Il trotskismo ha ancora un passato?
- di Nedjib Sidi Moussa -
«Ci sono degli elementi coraggiosi a cui non piace seguire la corrente: questo è il loro carattere. Ci sono persone intelligenti che hanno un brutto carattere, non sono mai state disciplinate e hanno sempre cercato una tendenza più radicale o più indipendente: hanno trovato la nostra. Tuttavia entrambe queste persone sono ancora più o meno estranee, a parte la corrente generale del movimento operaio. Il loro grande valore ha ovviamente il suo lato negativo, dal momento che chi nuota controcorrente non può essere legato alle masse.» (Leon Trotsky, aprile 1939.)
Questo libro di Laurent Mauduit, co-fondatore di Mediapart, e di Denis Sieffert, ex direttore di Politis, accende ii riflettori su una corrente politica poco nota al grande pubblico che viene definita "Lambertismo"; da Pierre Boussel dit Lambert (1920-2008), il suo principale leader. Combinando testimonianze e indagini, questo libro, pubblicato pochi mesi fa, si inserisce nei dibattiti della sinistra francese in un momento in cui la preminenza – dichiaratamente relativa – de La France Insoumise (LFI) e del suo leader carismatico, Jean-Luc Mélenchon; egli stesso militante lambertista tra il 1972 e il 1976 a Besançon, e poi passato al Partito Socialista (PS) di François Mitterrand che ha lasciato nel 2008 per fondare il Partito della Sinistra seguendo il modello inaugurato da Die Linke in Germania. Come indicato nella quarta di copertina, questo libro a quattro mani si propone di fornire delle «chiavi di lettura della crisi che la sinistra sta attraversando oggi», e più specificamente quella che sta destabilizzando LFI, ricondotta non a caso alla personalità di Jean-Luc Mélenchon - il quale si dice abbia «anticipato l'eredità lambertista» la quale «riproduce culturalmente i tratti più caratteristici di questa corrente del trotskismo: un rapporto problematico con la democrazia, l'ostilità verso i media, un immaginario geopolitico legato alla Guerra Fredda». A questa tesi, a dir poco discutibile – le cui falle citate sono condivise da tante altre figure o organizzazioni della sinistra – viene affiancato un appello riformista, che nell'introduzione afferma: «Piuttosto che una rivoluzione, che non si è dimostrata valida nel nostro vasto mondo, se non per aver portato a disastri e a promuovere dittatori, non dovremmo piuttosto pensare a un riformismo radicale, sociale ed ecologico? Un "riformismo rivoluzionario", come ha detto Jaurès. Non dovremmo rivolgerci ad altri orizzonti, per esempio quelli dei "beni comuni", che hanno il vantaggio di tracciare percorsi che vanno oltre la proprietà e invitano a rifondare la democrazia?»
Gli specialisti del movimento operaio e del trotskismo, non impareranno molto leggendo le quasi 500 pagine di questa storia raccontata in termini negativi, e nella quale la stigmatizzazione di certi protagonisti – come Jean-Christophe Cambadélis, passato dal lambertismo al PS, di cui è diventato Primo Segretario – ne risparmia tuttavia altri, le cui azioni e traiettorie rimangono comunque discutibili. Più di vent'anni dopo un "affare Lionel Jospin", insieme alla frenesia mediatica che lo ha accompagnato, si vede che probabilmente era necessario tornare a questi singolari eredi di Lev Davidovich Bronstein - noto come Leon Trotsky (1879-1940); questo "Stalin fallito", come lo definisce Willy Huhn. Abbiamo così potuto assistere alla comparsa di un sottogenere letterario, con le memorie di ex-lambertisti come Patrick Gofman, "Cœur-de-cuir" (Flammarion, 1998); Philippe Campinchi, "Les Lambertistes" (Balland, 2000); Benjamin Stora, "L'ultima generazione dell'ottobre" (Stock, 2003); Boris Fraenkel, "Profession: révolutionnaire" (Le Bord de l'eau, 2004); Michel Lequenne, "Il trotskismo, una storia nuda e cruda" (Syllepse, 2005)... Da allora, con l'eccezione della tesi di Jean Henztgen – discussa nel 2019 con il titolo "Dal trotskismo alla socialdemocrazia: la corrente lambertista in Francia fino al 1963" – sono stati ben pochi i lavori che hanno avuto come soggetto questa famiglia atipica, le cui vicissitudini hanno fatto luce su alcune parti della vita politica, e non solo alla periferia ma anche al centro, al di là del divario riforma/rivoluzione. Il primo capitolo del libro sorvola "l’età dell'oro" di questa corrente, spesso ridotta a uno dei suoi tanti nomi, l'Organizzazione Comunista Internazionalista, o, più semplicemente, al suo acronimo – l'OCI – in vigore tra il 1965 e il 1981, e la cui eredità viene oggi contestata dai membri del Partito Operaio Indipendente e da quelli del Partito Operaio. Questa matrice comune, la cui origine ha origine nell'Opposizione di Sinistra del Partito Comunista dell'Unione Sovietica, rimane segnata - nel contesto francese - dalla scissione del Partito Comunista Internazionalista, avvenuta nel 1952, e che ha portato all'esistenza di due organizzazioni che si distinguono per il nome del loro organo: "La Vérité" del gruppo (maggioranza) di Pierre Lambert, circa 150 militanti, e "La Vérité des Travailleurs" della (minoranza) guidata da Pierre Frank (1905-1986), circa 50 militanti, che però ha il sostegno del Segretariato Internazionale della Quarta Internazionale, guidato da Mikhalis Raptis noto come Pablo (1911-1996). Nel contesto della guerra fredda, e alla vigilia di un'ipotetica conflagrazione del terzo mondo, il 14 gennaio 1952 essa sostenne «l'entrismo sui generis nei confronti delle organizzazioni e dei lavoratori influenzati dagli stalinisti». Per i trotskisti, si trattava quindi di entrare discretamente nel Partito Comunista Francese (PCF), e di accompagnare la "deformazione" del principale polo di attrazione operaia – tra i 200.000 e i 300.000 iscritti – al fine di promuovere la costruzione del "partito mondiale della rivoluzione socialista". Questo orientamento, venne sostenuto dai militanti che erano con Pierre Frank, ma osteggiato dai militanti raggruppati intorno a Pierre Lambert – impegnato a sostenere la Jugoslavia di Tito e che, intorno al giornale L'Unité, aveva un'alleanza con i riformisti di Force Ouvrière . Resta il fatto che entrambi nutrivano la medesima ammirazione per il leader dell'Armata Rossa – responsabile della sanguinosa repressione dei marinai di Kronstadt nel 1921 – e condividevano quelle stesse basi teoriche che erano condensate nel Programma di transizione, risalente al 1938 e che definiva l'Unione Sovietica come uno "Stato operaio degenerato" piuttosto che come capitalismo di Stato. Il libro "Trotskismo, Storie segrete" affronta, in particolare, i legami tra Lambertismo e socialdemocrazia, attraverso i capitoli dedicati a quella che costituisce la "polena" di questa corrente. vale a dire, all'entrismo che ci porta ad esplorare sia il periodo tra le due guerre che la seconda metà del XX secolo. In effetti, la nota biografica di Pierre Lambert per "le Maitron", scritta da Pierre Broué (1926-2005) – anche lui "ex" – ci racconta la natura sinuosa di questa relazione: «Non aveva quindici anni, quando si unì alla Gioventù Comunista di Montreuil, e non aveva molti più anni quando venne espulso a causa delle domande che aveva formulato circa l'abbandono da parte del PC delle sue posizioni antimilitariste all'indomani del Patto Franco-Sovietica. Contattato dai trotskisti, si convinse ad aderire allo "Entente des Jeunesses socialistes de la Seine" che perseguiva, sotto la guida di Fred Zeller, la difesa dell'internazionalismo e dell'antimilitarismo, ma che non seguì allorché i suoi dirigenti furono espulsi alla conferenza di Lille nel luglio 1935: rimase pertanto, pur sostenendo posizioni "formalmente trotskiste", nelle file del JS ricostituito in seno al Partito Socialista SFIO, e, nella SFIO, si unì alla Sinistra Rivoluzionaria». Qui, è d’obbligo un breve promemoria: la Lega dei Comunisti, la prima organizzazione trotskista in Francia, era stata creata nell'aprile del 1930 da dei militanti espulsi dal PCF, che distribuivano il settimanale La Vérité, il cui direttore era Pierre Frank, nonché la rivista La Lutte de classes, diretta da Pierre Naville (1904-1993). In una situazione segnata dal 6 febbraio 1934, e dagli appelli per un "fronte unico" contro le minacce del fascismo e della guerra, i sostenitori di Lev Trotsky, una quarantina, entrarono nella Sezione francese dell'Internazionale operaia (SFIO) – che contava più di 100.000 membri – per fondare, in agosto, il Gruppo bolscevico-leninista (GBL).
Nonostante l'iniziale riluttanza di alcuni militanti, i trotskisti videro crescere il loro pubblico, in particolare tra i giovani e nella regione di Parigi, ma il GBL fu però espulso dalla SFIO l'anno successivo. Un nuovo ciclo di scissione/fusione continuò fino alla vittoria del "Rassemblement populaire" nel 1936, seguita dalla creazione, in giugno, del Partito Operaio Internazionalista (POI), che unì i trotskisti attorno al giornale "La Lutte ouvrière". In questa fase, Pierre Lambert era allora un membro della tendenza della Sinistra Rivoluzionaria della SFIO guidata da Marceau Pivert (1895-1958). Dovette aspettare qualche anno prima di poter entrare effettivamente a far parte di un gruppo trotskista, come indicato nella sua nota biografica: «Del resto, seguì la nuova direzione guidata da Lucien Weitz quando il JS della Senna, all'indomani della sparatoria di Clichy nell'aprile 1937, ruppe con la SFIO, allora al governo, e divenne la Gioventù Socialista Autonoma. […] Quando la JSA si unì alla nuova formazione del Partito Socialista dei Lavoratori e dei Contadini (PSOP) guidato da Marceau Pivert nel giugno 1938, fu essa che formò il nucleo della sua organizzazione giovanile, la JSOP. Pierre Boussel incontrò poi i militanti trotskisti del PCI di Raymond Molinier e di Pierre Frank, che si erano uniti individualmente al PSOP, e che poi si unirono al loro gruppo nel dicembre 1938». Anche in questo caso, un altro promemoria è d'obbligo. Gli scioperi dei sit-in che seguirono l'avvento del Fronte Popolare convinsero i trotskisti che "la Rivoluzione francese era iniziata"; la lotta operaia del 19 giugno 1936 chiamò gli operai a formare soviet dappertutto... Tuttavia, Raymond Molinier (1904-1994) – creatore del Partito Comunista Internazionalista (PCI) a marzo, a luglio fu escluso da un Partito Operaio Internazionalista a cui aveva aderito nell'interesse dell'unità. Dopo aver rilanciato il PCI e il suo giornale La Commune in ottobre, i suoi militanti presero atto, due anni dopo, della "sconfitta operaia" avvenuta nel novembre 1938 – la repressione da parte del governo di Édouard Daladier dello sciopero contro i decreti legge – e decisero, in dicembre, di aderire al PSOP. Questo nuovo partito, che contava tra i 7.000 e gli 8.000 membri, era stato fondato in giugno da membri della Sinistra Rivoluzionaria della SFIO riuniti intorno a Marceau Pivert. Quest'ultimo rifiutò la fusione tra la sua giovane organizzazione e il POI propugnato da Lev Trotsky: il "socialista di sinistra" preferiva un fronte unico. Ciò non impedì a una minoranza del POI – contro il parere della direzione ma con l'appoggio della Quarta Internazionale – di aderire al PSOP nel febbraio 1939. Guidata da Yvan Craipeau (1911-2001) e Jean Rous (1908-1985), questa tendenza, che si espresse nella rivista La Voie de Lénine, lanciata in aprile, portò avanti un "lavoro frazionato" che Marceau Pivert esortò a fermare in giugno. Fu in questo contesto di crescenti tensioni tra i sostenitori di Leon Trotsky e la direzione del Pivertista che Pierre Lambert – membro della direzione federale dell'organizzazione giovanile PSOP della Senna – fu escluso, prima di diventare un attivista del PCI clandestino durante la seconda guerra mondiale. Nel capitolo "I due entrismi", Laurent Mauduit e Denis Sieffert cercano di distinguere tra un entrismo "con la bandiera dispiegata" – sostenuto da Lev Trotsky nel 1934 – e un entrismo sui generis, assimilato a "un lavoro 'frazionario' volto a collocare 'sottomarini' in organizzazioni nemiche o rivali", o addirittura a un'"infiltrazione". Tuttavia, la storia del movimento trotskista – e ancor più quella della corrente lambertiana – ci insegna fino a che punto le due tattiche siano inseparabili ma anche consustanziali a questa famiglia politica la cui connivenza con la socialdemocrazia è diventata proverbiale. Queste pratiche – umanamente costose, politicamente sterili, tranne che per la sopravvivenza dell'apparato – si sono ripetute con l'Unione della Sinistra Socialista Autonoma o con il Partito Socialista Autonomo – rompendo con la SFIO – e, più tardi, con il PS del congresso di Épinay o delle sue diramazioni. All'interno del LFI, i lambertisti – quelli del Partito Operaio Indipendente (POI), da non confondere con il Partito Operaio (PT), che ufficialmente disapprovava questo orientamento – costituivano probabilmente la corrente più strutturata, comprendente i loro militanti e quadri (noti o meno), il loro ufficio parigino (87, rue du Faubourg-Saint-Denis) e il loro giornale Informations Ouvrières al servizio del partito di Jean-Luc Mélenchon, che è riformista; come Jeremy Corbyn, Bernie Sanders o Alexis Tsipras. Questa alleanza al vertice si colloca sulla scia delle connessioni sopra menzionate, che portano tutte il sigillo dell'opportunismo, a testimonianza della impossibilità, o piuttosto della rinuncia di un pugno di burocrati permanenti – cinici, manipolatori e settari – di costruire una forza rivoluzionaria.
Tutto il resto è solo letteratura. Solo che siamo più vicini alle disavventure di Julien Sorel piuttosto che alle imprese di Jan Valtin; il dogmatismo prende il posto della teoria, la demagogia della strategia, la manipolazione della tattica e la mitologia della storia, usando o abusando di sfuggita dell'entusiasmo di giovani pronti a sferrare un assalto al cielo ma che finiscono per cadere, per loro grande disgrazia, sugli epigoni di O'Brien. Certamente, per parafrasare Sonia Combe – anche lei "ex" – i trotskisti volevano combattere lo stalinismo con i metodi dello stalinismo; Bisogna anche aggiungere che questo crimine è stato commesso in nome della socialdemocrazia, e quindi della borghesia. Questo dovrebbe anche portarci a mettere in discussione le dimensioni autoritarie, manichee e nazionaliste della cultura politica francese – a destra come a sinistra – di cui il lambertismo è solo un povero avatar. Avvicinandosi superficialmente alla sequenza della rivoluzione algerina, durante la quale il gruppo di Pierre Lambert si impegnò a sostenere incondizionatamente il Movimento Nazionale Algerino (MNA) di Messali Hadj – mentre il gruppo di Pierre Frank sosteneva, altrettanto incondizionatamente, il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) – gli autori riprendono alcuni luoghi comuni, basandosi principalmente sulla testimonianza di Michel Lequenne (1921-2020), che però non coglie il punto. In effetti, la "guerra d'Algeria" ha rappresentato un test importante per la sinistra francese – o piuttosto un fallimento per la maggior parte delle correnti che la compongono e il cui sciovinismo non ha più bisogno di essere dimostrato. Il problema dell'impegno lambertista in questo periodo risiede soprattutto, come le altre tendenze, nel "equivoco operativo" causato dalla lotta anticolonialista, perché se gli internazionalisti di Francia vedevano nell'indipendenza un preludio alla rivoluzione proletaria, i nazionalisti algerini combattevano prima di tutto per la creazione di uno Stato borghese, utilizzando allo stesso tempo l'influenza della lotta anticolonialista, usando, a seconda della situazione, una fraseologia che potesse suonare piacevole alle orecchie dei loro interlocutori stranieri. Questo "errore" non è stato riconosciuto - in Informations ouvrières - fino a dopo il colpo di Stato guidato da Houari Boumedienne, il 19 giugno 1965 – ; va notato che pochi anni dopo, "errori" simili furono ammessi dai loro concorrenti della Quarta Internazionale.Ma questi difetti, rivelatisi tardivamente, si basavano sulla nozione di "classe del popolo", presa in prestito dagli appunti di Abraham Léon circa "La concezione materialista della questione ebraica". Legata a un'Algeria colonizzata, che pochi anticolonialisti francesi conoscevano veramente, questa teoria portò alla negazione dell'esistenza di una borghesia autoctona, o alla minimizzazione della sua influenza, per meglio assimilare i colonizzati – vale a dire, tutte le classi messe insieme – ai proletari. Questa interpretazione permise quindi l'appoggio incondizionato dei marxisti – isolati nel loro paese di fronte all'egemonia degli apparati stalinisti e socialdemocratici – ai partiti nazionalisti in nome di un movimento comune contro l'imperialismo, senza tuttavia cercare di formare raggruppamenti su basi rivoluzionarie. Anche in questo caso, è stato solo con l'opuscolo "Alcune lezioni della nostra storia" – ripubblicato più volte dal 1970 in poi – che l'OCI ha fatto il suo mea culpa, anche se, in "Come il revisionismo", Stéphane Just si è spinto oltre accusando Pierre Lambert di aver ridotto i militanti trotskisti al semplice ruolo di "portatori di borse". Infine, per concludere con la questione algerina – che rimanda a considerazioni più ampie – Laurent Mauduit e Denis Sieffert tacciono su un altro aspetto di questa storia che, pur avendo Parigi come centro nevralgico, ha tuttavia alcune ramificazioni al di fuori della Francia. Dopo tutto, l'unico ramo lambertista che ha prosperato all'estero non è forse quello del Partito dei Lavoratori di Louisa Hanoune, in Algeria? A costo di molti compromessi con il regime militare-poliziesco, l'Unione Generale dei Lavoratori Algerini – l'ex sindacato unico, integrato nello Stato –, il Fronte Islamico di Salvezza, ecc. Tutto questo a spese di militanti sinceri ma scoraggiati – quando non sono stati odiosamente sacrificati – da tanti capovolgimenti imposti e collusioni dubbie. Questo opportunismo, senza dubbio disinteressato a un paese che esporta i suoi idrocarburi, è stato illustrato dallo svolgimento di "conferenze mondiali aperte" ad Algeri – dove le libertà democratiche sono calpestate – nel novembre 2010 e nell'ottobre 2017, su iniziativa dell'Accordo Internazionale dei Lavoratori e dei Popoli. Con la benedizione delle autorità. Detto questo, per essere del tutto onesti, dovremmo avere a che fare con quelli di sinistra – e sono molti – che hanno scambiato la dittatura del proletariato con quella dei mercenari. Nella loro conclusione, gli autori fanno la seguente osservazione: «La sintesi Lamberto-Mélenchoniana sta ora portando a un disastro: una malcelata simpatia per dei dittatori che provengono più o meno direttamente dallo spazio post-comunista, russi, cinesi o latinoamericani. Tutto ciò è giustificato da un antiamericanismo che agisce in modo pavloviano». Certo, questa descrizione, che corrisponde a una visione "campista" del mondo, vale anche per altre tendenze: non è quindi appannaggio né dei lambertisti né di Jean-Luc Mélenchon, anche se questa inclinazione ha indubbiamente favorito questo riavvicinamento denunciato nel libro, in un contesto di calpestamento delle libertà democratiche, di visione paranoica delle relazioni internazionali ma anche di disprezzo – venato di pregiudizi cognitivi, per non dire altro – per quanto riguarda gli spazi extraeuropei. Basterebbe riesumare gli articoli di Informations ouvrières, pubblicato nel 1978, durante la rivoluzione iraniana, in cui le masse "indotte a fare affidamento sull'atteggiamento di opposizione adottato dalla gerarchia religiosa" (12-19 aprile) sono visti con favore. Quanti altri sono caduti nelle stesse trappole? Nella galassia marxista, il lambertismo è solo una stella moribonda – ma così dannosa – su cui è meglio non soffermarsi molto per non perdere la propria anima, nonostante l'esistenza, al suo interno, di "pochi personaggi sgargianti" che non hanno avuto molto peso di fronte al regno dei "combinardi". Ma l'universo rivoluzionario è molto più ampio. Chi vuole vedere il mondo cambiare le sue basi, "con gli occhi veramente aperti", e non fare i conti con l'ordine esistente, esplorerà costellazioni più stimolanti – spesso rompendo con la tradizione leninista – e, per esempio, scoprirà la galassia libertaria che custodisce molti tesori.
- Nedjib SIDI MOUSSA - Pubblicato il 4/10/2024 su A Contretemps -
Nessun commento:
Posta un commento