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sabato 7 giugno 2025

il proletariato più debole, più disorientato, meno autonomo e meno indipendente di tutta la storia del capitalismo ….

Radiografia del capitalismo armato
- di Maurizio Lazzarato -

«Non importa quanto grande possa essere una nazione, se essa ama la guerra, allora perirà;
Non importa quanto sia pacifico il mondo, se dimentica la guerra, sarà in pericolo.
»
- Wu Zi, da un antico trattato militare cinese -

«Quando si parla di sistema bellico, ci si riferisce a un sistema come quello attuale, il quale assume la guerra - anche se solo pianificata e non combattuta - come la base e l'apice dell'ordine politico, vale a dire, del rapporto tra i popoli, e tra gli uomini. Un sistema dove la guerra non è un evento, bensì un'istituzione; non una crisi, ma una funzione; non una rottura, ma piuttosto una pietra angolare del sistema: una guerra sempre obsoleta ed esorcizzata, ma mai abbandonata in quanto possibilità reale.» - Claudio Napoleoni, 1986 -

   L'ascesa di Trump è apocalittica, nel senso letterale del termine: serve a rivelare ciò che è nascosto, a togliere il velo, a svelare. La sua agitazione convulsa ha il grande merito di esporre la natura del capitalismo, mostrare il rapporto tra guerra, politica e profitto, tra capitale e Stato; di solito coperto dalla democrazia, dai diritti umani, dai valori e dalla missione della civiltà occidentale. Al centro della narrazione costruita per legittimare gli 840 miliardi di euro di riarmo che l'Unione Europea impone agli Stati membri, attraverso lo stato di eccezione, troviamo la medesima ipocrisia. Armarsi non significa - come dice Draghi - difendere «i valori che hanno fondato la nostra società europea» e che «hanno garantito ai suoi cittadini pace, solidarietà e - con l'alleato degli Stati Uniti - sicurezza, sovranità e indipendenza per decenni»; ma significa piuttosto salvare il capitalismo finanziario. Non occorrono nemmeno grandi discorsi, o analisi dettagliate, per smascherare la povertà di queste narrazioni: per rivelare la verità delle chiacchiere indecenti sull'unicità e la supremazia morale e culturale dell'Occidente, è bastato un altro massacro di 400 civili palestinesi. Trump non è un pacifista; egli si limita a riconoscere la sconfitta strategica della NATO nella guerra in Ucraina, nel mentre che invece le élite europee ne rifiutano l'evidenza. Per loro, la pace significherebbe tornare allo stato catastrofico nel quale hanno ridotto le loro nazioni. La guerra deve continuare perché, per loro – così come per i democratici e per lo Stato profondo degli Stati Uniti – è la via d'uscita dalla crisi iniziata nel 2008, allo stesso modo in cui già accadde con la grande crisi del 1929 . Trump intende risolvere la questione privilegiando l'economia, senza però rinunciare alla violenza, al ricatto, all'intimidazione e alla guerra. E' molto probabile che né lui né gli altri riusciranno nel tentativo, poiché si trovano di fronte a un problema enorme: il capitalismo - nella sua forma finanziaria -  è in profonda crisi, e proprio dal suo centro, gli Stati Uniti, arrivano dei segnali "drammatici" per le élite che ci governano. Anziché convergere verso gli Stati Uniti, il capitale fugge verso l'Europa. SI tratta di grandi notizie, sintomo di rotture imprevedibili, che rischiano di essere catastrofiche.
Il capitale finanziario non produce merci, ma delle bolle che si gonfiano tutte quante negli USA, e che poi scoppiano a danno di tutto il resto del mondo, rivelandosi delle vere e proprie armi di distruzione di massa. Il sistema finanziario statunitense cattura valore (capitale) prelevandolo da tutto il mondo, e lo investe in una bolla che prima o poi scoppierà, costringendo così i popoli del pianeta all'austerità e al sacrificio, per poter pagare i loro fallimenti: prima è stata la bolla di internet, e poi la bolla dei subprime, che ha causato una delle più grandi crisi finanziarie nella storia del capitalismo, aprendo così la porta alla guerra. Hanno anche provato con la bolla del capitalismo verde, la quale però non è mai decollata, e, con l'ultima, la bolla incomparabilmente più grande delle aziende high-tech. Per tappare i buchi dei disastri del debito privato, trasferito al debito pubblico, la Federal Reserve e le banche europee hanno inondato i mercati di una liquidità che, invece di "riversarsi" nell'economia reale, è servita ad alimentare la bolla dell'alta tecnologia, e lo sviluppo di tutti quei fondi di investimento noti come Big Three, Vanguard, BlackRock e State Street (il più grande monopolio della storia del capitalismo, che gestisce 50 trilioni di dollari, ed è azionista di maggioranza delle più grandi società quotate). Ora, anche quella bolla sta appassendo. Anche se dimezziamo l'intera capitalizzazione della Borsa di Wall Street, rimaniamo ancora assai lontani dal valore reale delle aziende high-tech, le cui azioni sono state gonfiate dai loro stessi fondi al fine di mantenere alti i dividendi dei loro "risparmiatori" (i democratici avevano addirittura previsto di sostituire il welfare con "la finanza per tutti", così come in precedenza avevano parlato della "casa per tutti gli americani"). Ora, il divertimento volge al termine. La bolla ha raggiunto il proprio limite, e i valori scendono, con il rischio reale di un collasso. Se a questo aggiungiamo l'incertezza che le politiche di Trump – che rappresentano finanze diverse da quelle dei fondi di investimento – introducono in un sistema che erano riuscite a stabilizzare con l'aiuto dei democratici, capiamo la paura dei "mercati". Il capitalismo occidentale ha bisogno di un'altra bolla, poiché non conosce altro se non la riproduzione della solita stessa vecchia bolla (il tentativo trumpiano di ricostruire l'industria manifatturiera negli Stati Uniti, è destinato a fallire).

L'identità perfetta tra "produzione" e distruzione
L'Europa, che spende già più del 60% di quanto spenda la Russia per gli armamenti (la NATO rappresenta il 55% della spesa militare mondiale; la Russia il 5%), ora ha deciso di fare un importante piano di investimenti, da 800 miliardi di euro, per continuare ad aumentare la spesa militare. La guerra e l'Europa – dove le reti politiche ed economiche, che sono centri di potere legati alla strategia rappresentata da Biden, sconfitto alle ultime presidenziali, sono ancora attive – rappresentano l'occasione per poter costruire una bolla basata sugli armamenti, compensando in tal modo le crescenti difficoltà dei "mercati" statunitensi. Da dicembre, le azioni delle società di armamenti sono state oggetto di speculazione, aumentando incessantemente e fungendo da rifugio sicuro per quei capitali che vedono come troppo rischiosa la situazione degli Stati Uniti. Al centro di questa operazione ci sono i fondi di investimento, i quali sono anche tra i principali azionisti delle grandi aziende di armamenti. Detengono partecipazioni significative in Boeing, Lockheed Martin e RTX, influenzando la gestione e le strategie di queste società. Anche in Europa sono presenti nel complesso militare-industriale: Rheinmetall, l'azienda tedesca che produce carri armati Leopard, e che ha visto il prezzo delle sue azioni salire del 100% negli ultimi mesi, ha come principali azionisti BlackRock, Société Générale, Vanguard, ecc. Rheinmetall, il più grande produttore di munizioni in Europa, ha superato il più grande produttore di automobili del continente (per capitalizzazione), la Volkswagen: l'ultimo segnale del crescente interesse degli investitori per i titoli legati alla difesa. L'Unione Europea vuole catturare e incanalare i risparmi continentali indirizzandoli sugli armamenti, con conseguenze catastrofiche per il proletariato, e con una maggiore divisione dell'Unione Europea. La corsa agli armamenti non funzionerà come "keynesismo di guerra"; questo perché gli investimenti in armi avvengono in un'economia finanziarizzata, e non più industriale. Costruito con denaro pubblico, andrà a beneficio di una piccola minoranza di privati, peggiorando le condizioni della stragrande maggioranza della popolazione. La bolla delle armi, può produrre solo gli stessi effetti della bolla delle aziende high-tech americane. Dopo il 2008, le somme di denaro raccolte per gli investimenti nella bolla dell'alta tecnologia, non sono mai state "versate" al proletariato statunitense. Al contrario, hanno prodotto una crescente deindustrializzazione, insieme a posti di lavoro precari e poco qualificati, bassi salari, povertà dilagante, e la distruzione dello scarso Welfare ereditato dal New Deal. Insieme alla conseguente privatizzazione di tutti i servizi. Ed è questo ciò che la bolla finanziaria europea produrrà senza dubbio anche in Europa. La finanziarizzazione porterà non solo alla completa distruzione dello stato sociale e alla privatizzazione radicale dei servizi, ma anche a un'ulteriore frammentazione politica di ciò che resta dell'Unione europea. I debiti, contratti separatamente da ogni Stato, dovranno essere ripagati, e ci saranno enormi differenze tra i diversi Stati europei per quanto riguarda la loro capacità di onorare i debiti contratti. Il vero pericolo non sono i russi, ma i tedeschi, con il loro riarmo di 500 miliardi di euro, oltre ad altri 500 miliardi per le infrastrutture; un finanziamento decisivo nella costruzione della bolla. L'ultima volta che si sono armati, sono stati combinati dei veri e propri disastri mondiali (25 milioni di morti nella sola Russia sovietica, la soluzione finale, ecc.), e da ciò è nata la famosa dichiarazione di François Mauriac: «Mi piace così tanto la Germania, che sono contento che ce ne siano due». In attesa degli sviluppi del nazionalismo e dell'estrema destra, già al 21%, che inevitabilmente produrranno, a quanto pare abbiamo il "Deutschland ist zurück" [La Germania è tornata], e la Germania imporrà la sua consueta egemonia imperialista sugli altri paesi europei. I tedeschi abbandoneranno rapidamente il credo ordoliberale – che non aveva alcuna base economica, ma solo politica – e abbracceranno radicalmente la finanziarizzazione anglo-americana, con il solito obiettivo: dominare e sfruttare l'Europa. Il Financial Times parla di una decisione presa da Friedrich Merz, l'uomo di BlackRock, e da Jörg Kukies, il ministro del Tesoro, uomo di Goldman Sachs, con l'appoggio dei partiti di "sinistra" SPD e Die Linke i quali, così come i loro predecessori nel 1914, si assumeranno ancora una volta la responsabilità dell'imminente carneficina. Di tutto questo - che per ora è ancora solo un progetto, soltanto i finanziamenti tedeschi sembrano avere una certa credibilità. Per quanto riguarda gli altri Stati, vedremo chi avrà il coraggio di tagliare le pensioni, la sanità, l'istruzione, ecc. e in modo ancora più radicale, a causa di una minaccia inventata. La Germania è l'unico paese europeo in grado di effettuare la conversione da industria civile a militare. La sua egemonia sull'Europa non sarà più solo economica. Se il precedente imperialismo interno tedesco si basava sull'austerità, sul mercantilismo delle esportazioni, sul congelamento dei salari e sulla distruzione dello Stato sociale, questo si baserà invece sulla gestione di un'economia di guerra europea gerarchizzata da dei tassi di interesse differenziali, da pagare per ripagare il debito contratto. I paesi che sono già fortemente indebitati (Italia, Francia, ecc.) dovranno trovare qualcuno che compri i loro titoli emessi, in modo da poter così pagare i loro debiti in un "mercato" europeo sempre più competitivo. Gli investitori saranno più propensi ad acquistare obbligazioni tedesche, vale a dire, obbligazioni emesse da società di armamenti – bersaglio di una crescente speculazione – e titoli di Stato europei, i quali sono senza dubbio più sicuri e più redditizi di quelli dei paesi sovra-indebitati. La famosa crema spalmabile continuerà pertanto a svolgere il suo ruolo, come ha fatto nel 2011. I miliardi necessari per pagare i mercati, non saranno disponibili per lo stato sociale. E così l'obiettivo strategico di tutti i governi e di tutte le oligarchie di questi ultimi cinquant'anni – ovvero, la distruzione della spesa sociale per la riproduzione del proletariato, e la sua privatizzazione – verrà raggiunto. Ventisette egoismi nazionali si combatteranno senza nulla in palio, dal momento che la storia, che «siamo gli unici a sapere di che cosa si tratta», ci ha messo all'angolo, rendendoci inutili e irrilevanti, dopo secoli di colonialismo, guerre e genocidi. La corsa agli armamenti è accompagnata da un'insistente giustificazione che recita che «siamo in guerra» contro tutto il mondo (Russia, Cina, Corea del Nord, Iran, BRICS), la quale non può essere trascurata, poiché corre il rischio di materializzarsi, poiché questa delirante quantità di armi deve ancora essere "consumata".

La lezione di Rosa Luxemburg, Kalecki, Baran e Sweezy
Solo gli ingenui possono essere sorpresi da quello che sta accadendo. Tutto si ripete, solo che ora lo fa all'interno di un capitalismo finanziario; e non più industriale, com'era nel XX secolo. La guerra e gli armamenti sono stati al centro dell'economia e della politica fin da quando il capitalismo è diventato imperialista. E ora sono anche al centro del processo di riproduzione del capitale e del proletariato, in feroce competizione tra loro Ricostruiamo rapidamente il quadro teorico fornito da Rosa Luxemburg, Kalecki, Baran e Sweezy – un quadro ancora saldamente ancorato (in contrasto con le inutili teorie critiche contemporanee) alle categorie dell'imperialismo, del monopolio e della guerra – e che ci offre uno specchio per guardare la situazione contemporanea. Partiamo dalla crisi del 1929, che affondava le sue radici nella Prima Guerra Mondiale e nel tentativo di uscirne attivando la spesa pubblica per mezzo dell'intervento statale. Secondo Baran e Sweezy (d'ora in poi, B&S), negli anni '30, il problema con la spesa pubblica era quello del suo volume, il quale non era in grado di neutralizzare le forze depressive dell'economia privata. Visto come un'operazione di salvataggio per l'economia americana nel suo complesso, il New Deal è stato pertanto un clamoroso fallimento. Persino Galbraith - il profeta della prosperità senza acquisti di guerra - riconobbe che negli anni '30 e '40 la grande crisi non era mai finita. Se ne uscirà solo con la seconda guerra mondiale: «Presto venne la guerra, e con la guerra la salvezza (...) la spesa militare ha fatto ciò che la spesa sociale non era stata in grado di fare», mentre la spesa pubblica è balzata da 17,5 miliardi di dollari a 103,1 miliardi di dollari. Le B&S dimostrano che la spesa pubblica non ha prodotto gli stessi risultati della spesa militare, poiché essa è stata vincolata da un problema politico che continua ancora a essere il nostro. E questo perché il New Deal e le sue spese non hanno raggiunto un obiettivo che era «a portata di mano, come la guerra ha dimostrato in seguito»? «Perché, sulla natura e sulla composizione della spesa pubblica, cioè sulla riproduzione del sistema e del proletariato, si era scatenata la lotta di classe. Data la struttura di potere del capitalismo monopolistico degli Stati Uniti, l'aumento della spesa civile aveva quasi raggiunto i propri limiti estremi. Le forze che si opponevano a un'ulteriore espansione erano troppo potenti per essere sconfitte». La spesa sociale ha fatto concorrenza o danneggiato le corporazioni e le oligarchie, strappando loro il potere economico e politico. «Poiché gli interessi privati controllano il potere politico, i limiti della spesa pubblica sono fissati rigidamente, senza preoccuparsi dei bisogni sociali, per quanto vergognosamente evidenti possano essere». E questi limiti valevano anche per la sanità e per l'istruzione, che all'epoca, a differenza di oggi, non competevano direttamente con gli interessi privati delle oligarchie. La corsa agli armamenti consentì di aumentare la spesa pubblica dello Stato, senza che questa si trasformi in un aumento dei salari e dei consumi del proletariato. Come si può spendere il denaro pubblico, per evitare la depressione economica provocata dal monopolio, senza allo stesso tempo rafforzare il proletariato? «Con gli armamenti, con gli armamenti, e con gli armamenti sempre più». Michael Kalecki, lavorando sullo stesso periodo, ma nella Germania nazista, riesce a chiarire altri aspetti del problema. Contro ogni economicismo che sempre minaccia la comprensione del capitalismo – anche da parte delle teorie critiche marxiste – egli evidenzia la natura politica del ciclo del capitale: «La disciplina nelle fabbriche e la stabilità politica, per i capitalisti sono più importanti dei profitti immediati». Il ciclo politico del capitale, che ora può essere garantito solo dall'intervento statale, deve ricorrere alla spesa per gli armamenti e al fascismo. Per Kalecki, il problema politico si manifesta anche nella «direzione e negli scopi della spesa pubblica». L'avversione al «sussidio al consumo di massa», viene motivata dalla distruzione che esso provoca «nelle fondamenta stesse dell'etica capitalistica: "ti guadagnerai il pane con il sudore della tua fronte" (a meno che tu non viva con le rendite del capitale)». Come evitare che la spesa pubblica si trasformi in un aumento dell'occupazione, dei consumi e dei salari, e quindi divenga forza politica del proletariato? Per le oligarchie, l'inconveniente si supera con il fascismo, in modo che così la macchina statale passi sotto il controllo del grande capitale e della direzione fascista, per mezzo del«la concentrazione della spesa statale negli armamenti», mentre «la disciplina di fabbrica e la stabilità politica vengono garantite per mezzo dello scioglimento dei sindacati e grazie ai campi di concentramento. La pressione politica sostituisce la pressione economica esercitata dalla disoccupazione». Da qui l'immenso successo dei nazisti tra la maggior parte dei liberali britannici e americani. La guerra e le spese per gli armamenti, occupano un posto centrale nella politica americana, anche dopo la fine della seconda guerra mondiale, questo perché è inconcepibile una struttura politica senza forza armata, cioè senza il monopolio del suo esercizio. Il volume dell'apparato militare di una nazione dipende dalla sua posizione nella gerarchia mondiale dello sfruttamento. «Le nazioni più importanti ne avranno sempre più bisogno, e l'entità del loro bisogno (di forza armata) varierà a seconda che ci sia o meno un'intensa lotta tra di loro per avere il primo posto». In tal modo, al centro dell'imperialismo, la spesa militare continuerà a crescere: «Naturalmente, la maggior parte dell'espansione della spesa pubblica si è verificata nel settore militare, il quale è passato da meno dell'1% a più del 10% del PIL; rappresentando così, dal 1920, circa i due terzi dell'aumento totale della spesa pubblica. Questo massiccio assorbimento del surplus nei preparativi militari, è stato il fatto centrale della storia americana del dopoguerra». Kalecki osserva come, nel 1966, «più della metà della crescita del reddito nazionale, si tradusse in un aumento delle spese militari». Ora, nel dopoguerra, il capitalismo non può più contare sul fascismo per controllare la spesa sociale. L'economista polacco, "discepolo" di Rosa Luxemburg, osserva: «Una delle funzioni fondamentali dell'hitlerismo era stata quella di superare l'avversione del grande capitale per la politica anticiclica su larga scala. La grande borghesia aveva acconsentito all'abbandono del laissez-faire e all'aumento radicale del ruolo dello Stato nell'economia nazionale, ma a condizione che l'apparato statale fosse sotto il controllo diretto della sua alleanza con la direzione fascista»; e che la destinazione e il contenuto della spesa pubblica venissero determinati dagli armamenti. Nei Gloriosi Trenta, senza il fascismo a garantire la direzione della spesa pubblica, gli Stati e i capitalisti furono costretti a un compromesso politico. I rapporti di potere determinati dal secolo delle rivoluzioni, costringono lo Stato e i capitalisti a fare delle concessioni che, in ogni caso, rimangono compatibili con dei profitti che raggiungono dei tassi di crescita mai visti prima. Ma anche questo impegno è eccessivo perché, nonostante i grandi profitti, «in questa situazione, gli operai diventano "recalcitranti", mentre i "capitani d'industria" sono sempre più ansiosi di "dare loro una lezione".» Così, la controrivoluzione, scatenata a partire dalla fine degli anni '60, avrà come asse centrale la distruzione della spesa sociale, insieme alla feroce determinazione di indirizzare la spesa pubblica esclusivamente verso i soli interessi delle oligarchie. Il problema - a partire dalla Repubblica di Weimar - non è mai stato quello di un generico intervento dello Stato nell'economia, ma piuttosto il fatto che lo Stato era permeato dalla lotta di classe, e pertanto costretto a cedere alle richieste delle lotte operaie e proletarie. Così, nei tempi "pacifici" della Guerra Fredda - senza l'aiuto del fascismo - ecco che l'esplosione delle spese militari ha bisogno di una legittimazione, garantita da una propaganda capace di evocare continuamente la minaccia di una guerra imminente, ossia, di un nemico alle porte disposto a distruggere i valori occidentali: «I creatori (non ufficiali) e i funzionari dell'opinione pubblica hanno la risposta pronta: gli Stati Uniti devono difendere il mondo libero dalla minaccia dell'aggressione sovietica (o cinese)». Kalecki, più o meno in quello stesso periodo, chiarisce: «I giornali, il cinema, la radio e la televisione, che operano sotto l'egida della classe dominante, creano così un'atmosfera che favorisce la militarizzazione dell'economia». La spesa per gli armamenti non ha solo una funzione economica, ma anche quella di produrre delle soggettività sottomesse. La guerra, esaltando la subordinazione e il comando, «contribuisce a creare una mentalità conservatrice»: «Mentre la massiccia spesa pubblica per l'istruzione e per il welfare tendono a minare la posizione privilegiata dell'oligarchia, la spesa militare fa invece il contrario. La militarizzazione favorisce tutte le forze reazionarie (...) e si determina un cieco rispetto per l'autorità; viene insegnato e imposto un comportamento di conformità e sottomissione; e l'opinione contraria è considerata un atto antipatriottico, o direttamente un tradimento». Il capitalismo produce un capitalista che - proprio a causa della forma politica del suo ciclo - è un seminatore di morte e distruzione, anziché un promotore del progresso. Richard B. Russell, un senatore conservatore degli Stati Uniti meridionali negli anni '60 citato da B&S, ci dice: «C'è qualcosa nei preparativi per la distruzione che porta gli uomini a spendere denaro con più noncuranza di quanto sarebbe se lo si facesse per scopi costruttivi. Non so perché questo accada; ma durante i trent'anni in cui sono stato al Senato, più o meno, ho capito che quando si acquistano armi per uccidere, distruggere, cancellare città dalla faccia della terra ed eliminare i grandi sistemi di trasporto, c'è qualcosa che fa sì che gli uomini non calcolino le spese con la medesima cura di quando si tratta di pensare a un alloggio dignitoso e all'assistenza sanitaria per gli esseri umani». La lotta di classe, che permea questa realtà, ha dato origine a una radicale opposizione tra la riproduzione della vita e la riproduzione della sua distruzione, la quale poi si è solo approfondita a partire dagli anni '30. Alla fine della lezione, possiamo dire che non c'è passaggio dal Welfare alla Guerra, poiché la spesa pubblica è sempre stata, simultaneamente, civile e militare. James O'Connor ha giustamente parlato di Warfare-Welfar.

Come funziona il capitalismo?
Nell'analisi del capitale e dello Stato, la guerra e gli armamenti - che sono stati praticamente esclusi da tutte le teorie critiche del capitalismo - funzionano come discriminanti. È molto difficile definire il capitalismo in quanto "modo di produzione", come ha fatto Marx, e questo perché l'economia, la guerra, la politica, lo Stato e la tecnologia sono tutti elementi strettamente intrecciati e inseparabili. La "critica dell'economia" non è sufficiente a produrre una teoria rivoluzionaria. Già con l'avvento dell'imperialismo, c'è stato un cambiamento radicale nel funzionamento del capitalismo e dello Stato; chiaramente evidenziato da Rosa Luxemburg, per la quale l'accumulazione ha due aspetti. Il primo «si riferisce alla produzione di plusvalore – in fabbrica, in miniera, nell'azienda agricola – e alla circolazione delle merci sul mercato. Se considerata da questo punto di vista, l'accumulazione diventa così un processo economico, la cui fase più importante costituisce una transazione tra il capitalista e il salariato. Il secondo aspetto, ha invece come teatro il mondo intero: una dimensione mondiale irriducibile al concetto di "mercato" e alle sue leggi economiche. «Qui i metodi impiegati sono la politica coloniale, il sistema creditizio internazionale, la politica delle sfere di interesse, la guerra. Mentre, la violenza, l'inganno, l'oppressione, la depredazione si sviluppano apertamente, senza maschere, ed è sempre più difficile riconoscere le rigide leggi del processo economico vedendole nell'intreccio tra violenza economica e brutalità politica». La guerra, non è una continuazione della politica, ma coesiste sempre insieme a essa, come dimostra il funzionamento del mercato mondiale. E dove la guerra, la frode e la depredazione coesistono con l'economia, vediamo che la legge del valore non ha mai funzionato davvero. Il mercato mondiale ha un aspetto assai diverso da quello delineato da Marx. Le sue considerazioni non sembrano più valide, o meglio, dovrebbero piuttosto  essere chiarite: solo nel mercato mondiale il denaro e il lavoro sarebbero diventati adeguati al loro stesso concetto, rendendo la loro astrazione e la loro universalità davvero una realtà. Al contrario, ciò che possiamo vedere è invece che il Denaro - la forma più astratta e più universale di Capitale - corrisponde sempre alla moneta di uno Stato. Il dollaro è la valuta degli Stati Uniti, e regna solo in quanto tale. L'astrazione del denaro e la sua universalità (e i suoi automatismi) vengono appropriati a partire da una "forza soggettiva" e sono gestiti secondo una strategia che non è contenuta nel denaro. Anche la finanza, come la tecnologia, sembra essere oggetto di appropriazione da parte di forze soggettive "nazionali", le quali sono molto poco universali. Sul mercato mondiale, neppure il lavoro astratto trionfa in quanto tale, trovando al suo posto altri lavori radicalmente diversi (lavoro servile, lavoro schiavo, ecc.) ed essendo oggetto di sue strategie. L'azione di Trump - caduto il velo ipocrita del capitalismo democratico - ci svela il segreto dell'economia: essa può funzionare solo sulla base di una divisione internazionale della produzione e della riproduzione, definita e imposta politicamente, vale a dire, attraverso l'uso della forza; cosa che implica anche la guerra. La volontà di sfruttare e dominare, gestendo al contempo i rapporti politici, economici e militari, costruisce una totalità che non può mai chiudersi su sé stessa, rimanendo sempre aperta, divisa da conflitti, guerre e depredazioni. In questa totalità divisa, ecco che tutti i rapporti di potere convergono, e vengono governati. Trump interviene nell'uso delle parole - ma anche nelle teorie di genere - mentre simultaneamente vuole imporre un nuovo posizionamento globale, politico ed economico degli Stati Uniti. Dal micro al macro, un'azione politica che i movimenti contemporanei sono ben lontani anche solo dal concepire. Così, la costruzione della bolla finanziaria - un processo che oggi possiamo seguire passo dopo passo - avviene allo stesso modo. Gli attori che intervengono nella sua produzione sono molteplici: l'Unione Europea, gli Stati che hanno bisogno di indebitarsi, la Banca Europea, la Banca Europea per gli Investimenti, i partiti politici, i media e l'opinione pubblica, e i grandi fondi di investimento (tutti americani) che organizzano il trasferimento di capitali da una borsa all'altra, e infine le grandi imprese. Solo dopo che lo scontro/cooperazione tra questi centri di potere avrà dato il suo verdetto, la bolla economica e i suoi automatismi potranno funzionare. C'è un'intera ideologia riguardo il funzionamento automatico che va sfatata. Il "pilota automatico", soprattutto a livello finanziario, esiste e funziona solo dopo che esso è stato istituito politicamente. Non esisteva nei Trenta Gloriosi perché allora era stato politicamente deciso così. Ha operato dalla fine degli anni '70, inseguito a un'esplicita volontà politica. Questa molteplicità di attori che si agitano da mesi, viene tenuta insieme da una strategia. Esiste, quindi, un elemento soggettivo che interviene in modo fondamentale. Anzi, in realtà, due. Da un punto di vista capitalistico, c'è una lotta feroce tra il "fattore soggettivo" Trump e il "fattore soggettivo" di quelle élite che sono state sconfitte alle elezioni presidenziali, ma che però hanno ancora una forte presenza nei centri di potere, negli Stati Uniti e in Europa. Ma affinché il capitalismo funzioni, dobbiamo anche prendere in considerazione un fattore soggettivo proletario. Quest'ultimo gioca un ruolo decisivo, perché delle due l'una, o diventerà il portatore passivo del nuovo processo di produzione/riproduzione del Capitale, oppure tenderà a rifiutarlo e a distruggerlo. Verificata l'incapacità del proletariato contemporaneo - il più debole, il più disorientato, il meno autonomo e indipendente di tutta la storia del capitalismo, la prima opzione sembra quella più probabile. Ma se non riuscirà ad opporre alle costanti innovazioni strategiche del nemico,  la propria strategia, capace di rinnovarsi continuamente, allora cadremo in un'asimmetria dei rapporti di forza, la quale ci riporterà a prima della Rivoluzione francese, e a un nuovo e già visto ancien régime.

- Maurizio Lazzarato - Pubblicato il 05/06/2025 - fonte: Outras Palavras -

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