi coordinati delle società finanziarie e di altre imprese. Il debito statale è cresciuto fino a raggiungere dei livelli che non si erano mai visti, dalla seconda guerra mondiale. I salvataggi dei capitalisti dovevano pertanto essere accompagnati da un'austerità punitiva per i lavoratori, visto che gli Stati cercavano di gestire i propri bilanci, ma anche di ricreare anche le condizioni per l'accumulazione. Tuttavia queste azioni statali sono state coronate dal successo solo in parte. Le economie più ricche continuano a crescere sempre più lentamente, sebbene assorbano enormi quantità di debito a tutti i livelli. Le economie più povere vacillano. Chiamiamo questa situazione globale "The Holding Pattern" ("La Struttura che aspetta") e prevediamo che ci saranno ulteriori turbolenze economiche che rischiano di portare a un crollo del capitalismo.

3) Nel 20° secolo, i lavoratori hanno combattuto della battaglie difensive, come fanno ancora oggi. Ma allora, le loro battaglie difensive erano parte di una lotta offensiva: i lavoratori cercavano di organizzarsi un un movimento operaio, che stava crescendo, sempre più potente. Questo movimento, presto o tardi avrebbe dovuto espropriare gli espropriatori, in modo da poter così cominciare a costruire una società organizzata secondo i bisogni e i desideri dei lavoratori stessi.

4) Tuttavia, la crisi del capitalismo successiva agli anni 1970 - che secondo molti avrebbe sancito la sua fine -  è sfociata anche in una profonda crisi dello stesso movimento operaio. Il suo progetto non era più adeguato alle condizioni con le quali i lavoratori si dovevano confrontare. E, cosa più fondamentale, ciò è stata la causa del declino della centralità del lavoro industriale, rispetto all'economia. Con l'inizio della deindustrializzazione e con il declino del numero dei posti di lavoro nella manifattura (che era stata una delle cause fondamentali dell'espansione della popolazione in eccesso), il lavoratore industriale non poteva più essere visto come la punta di diamante della classe. Inoltre, a causa dell'aumento crescente dei livelli di gas serra, appariva evidente che il vasto apparato industriale non solo creava le condizioni per un futuro migliore; ma anche le distruggeva. E cosa più importante di tutte era che per sempre più persone il lavoro stesso non veniva più vissuto come centrale ai fini della loro identità. Per la maggior parte delle persone (sebbene non per tutte), non sembrava più che il lavoro, qualora fosse stato gestito collettivamente dai lavoratori, piuttosto che dai padroni, avrebbe potuto diventare soddisfacente.

5) Simultaneamente, il declino dell'identità operaia faceva venire alla luce tutta una molteplicità di altre identità, le quali ora si organizzavano in relazione a delle lotte che fino ad allora erano state più o meno represse. I "nuovi movimenti sociali" che ne risultavano, mostravano chiaramente, in retrospettiva, fino a che punto l'omogenea classe operaia fosse attualmente diversificata in quello che era il suo carattere. Veniva così anche stabilito che la rivoluzione avrebbe dovuto implicare ben più della riorganizzazione dell'economia: l'abolizione delle distinzioni di genere, di razza e nazionali, e così via. Ma nel marasma delle identità emergenti - ciascuna con i propri interessi settoriali -  non è affatto chiaro che cosa esattamente dovrebbe essere la rivoluzione. Per noi, la popolazione in eccedenza non costituisce un nuovo soggetto rivoluzionario, ma piuttosto denota una situazione strutturale nella quale nessuna frazione di classe può presentarsi come se fosse Il Soggetto Rivoluzionario.

6) In simili condizioni, l'unificazione del proletariato non è più possibile. Questa potrebbe sembrare una conclusione pessimistica, per converso contiene tuttavia un'implicazione ottimista: oggi il problema dell'unificazione è un problema rivoluzionario. Al punto più alto dei movimenti contemporanei - nelle piazze e nelle fabbriche occupate, negli scioperi, nelle rivolte e nelle assemblee popolari - quello che i proletari scoprono non è il loro potere in quanto produttori reali di questa società, bensì essi scoprono, piuttosto, la loro stessa propria separazione lungo una molteplicità di linee di identità (status occupazionale, genere, razza, ecc.). Tutte queste linee di identità sono contrassegnate e intessute insieme a partire dall'integrazione disintegrata di Stati e di Mercati del Lavoro. Noi descriviamo questo problema come un "problema di composizione": diverse frazioni proletarie devono unificarsi, ma esse non trovano un'unità bell'e pronta nei termini di questa società in disfacimento.

7) È questo il motivo per cui pensiamo che sia così importante studiare in dettaglio lo svolgimento delle lotte. È solo in queste lotte che viene a essere delineato l'orizzonte rivoluzionario del presente. Nel corso delle loro lotte, i proletari improvvisano periodicamente delle soluzioni al problema della composizione. Denominano un'unità fittizia, che va ben oltre i termini di una società capitalistica (più recentemente: il black bloc, la democrazia reale, il 99%, il movimento per la vita dei neri, ecc.); in quanto mezzi di lotta contro tale società. Mentre ciascuna di queste unità improvvisate, una dopo l'altra, inevitabilmente collassa, la mappa complessiva dei loro fallimenti traccia quali sono, via via, le separazioni che avrebbero dovuto essere superate da un movimento comunista nel corso del tumulto caotico di una rivoluzione contro il capitale.

8) E si tratta di questo, quando diciamo che la coscienza di classe, oggi, può essere solamente coscienza del capitale. Nella lotta per la loro vita, i proletari devono distruggere ciò che li separa. Nel capitalismo, ciò che li separa è allo stesso tempo anche ciò che li unisce: il mercato costituisce tanto la loro atomizzazione quanto la loro interdipendenza. Ed è la coscienza del capitale, dal momento che essa rappresenta la nostra-unità-nella-separazione, a consentirci di porre -  a partire dalle condizioni esistenti, seppure soltanto come se si trattasse di un negativo fotografico - la capacità umana di comunismo.

- Endnotes - Los Angeles, Dicembre 2015 -

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