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lunedì 9 giugno 2025

Le tappe del fallimento…

Dal Bandoung al fallimento delle speranze:
I «Miti rivoluzionari del Terzo Mondo», di Gérard Chaliand
di Bernard Cassen
 

Un libro coraggioso, che è assai più di un'analisi rigorosa, scritto da uno dei migliori specialisti francesi del "Terzo Mondo" (a proposito del quale, l'autore rifiuta giustamente il valore scientifico di un simile termine onnicomprensivo) (*1). Per Gérard Chaliand, che è stato amico di "Che" Guevara, di Ben Bella, di Sekou Touré e di Amilcar Cabral (a cui dedica il suo libro), bisogna fare un bilancio, nel quale coinvolge anche sé stesso, di tutto ciò che ha costituito il fallimento del "terzomondismo". Ciò che Chaliand definisce come "l'euforia terzomondista", ha avuto iniziò poco prima della fine degli anni '50, con la "Conferenza di Bandoung" (1955), e della quale la guerra d'Algeria e la vittoria dei guerriglieri a Cuba, ne costituiscono l'inizio. "Che" Guevara, Fanon, Régis Debray (quello della "Rivoluzione nella Rivoluzione") ne sono stati i profeti. Il suo mito più tenace era allora  quello della Rivoluzione Tri-continentale: vale a dire, l'esaltazione della lotta armata in quanto tale, e poi, negli ultimi anni, per l'ultrasinistra europea, l'ingenua fede nella potenzialità di essere un'avanguardia rivoluzionaria, costituita dai lavoratori immigrati.

   Gérard Chaliand riconosce di aver creduto in questo mito, e di aver contribuito alla sua diffusione. Ed è proprio perché ne ha misurato tanto la vanità quanto, soprattutto, la nocività, egli i sente autorizzato a dire alcune verità che, nella penna di altri autori che non hanno avuto il suo passato antimperialista, oggi potrebbero addirittura essere scambiate per una provocazione. Ci vuole una certa dose di coraggio per infrangere i miti del continentalismo latinoamericano e della nazione araba, per denunciare il costo terribilmente alto, in termini di vite umane, dovuto nel mondo alla guerriglia iberoamericana, e a fattori negativi come il machismo, l'incapacità di mantenere i segreti e il verbalismo; e poter dire così con franchezza ai palestinesi che i loro errori di analisi e di strategia - dovuti in gran parte a un'incomprensione fondamentale dell'Occidente, fanno sì che essi possano sperare solamente - nella migliore delle ipotesi - in uno «Stato palestinese sulla riva occidentale del Giordano, concesso loro da tutte le parti in causa, compresa la Giordania». Così come avveniva per certi studenti africani rivoluzionari, nelle loro stanze a Parigi, per i quali, del proprio paese, «il più piccolo negoziante o autotrasportatore locale ne sa di più» di quanto ne sappiano loro del proprio Paese.

   Dopo aver tracciato, in una cinquantina di pagine, una notevole sintesi di quali fossero le dimensioni del sottosviluppo, l'autore affronta la questione della lotta armata, parlando dei suoi fallimenti e di alcuni dei suoi rari successi: il P.A.I.G.C. in Guinea-Bissau, l'F.N.L. nel Vietnam del Sud. E mostra in che modo, tanto il successo quanto il fallimento della guerriglia, sia stato in realtà dovuto all'identificazione, o alla non identificazione, con i valori nazionali, alla resistenza al nemico straniero, e in che modo, a tal riguardo, il caso cubano sia stato assai specifico. Nel libro, ci ricorda anche – a partire dagli esempi del Vietnam, della Cina e della Corea – in che modo il successo di una rivoluzione progressista sia dovuto alla coniugazione tra obiettivi nazionali, un'ideologia rivoluzionaria modernizzatrice e a una tradizione che non sia ostile ai primi due fattori. Questo "spessore" presente in ogni tradizione locale o nazionale, volontariamente ignorato, se non addirittura negato dagli strateghi trans-nazionali, non può essere trascurato. Per comprendere appieno la straordinaria capacità di resistenza del popolo vietnamita, è necessario tener conto della tenuta di lunga durata della solidarietà nei villaggi, nel suo essere legata alle istituzioni comunali; così come l'abitudine millenaria al lavoro collettivo, radicato in dei contadini ingegnosi e meticolosi. In tutto questo, viene ben evidenziato e sottolineato, nel consolidamento rivoluzionario, Il ruolo eminente svolto dal mantenimento della lingua e dall'identità nazionale nel consolidamento rivoluzionario è ben sottolineato. L'autore contrappone alcuni regimi africani - i cui leader, essi stessi de-culturalizzati e spesso corrotti, cercano di trincerarsi dietro un culto del “ritorno alle radici” o della “autenticità” per poter meglio mascherare le proprie mancanze - alle società vietnamite e cinesi, le quali «non avendo subito una profonda deculturazione, come accaduto agli arabi, e aiutate dalla tradizione confuciana, hanno avuto assai meno difficoltà a rompere con un certo passato legato alle tradizioni religiose e culturali, nella misura in cui non hanno mai temuto di perdere sé stesse».

   Le conclusioni a cui arriva Gérard Chaliand, non sono esattamente ottimistiche: il Terzo Mondo appare essere relativamente impoverito, e talvolta lo è in modo assoluto; in alcune aree, le malattie endemiche e la malnutrizione causano degenerazioni fisiche e mentali irreversibili. Di fronte a una realtà così cupa, troviamo sempre più delle «autocrazie spesso sanguinarie, se non grottesche», dove vediamo invece delle società ed élite che «attingono al proprio patrimonio socio-culturale e sono determinate a superare le difficoltà». Naturalmente, come dice l'autore nella sua prefazione, è facile raccontarsi storie, ma questo non cambia però il corso della storia. "I Miti rivoluzionari del Terzo Mondo" è un libro salutare. Quanti combattenti coraggiosi sono morti per niente, proprio a causa del volontarismo di teorici o di leader tagliati completamente fuori dalla realtà? La vera solidarietà con il Terzo Mondo esige franchezza, richiede un'analisi dei difetti, e non la mitizzazione degli atteggiamenti, che sono sempre semplicemente delle pose grazie alle quali l'intellettuale europeo regola in realtà quelli che sono i suoi conti con la propria cattiva coscienza. A questo proposito, il libro di Gérard Chaliand rimane un contributo di primaria importanza, oltre a rappresentare un dialogo nuovo e impenitente tra i progressisti del mondo capitalista industrializzato e il Terzo Mondo.

Bernard Cassen - Pubblicato nel mesi di aprile del 1976 su Le Monde diplomatique


(1) , Gérard Chaliand : Mythes révolutionnaires du Tiers monde, Guérillas et socialisme, Le Seuil, Paris, 1976, 272 pages, 35 F.

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