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venerdì 7 marzo 2025

I “Fanatici della Valorizzazione”…

In risposta ad alcune domande e, talvolta, a qualche fraintendimento su alcuni concetti della "Critica della Dissociazione del Valore" e della "Teoria Critica",  quella che segue è una presentazione dei diversi termini di "Astrazione Reale" e "Dominio Senza Soggetto" (come dice Marx); concetti questi, che di solito usiamo nella Nuova Critica Anticapitalistica.  Quella che segue è quindi una semplice esposizione dei concetti di “Astrazione Reale” e di “Dominio senza Soggetto” (sempre per dirla con Marx) che abitualmente utilizziamo. Questa esposizione si articola brevemente intorno alla questione dell'individuo e della classe, e alla necessaria Critica del “materialismo storico”, in quanto esso appare legato al pensiero borghese, e in contrasto con il modo in cui i concetti di cui sopra vengono di solito affrontati nel sotto-pensiero marxista tradizionale.

Astrazione Reale e Dominio senza soggetto sotto il Capitalismo
- di Kritik de la valeur-dissociation, repenser la théorie kritik du capitalisme -

Il materialismo storico non può essere applicato in quanto tale, dal momento che esso ignora il meccanismo fondamentale costitutivo delle società umane fino a oggi. Nel capitalismo, la produzione materiale, il lavoro e il consumo di merci – vale a dire, "l'economico" – non coincidono con quelle che sono le possibilità che corrispondono a un processo metabolico dell'essere umano con la natura. Detto in altri termini,  il capitalismo non ha come obiettivo la soddisfazione dei bisogni umani concreti, come la casa o il cibo. Secondo Robert Kurz, nella sua lettura di Marx, condivisa anche da altri interpreti, all'interno della forma sociale capitalistica, il "valore d'uso" delle merci, gli "interessi materiali" degli individui e delle classi - ovvero, la "produzione materiale" presentata come se costituisse la cosiddetta base economica trans-storica - costituiscono solo il volto apparente di una realtà assai più fondamentale e storicamente specifica, di cui esse sono solo le forme fenomeniche:  il valore come processo di accrescimento, ovvero, il fine in sé del capitale che si realizza come auto-moltiplicazione del denaro.

Questo valore in processo, descritto da Marx come "Hirngespinst" (fantasmagoria), è un'astrazione reale, e non una semplice astrazione nominale, un'illusione, una manipolazione ideologica, un'invenzione intellettuale o una proiezione puramente ideologica (o religiosa, mitologica, ecc.). Ed è questo capitale a costituire un'astrazione materializzata, “operante” nella pratica economica, incarnandosi in degli atti concreti di produzione e di scambio, che si svolgono in una abitudinarietà sociale, nei corpi e nella soggettività, diventando così una “proiezione feticista” nella quale la materia e la pratica diventano l'espressione concreta dell'astrazione. Seguendo il pensiero di Alfred Sohn-Rethel, va sottolineato che l'astrazione reale non è un mero costrutto ideologico, o un errore cognitivo, quanto piuttosto un processo oggettivo radicato nella stessa pratica sociale capitalistica. L'astrazione reale non rientra nelle categorie tradizionali della teoria della conoscenza; come lo sono la falsa coscienza, o il semplice travisamento del mondo. Al contrario, questa astrazione si produce a partire dai  gesti materiali degli individui, che essi svolgono nella loro attività sociale. Non si tratta di un'astrazione che avviene nella testa degli individui, bensì di un'astrazione che si svolge proprio nell'attività del lavoro stesso e attraverso di essa, indipendentemente dalla coscienza dei partecipanti. L'astrazione reale costituisce una struttura che è immanente alle relazioni sociali stesse. Si trova inscritta nella materialità del lavoro che produce merci, ed è questo ciò che la rende così potente: essa funziona indipendentemente dalla volontà, o dalla coscienza degli individui. È così che Marx descrive il capitalismo come un mondo in cui «gli individui sono dominati da delle astrazioni, mentre prima invece dipendevano l'uno dall'altro»;  vale a dire che il mondo si concretizza in un'azione-feticcio immediata, compiuta in tale forma sociale.  Il processo che porta il denaro a muoversi su sé stesso viene paragonato a un «Moloch, cui viene sacrificata la vera ricchezza» (Grundrisse). Pertanto, al centro della socializzazione moderna si trova quella vera astrazione che Marx definisce come forme oggettive o oggettivate di pensiero, e che costituiscono  delle «forme ossificate di pensiero sociale, che organizzano pratiche e istituzioni sulla testa degli esseri umani». È questa vera astrazione, ciò che plasma i "corpi delle merci" (Marx), disciplina la soggettività e la corporeità vivente sfruttata (e non sfruttata), riduce la natura a mero supporto per la propria espansione, mentre la divora e la distrugge sul proprio cammino, così come fa con tutto ciò che trasforma in un concreto astratto. Tutto quanto il vivente e il sociale, sia nelle società storiche premoderne come negli individui concreti, viene dominato in maniera transclassista e transculturale da questa astrazione omogenea e totalizzante, da questo «looping cibernetico dell'astrazione reale, "valore", su sé stessa», che sintetizza, riproduce e antagonizza una nuova società a sua immagine e somiglianza, prima che si autodistrugga, alla fine della sua traiettoria storica, senza che gli individui possano pensarla diversamente se non attraverso gli automatismi sociali.

Gli individui e le classi funzionali - impegnati nei diversi momenti del processo-feticcio che li domina  e che essi attualizzano e riproducono attraverso l'azione-feticcio immediata -hanno valore, in relazione l'uno all'altro, solo in base al loro posto e al loro ruolo nella riproduzione del capitale. Una vera e propria astrazione che - come se fosse una nuova testa di Medusa che emerge dalle fondamenta delle moderne relazioni sociali - reifica in tal modo gli esseri umani in quanto meri ingranaggi di un movimento tautologico e distruttivo; ma non di certo come se essi fossero delle "marionette". Tale approccio supera la critica sociologica incentrata sulle classi sociali e sugli “interessi materiali” e su un concetto rinsecchito di dominazione soggettiva, ancora radicato nel modo di pensare borghese, per riuscire così a cogliere il dominio trans-classe delle forme sociali del sistema moderno. Si tratta infatti di un dominio senza soggetto, astratto e impersonale, costitutivo di automatismi sociali, dei quali il funzionale “dominio di classe” è solo un'espressione fenomenologica tra le altre. Pertanto, il materialismo storico può essere criticato in quella che è la sua superficiale comprensione del dominio sociale nel capitalismo. La relazione sociale capitalistica - al suo livello fondamentale - non è una semplice e pura relazione di volontà, o di interesse, o di violenza, e non è nemmeno un carattere ideologico-simbolico (vale a dire, l'imposizione di una "ideologia dominante"), né tantomeno si tratta di un semplice dominio diretto, esercitato da certi uomini su altri uomini, che viene così ridotto al vantaggio personale di un gruppo, di un'istituzione, o di una classe. Il capitalismo non esiste perché una classe o un individuo abbia un "interesse" in esso, o perché esercita il proprio potere sul resto della società. Questa riduzione utilitaristica e soggettivista del "dominio" (o del "potere") può essere trovata in tutte le teorie moderne, tanto di sinistra quanto di destra. Nelle teorie non marxiste o non liberali del dominio, «l'utilità economica astratta» - sottolinea Kurz - «viene a essere semplicemente sostituita da un'utilità altrettanto astratta di "puro potere". Laddove il marxismo comune presuppone una base ontologica per quello che sarebbe “l'interesse economico”, le altre teorie borghesi del dominio assumono invece, o la base biologica di una “pulsione di potere” (o di una pulsione di aggressione) geneticamente radicata o, come minimo, delle componenti antropologiche e a-storiche». Queste teorie riconducono il dominio storicamente specifico del capitalismo alle caratteristiche “particolari” di un puro agente di volontà individuale o collettiva (una classe) che,  a partire dalla sua “volontà di sfruttamento” o di “dominio”, creerebbe il capitalismo. In realtà, le categorie che di solito accompagnano la definizione di dominio non sono affatto ciò che sembrano.

Come osservava Adorno, in maniera ancora parzialmente sociologica, «"ciò che vogliono"  potrebbe essere esso stesso il risultato della società di classe». A causa delle forme sociali in cui vengono assunti a priori, i fini e gli interessi individuali non vengono determinati dagli individui stessi, dal momento che i fini e gli interessi non sono delle categorie primarie e trans-storiche, bensì categorie già derivate, e storicamente specifiche:  sono i punti di applicazione di un meta-principio storicamente specifico che si lega alla falsa universalità negativa del capitale, che li determina e di cui essi sono l'espressione secondaria. Pertanto, la "soggettività", i "desideri", la "volontà", gli "interessi", la "violenza" dei capitalisti e "l'ideologia dominante" vanno tutti sempre considerati a partire dalla mediazione con "qualcos'altro", con il principio più fondamentale di una forma che li determina a priori: vale a dire, l'esecuzione del meccanismo proiettivo metafisico-reale della valorizzazione del valore/lavoro astratto. Ragion per cui, in superficie, gli individui perseguono i loro interessi e sembrano usarsi l'un l'altro per i loro fini individuali – cosa che in realtà credono solo di fare – ma «realizzano su di sé un fine assai diverso, un fine sovra-individuale e senza soggetto: il fine del movimento autonomo (valorizzazione) del denaro». Il potere del capitale non può perciò essere ridotto al "dominio di classe", poiché esso costituisce un meccanismo di dominio al quale tutti sono sottomessi, sebbene in modi differenti. Come sottolinea Kurz, «coloro che impongono il proprio dominio, hanno anche sempre qualcosa che viene imposto loro; essi non dominano mai realmente per il proprio bisogno o per il proprio benessere, ma per qualcosa che semplicemente rimane al di fuori di loro.»: i capitalisti «eseguono qualcosa che è alieno e apparentemente esterno rispetto a loro» (a tal proposito, vediamo che Marx definisce i capitalisti chiamandoli gli "ufficiali" e i "sottufficiali del capitale"),  docili esecutori, subordinati al processo di valorizzazione, che va tanto a loro proprie spese, quanto a quelle di altri). Il dominio sotto il capitalismo va pertanto pensato in modo diverso. Esso viene strutturato secondo quelle che sono delle forme sociali trans-classiste, "astratte" e "oggettive", e riveste un carattere impersonale, indiretto e astratto. A quello che è il suo livello più fondamentale, il dominio del capitalismo è il «dominio degli uomini esercitato per mezzo di strutture sociali astratte che gli uomini stessi costituiscono».  Marx coglie questo rapporto capitalistico per mezzo del concetto, sorprendente e paradossale, di «soggetto automatico» (a un altro livello di astrazione, più fenomenologico, egli parla di «vincolo silenzioso», di «fili invisibili»). Paradossalmente, i veri “attori” della società feticista-mercantile non sono né i capitani d'industria, né gli imprenditori, né gli amministratori delegati (“CEO”), né i fieri lavoratori dalle mani callose, bensì un astratto valore-lavoro, in quanto vera e propria astrazione reale in movimento incrementale (D-M-D'), il quale esiste solo mediante l'azione feticcio trans-classista degli individui i quali ne eseguono la sua logica, secondo quelli che sono i diversi ruoli e le diverse classi sociali necessarie a questo processo di auto-divoramento. Quegli attori che indossano l'uniforme del soggetto della volontà, dell'azione, e della conoscenza nel capitalismo - siano essi individui, classi o istituzioni - sono in realtà delle "maschere di carattere", sono i "portatori" e le élite capitalistiche di funzione (Marx parla spesso degli individui in quanto "agenti") di questo processo di astrazione reale in movimento del Capitale. Il valore, veicolato dall'azione-feticcio immediata degli individui vincolati ai ruoli e alle classi che essi incarnano, diventa, - spiega Marx - il vero soggetto del processo globale. La logica del capitale si manifesta sotto forma di un movimento autonomo che cresce e si sviluppa attraverso le azioni degli individui, nel flusso materiale e in tutta la devastazione ecologica che tale movimento accompagna. In un certo qual senso, l'astrazione reale si è come antropomorfizzata nel materiale umano, ne è diventata il suo supporto adeguato, e così praticamente lo riproduce, a sua insaputa. In quanto tale, la classe borghese è una "classe dominante", ma lo è solo attraverso questa forma-contesto di dominio senza soggetto, di cui è essa stessa il docile oggetto; non si tratta tanto del potere, quanto dell'estatica sottomissione all'astrazione che la muove. Essa costituisce una classe funzionale, quella dei "fanatici della valorizzazione" (Marx); cosa che la rende soprattutto solo una classe redditizia, e non "dominante" nel senso tradizionale del termine borghese-marxista.

Se la produzione materiale della vita sociale umana sotto il capitalismo, in quanto mezzo di produzione di plusvalore, non è una pura necessità oggettiva e trans-storica, ecco che allora il materialismo storico può e deve essere criticato per aver erroneamente identificato tutto ciò che è "economico" (la produzione materiale sotto il capitalismo) con il metabolismo umano con la natura (una definizione "sostanziale" dell'economia, questa, condivisa con Karl Polanyi);  o, detto in altre parole, va criticato in quanto forma di teleologia vitale della vita. Come si è detto, la “produzione materiale” e il “consumo” sotto il capitalismo - che sono sempre la produzione e il consumo della merce - non hanno assolutamente niente di “materiale”, e teoricamente non possono essere intesi in maniera “materialista” dal punto di vista della critica marxiana dell'economia politica. Le relazioni, così come i beni reificati sotto forma di merci, che nell'economia si istituiscono tra gli individui, non hanno origine da questi ultimi, e non trovano in essi la loro ragione d'essere. Ontologicamente, un prosciutto o un servizio di pulizie, rappresentano sempre qualcosa più di un maiale, di una festicciola a base di tartine o di un pavimento e delle stanze perfettamente puliti, ma si presentano immediatamente come una cristallizzazione del lavoro astratto, come un mezzo per la valorizzazione del capitale fatta attraverso la proiezione dell'astrazione reale e il meccanismo dello sfruttamento, che dall'allevamento e arriva fino al macello, passando per le catene agroindustriali e l'industria alberghiera. Tutti i prodotti recano il marchio della medesima proiezione-feticcio. Pertanto, queste relazioni, beni e servizi sono già, a priori, “pieni di sottigliezze metafisiche” (Marx), sono quindi sottomessi alla produzione, che si suppone illimitata, di un'astrazione in processo, materializzata negli atti di produzione e di scambio, nelle merci, nei corpi e nelle “tecniche corporali”, nelle soggettività, nella psiche umana e nell'affettività, nell'industria culturale, nell'assetto del territorio e nel denaro. Di tutto ciò, la produzione e il consumo di merci, viste nel loro carattere, tanto di valore quanto di valore d'uso, ne sono le manifestazioni concrete. In tal senso, il capitalismo, in quanto modernità produttrice di merci,costituisce una società concretamente animata e riprodotta grazie alla realtà metafisica di un principio astratto materializzato, il quale funziona socialmente, nella sua costituzione e riproduzione, assumendo le caratteristiche e i tratti di un “idealismo reale” che si concretizza nella valorizzazione del valore. Infatti, Marx descriveva la merce prodotta e venduta come "sensibile-sovrasensibile". La merce è «una miscela di materiale e di ideale», osserva Anselm Jappe, «con il primato dell'ideale». Il concreto viene prodotto in quanto esso è il divenire-concreto di un'astrazione; l'utilità (il valore d'uso) si trova già sempre modellata nella sua forma di utilità astratta, determinata dall'astrazione reale. «Con il capitalismo», prosegue Jappe, «in questa vera e propria inversione feticistica che fondamentalmente lo caratterizza, il cielo è [in tal modo] disceso sulla terra: la dimensione sovrasensibile, metafisica, dell'esistenza sociale [...] si trova ormai presente fin nei più piccoli oggetti, e nelle più piccole azioni della vita quotidiana. […] Quello che vediamo è il mondo veramente a rovescio; rispetto al quale la dialettica hegeliana è la sola descrizione adeguata: è la vera descrizione di una falsa realtà. Quindi non ha bisogno di essere riportata coi piedi per terra, come hanno ripetuto generazioni di marxisti: è la realtà, descritta come dominata da delle astrazioni, quella che ha bisogno di essere riportata coi piedi per terra.» Di conseguenza, se la teoria vuole porsi sul piano dell'astrazione del suo oggetto, il quale è anche esso stesso un'astrazione, ha bisogno di ricorrere a un vocabolario che sembra essere preso in prestito dai difetti della filosofia idealistica, ma che nei fatti rivela quale sia il paradosso di tale oggetto, sia materiale che ideale. Conseguentemente, l'economico e l'economia non possono essere interpretati come se fossero il prodotto del «disincastramento» di quella che viene vista come una «sostanza economica» trans-storica e trans- culturale preesistente, amalgamatasi con quelle che, nelle società non capitalistiche, erano le altre relazioni sociali; come pensava ancora Karl Polanyi. Nella modernità, il dominio circoscritto appartenente alla "economia" costituisce perciò una forma di astrazione storicamente specifica di quella che è la forma capitalistica della vita sociale. Queste dimensioni storicamente specifiche, costituiscono la materializzazione concreta, il supporto materiale, di un'astrazione sociale inscritta nel cuore del sistema capitalistico. La «realtà economica», in quanto sfera funzionale della logica del capitale, non si «disincastra» da sé sola: essa emerge radicalmente nella sua forma di vero e proprio paradosso costitutivo di un «dominio materiale-astratto», il quale è specifico della formazione sociale capitalistica; e ciò avviene nel corso della sua genesi tra il XVI e il XVIII secolo. Ed è in questo senso  che «l'economia» e «l'economico» non possono essere considerate come una "invenzione" degli economisti o come il risultato della loro "propaganda"; come hanno sostenuto Serge Latouche e Jean-Pierre Voyer, sebbene in modo diverso. Né l'economia può essere interpretata in modo culturalista - come fa Marshall Sahlins - e neppure per mezzo del prisma di un'antropologia del simbolico, alla maniera di Jean Baudrillard. Sahlins, come ha sottolineato anche Postone, ipostatizza la categoria di "cultura", senza alcuna mediazione, e così fa derivare il capitalismo da quella che egli chiama «cultura capitalista». Se questa dimensione del livello culturale-simbolico della strutturazione della vita sociale sotto il capitalismo, è davvero importante e pertanto va presa in considerazione, essa non può essere eretta a principio esplicativo autonomo. La "cultura capitalista" evocata da Sahlins va integrata nel paradigma di Roswitha Scholz - in connessione con la sua teoria dei livelli - e va situata nel quadro di una totalità spezzata, appresa attraverso un concetto non hegeliano di totalità, a un meso-livello culturale-simbolico e socio-istituzionale.

Il materialismo storico, viene a essere smascherato anche da Kurz, in quelle che sono le sue false arie rivoluzionarie di opposizione al pensiero borghese: «esso appartiene completamente all'eredità borghese dell'Illuminismo, al Marx della modernizzazione e del movimento operaio». Con il suo identificarsi nello sviluppo delle "forze produttive", viste come motore della storia di tutta l'umanità, a partire dalla preistoria, esso non è altro che «la proiezione sulla Storia di quella che è una dialettica speculativa specificamente capitalistica; la quale viene così resa positiva, vista in un continuum di "progresso" che obbedisce a una logica che è relativa al suo modo di formazione sociale». Il cosiddetto "corso necessario della Storia", insieme ai concetti ereditati dall'Illuminismo del progresso e dell'evoluzione, così come l'idealismo oggettivo di uno Spirito universale realizzato attraverso la metafisica del progresso, vengono tutti riciclati sotto quella che è una forma volgarizzata ed escatologica: una visione trionfalistica dei presunti "modi di produzione" in successione, accompagnati dai loro modi di pensiero, coronati dall'avvento finale, non della "civiltà" borghese, ma del "socialismo operaio". Questa lettura "materialista" della storia, particolarmente presente nel giovane Marx, postula che ogni formazione sociale procede dalla negazione della precedente, «pur recuperando qualcosa, vale a dire le "forze produttive materiali" che in ogni tempo via via sono diventate troppo strette per la vecchia formazione precedente». In una simile prospettiva, propria della modernità mercantile e del suo regime di storicità, sia nella sua affermazione "idealistica" che in quella "materialista", le forme di socializzazione e le categorie che ad essa sono proprie, vengono in tal modo de-storicizzate e ontologizzate, per poi retro-proiettarsi sulle società passate. Con la sua metafisica della Storia, ereditata dall'Illuminismo, con la sua ontologizzazione e positivizzazione delle moderne categorie esclusivamente capitalistiche, il materialismo storico doveva per forza portare logicamente a una teoria della rivoluzione concepita come una modernizzazione in ritardo, di recupero, operante all'interno di categorie capitalistiche che non vengono messe in discussione. Così, da Marx a Lenin, e in tutte le dittature "socialiste" basate sulla Modernizzazione recuperatrice, la rivoluzione viene sottomessa agli imperativi dello "sviluppo delle forze produttive" e della "missione civilizzatrice" del capitalismo.

- Kritik de la valeur-dissociation, repenser la théorie kritik du capitalisme -

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