Dalla "nuova guerra fredda" alla "guerra civile mondiale"
- di Frederick Harry Pitts -
Oltre a differire dagli attuali approcci basati sulla teorizzazione dell’"imperialismo", la concettualizzazione di una guerra civile mondiale fornisce un'alternativa a quel consenso accademico e politico emergente che comprende il periodo attuale all'interno di un quadro realista o razionalista di quella che sarebbe una "nuova", o una "seconda", guerra fredda, la quale dovrebbe implicare il ritorno di un capitalismo organizzato intorno a dei blocchi concorrenti basati più sulle forze produttive che su quelle distruttive. Questa "nuova" o "seconda" guerra fredda, viene spesso considerata in relazione all'ascesa e alla centralità della Cina, vista come la sfida chiave che il capitalismo occidentale deve affrontare. Ciò viene caratterizzato da alcuni esponenti della sinistra - sostiene Lohoff (2023a) – come se ciò fosse parte di una resistenza mondiale contro l'egemonia imperialista occidentale, o semplicemente come l'apertura di un processo multipolare di competizione tra le vecchie e le nuove potenze imperiali: la cosiddetta "seconda guerra fredda". Un'interpretazione questa, che indica la "Belt and Road Initiative" come la principale mossa di Xi per il potere politico-economico nel Sud del mondo, e oltre. Tuttavia, la concettualizzazione della guerra civile mondiale, fatta dalla Wertkritik, getta una luce diversa su ciò che è in gioco, concentrandosi non sulla competizione economica, ma su ciò che oggi, coloro che si inscrivono in questa tradizione, vedono come una lotta culturale e di civiltà combattuta su tutta una serie di fronti, al fine di riconfigurare l'ordine globale e liquidare le libertà civili; facendolo in un modo che va oltre anche quella che è stata la doppia interferenza attuata dagli Stati Uniti sotto la cosiddetta Pax Americana.
Contro la convinzione, che hanno alcuni a sinistra, secondo cui la Cina farebbe parte di una costellazione antimperialista che si contrappone all'egemonia degli Stati Uniti, la cosa difficilmente regge, nel momento in cui è evidente che, nei mercati e nelle istituzioni globali, la Cina stessa è un attore altrettanto potente degli Stati Uniti e dell'Europa. Rispetto ad analisi più ampie, il posizionamento della politica estera cinese non viene catturato dalla categoria di "competizione sistemica", così come questa viene concettualizzata nei resoconti fatti dalla realpolitik della cosiddetta "seconda guerra fredda". Xi non sta cercando di sostituire la supremazia degli Stati Uniti ereditandone un ordine mondiale intatto - propone Lohoff - ma intende piuttosto trasformare le regole del gioco stesse, in modo da preservare il regime del Partito Comunista Cinese e, talvolta, quello dei suoi alleati e clienti, come la Russia e l'Iran. Secondo Lohoff (2023a), la politica militare ed estera sempre più assertiva della Cina, incentrata principalmente, ma non esclusivamente, su Hong Kong e Taiwan, è strettamente intrecciata con l'approccio più repressivo che ha il suo governo per poter controllare il dissenso a livello nazionale. I tentativi di eliminare, vicino a casa, ogni spazio per le libertà civili - suggerisce Lohoff - andrebbe visto nel contesto della più ampia "controrivoluzione preventiva" della Cina contro coloro che vengono visti come movimenti per i diritti e le libertà imposte dall'Occidente; una lotta condotta nelle istituzioni internazionali e nel contesto delle relazioni economiche che condivide con gli Stati Uniti e con l'Europa. Questa combinazione di contraddizioni interne e di scontri esterni sta portando la Cina sulla strada di un conflitto diretto con gli Stati Uniti, e con l'Occidente in generale. Ma, come Lohoff argomenta altrove (2022), il pericolo di inquadrare il mondo vedendolo in termini di un calcolo realista a partire da una "nuova guerra fredda", tende a concentrare le menti su un conflitto tra grandi potenze, tra gli Stati Uniti e la Cina, e le rispettive sfere di influenza, e lascia assai poco spazio per fare i conti con quelle che sono invece condizioni e conseguenze di tutta una serie assai più complessa di rotture, tra cui, in particolare, quella che è la campagna espansionistica della Russia di dominio e di destabilizzazione in Europa.
Questa compiacenza, è stata evidenziata nel cosiddetto "Indy-Pacific Tilt" del Regno Unito, così come esso è delineato nei recenti documenti strategici, dove, sotto l'influenza dei politici realisti al governo, la posizione militare britannica è stata ripristinata in direzione di una coalizione occidentale contro la Cina, e ciò è avvenuto proprio sull'orlo del precipizio, allorché i piani della Russia per una nuova invasione dell'Ucraina erano diventati chiari. Come sottolinea Trenkle (2022b), la re-invasione dell'Ucraina da parte della Russia non è avvenuta in un contesto nel quale potrebbe plausibilmente essere presentata come se si trattasse di una reazione all'accresciuta assertività occidentale; ma ha avuto invece avuto luogo in un momento in cui - sulla scia del ritiro dall'Afghanistan e dell'abbandono delle linee rosse in Siria - l'Occidente si è venuto a trovare in un periodo di debolezza militare e diplomatica senza precedenti. Alla luce di questa assenza di direzione, la Russia ha colto l'opportunità di rubare l'iniziativa ai suoi rivali geopolitici, potendo contare sulla mancanza di una risposta sostanziale da parte delle democrazie distratte da questioni interne; e che si trovavano in una posizione inadeguata per rischiare una guerra totale. A causa di questa posizione di debolezza - suggerisce Trenkle (2022a)- l'Occidente non può essere ritenuto responsabile per aver guidato questo revanscismo nazionalista, né a causa della sua presunta umiliazione della Russia post-sovietica, né come reazione all'espansione della NATO verso est; piuttosto, tutto ciò è stato il risultato dell'incapacità interna della Russia a venire a patti con il crollo delle cosiddette glorie passate. Trenkle, vede tutto questo come il risultato del fallimento, da parte del capitalismo di Stato, nel tenere il passo con il capitalismo di mercato in Occidente, e il conseguente esacerbarsi del danno industriale ed economico subito dalla cleptocrazia che era seguita. "L'impoverimento e l'insicurezza" che ne sono derivati, sono stati accompagnati da ben pochi di quei diritti e di quelle libertà che avrebbero invece fatto sì che valesse la pena che ci fosse stato un tale sconvolgimento. In un simile contesto, ciò che il governo autoritario di Putin ha saputo offrire è stato solamente un senso di identificazione nazionale, la quale ha rafforzato lo status di violazione della collettività, e ha fornito così solo alcuni mezzi di stabilizzazione. La difficoltà - suggerisce Trenkle - consiste nel fatto che le "fantasie" di restaurazione nazionale sono tanto più crollate, quanto maggiori sono diventati gli antagonismi interni, e le debolezze economiche della Russia. Così facendo, il regime di Putin somiglia sempre più a una manica di "perdenti" che si trova alla fine della "competizione capitalista", la cui vulnerabilità si esprime per mezzo del peggior tipo di "energie regressive". Ed è pertanto guidato dal desiderio di restaurazione o di vendetta, indipendentemente dal rischio di distruzione interna ed esterna, nel mentre che persegue la sua guerra di risentimento contro coloro che vengono percepiti - sia all'interno che all'esterno dei suoi confini - come i rappresentanti dei diritti e delle libertà di un Occidente decadente.
A causa di molti di questi aspetti - osserva Trenkle (2022a) - a guidare il revanscismo della Russia, non è un fenomeno esterno estraneo al tessuto delle società occidentali, ma si tratta piuttosto proprio di qualcosa che invece si annida anche all'interno di esse, sia a sinistra che a destra. In ciascuna delle due parti del conflitto tra l'Occidente e il resto del mondo, ciò che vediamo sono delle società ricettive al richiamo della sirena di una "visione del mondo anti-modernista" che postula culture "organiche"... contro il "degrado" e contro la "decadenza dei valori". In particolare, vediamo la politica identitaria puntellare quelle "posizioni di potere sociale" che sono state perse da determinati gruppi – soprattutto dai "maschi" – tentando una "irrealizzabile" ri-creazione di quel mondo che in passato aveva assicurato un simile status. Trenkle associa pertanto il revanscismo di Putin a una critica del capitalismo contemporaneo che è comune sia alla destra autoritaria che alla sinistra autoritaria, e che si manifesta in "un ritorno al mondo del fordismo, o del "socialismo reale", in cui il "lavoro onesto" ancora contava, e la relazione tra i sessi era ancora chiaramente binaria, e dove "prevaleva ancora l'ordine". L'impossibilità di un qualsiasi ritorno a un mondo del genere - argomenta Trenkle - rende ancora più distruttiva la sua ricerca, facendo sì che le "forze regressive ... riducano ogni cosa in macerie". È probabile che, in qualche modo, questa dinamica stia guidando almeno una parte del cambiamento politico-economico associato tanto al Trumpismo quanto alla Bidenomics, a partire dal malcontento populista che si manifesta attraverso una prospettiva politica orientata a compiacere gli elettori maschi della classe operaia tradizionale, le cui preferenze di voto si sono dimostrate decisive in tutti i modelli elettorali dell'ultimo decennio. Tutto ciò non può essere districato per mezzo di una qualche politica interna di rimpatrio industriale, che viene ampiamente vista come espressione della "seconda guerra fredda". A partire da questo, la cornice concettuale della "guerra civile mondiale" ci permette invece di vedere il carattere del nostro confronto contemporaneo come derivante da una dinamica in qualche modo diversa dalla sola competizione economica. Il mix regressivo di "autoritarismo, maschilismo, culturalismo aggressivo e antisemitismo", che Trenkle (2022a) associa alla Russia di Putin e ad altre potenze, non è qualcosa di lontano rispetto alle società libere dell'Occidente democratico, ma piuttosto "ne costituisce la pancia oscura", il suo "irrazionalismo" esprime tutti i "punti ciechi" e tutte le "esclusioni" inerenti a una "razionalità borghese" che presume si possa calcolare il comportamento sia sul piano economico che su quello diplomatico o geopolitico, nascondendo al contempo la povertà, la violenza e il dominio soggiacenti.
- Frederick Harry Pitts - Pubblicato su European Journal of Social Theory Volume 27, °4 Nov. 2024 -
- 6 – Continua -
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