Terrorismo: le maschere tragiche di una guerra impossibile
- di Eugenio Raul Zaffaroni – *
I crociati della guerra contro il terrorismo non sembrano accorgersi che questa guerra è impossibile, dal momento che il terrorismo è un mezzo violento perverso, ma non è un nemico concreto. Il nemico potrebbe essere chi lo utilizza, ma non il mezzo in sé: non ci può essere una guerra contro le mine anti-uomo, per quanto perverso sia il loro utilizzo. Questa guerra impossibile rende il terrorismo un concetto mediatico astratto diffuso, ma se la criminoligia vuol fare qualcosa per prevenirlo, non ha altra scelta che quella di considerare i fatti concreti, dentro i quali identificare la diversità dei fenomeni.
Da un lato abbiamo un gruppo politico, con un pretesto religioso, che fa uso di metori aberranti e criminali, cosa che non ha niente di nuovo, dal momento che ne sono esistiti molti altri nel corso della storia. Dall'altro lato, è chiaro che il concetto astratto viene manipolato, in modo da considerare terroristi tutti coloro che non sono graditi a qualunque potere. Neanche questo è nuovo; un secolo fa, ci sono stati gli anarchici, ecc..
Ma fra tutti i fatti concreti che si possono osservare, ciò che attrae l'attenzione è il fatto che in Europa appaiono dei solitari che commettono delle atrocità nel nome di un movimento cui non sono legati, e nel nome di una religione che non praticano, e che sono nati e cresciuti sullo stesso suolo delle loro vittime e che si esprimono nella medesima lingua. Fenomeni simili si ripetono negli Stati Uniti, e non possono essere spiegati solo a partire da una facile accesso alle armi. A tal proposito, possiamo affermare in tutta sicurezza che si tratta di qualcosa mai visto prima. Ma benché la peculiarità di ciascun fenomeno non sia ripetibile, la base comune che permette un approccio alla sua dinamica criminale non è affatto nuova.
I crociati di questa guerra hanno l'abitudine di ripetere che il terrorista ignora la "condizione di persona" delle sue vittime. Benché questa sia un'evidenza attestata, è il capo del filo a partire dal quale bisogna sbrogliare la matassa che avvolge la comparsa del solitario.
La Dichiarazione Universale del 1948 stabilisce che ogni essere umano è una persona. Tuttavia, nella realtà sociale, questo dev'essere un obiettivo da raggiungere, per cui dobbiamo continuamente lottare, ma che rimane ben lontano dall'essere raggiunto. La parola "persona" evoca la maschera del teatro greco antico.
Questo significa che nella vita reale coloro che vengono considerate delle non-persone sono prive di qualsiasi maschera?
La cosa non è certa, dal momento che a partire dall'interazionismo sappiamo che in questo dramma globale tutti noi portiamo una maschera. Questo si spiega in quanto, per non considerare l'altro come una persona, è necessario mettergli una maschera diversa: quella del nemico, reale o potenziale. La maschera di nemico nasconde il viso dell'essere umano. La maschera di nemico nasconde il viso dell'essere umano demonizzato (possiamo inventare il neologismo "inimicizzato", dal momento che Satana in ebraico significa nemico). La maschera di nemico nasconde il viso dell'essere umano, il che spiega il perché il demonizzatore (inimicizzatore) comincia a vedere nel vicino simpatico e pacifico di ieri, solamente un altro nemico in quanto semplice membro di un collettivo diabolico che dev'essere distrutto o neutralizzato con tutti i mezzi, compresa la morte.
Ma lasciamo il demonizzato e mettiamoci ad osservare il demonizzatore. Che cos'è che lo spinge a distribuire delle maschere di nemico? Non si tratta di altro che della sua debolezza soggettiva: lui ha bisogno di sapere chi è. Dopo aver mascherato l'altro, sente di aver superato la propria fragilità in quanto soggetto, definendosi per esclusione: Io non sono l'altro, il nero, il selvaggio, il gay, l'indiano, ecc.. Io sono ciò che non sono. Ogni discriminazione creatrice di nemici è un seme di genocidio. Se osserviamo il modo in cui opera questo gioco di maschere in Europa, possiamo avvicinarci un po' alla crimino-dinamica del caso che viene considerato nuovo. L'Europa colonialista ha messo milioni di maschere di pericoloso nemico potenziale a tutti i suoi colonizzati. Ha commesso dei crimini incredibilmente crudeli, in particolare in Africa. E non avrebbe potuto commetterli se non avesse messo preventivamente delle maschere ai suoi colonizzati. Nel corso del tempo, ne ha portato molti sul suo territorio, dacché la sua popolazione non cresceva al ritmo di cui aveva bisogno il suo apparato produttivo. Ma non li ha integrati culturalmente, né gli immigrati né i loro discendenti, dal momento che la maschera di selvaggio colonizzato era stata assimilata dalla sua società. Si è prodotto allora un doppio gioco di maschere: il portatore di una maschera selvaggia acquisisce una soggettività estremamente fragile, sentendo il peso del rifiuto sociale, ma non l'assume poiché non appartiene più alla cultura selvaggia.
Non c'è bisogno di avventurarsi nel campo della patologia per verificare che, in soggetti diversi, la debolezza soggettiva è talmente estrema da provocare un'angoscia insopportabile, alla quale si vuole sfuggire per mezzo di un diffuso travestimento da colonizzatore, contro la società che non smette mai di integrarlo. La fragilità soggettiva estrema lo porta a rispondere al "Chi sono io?» con un «io non sono il nemico colonizzatore». Dall'altra parte, gli orribili crimini di massa commessi da questi soggetti, provocano una reazione xenofoba che rafforza degli stereotipi discriminatori, riaffermando la distribuzione di maschere di non-persone. Non è difficile prevedere che questa reazione acuisce la fragilità soggettiva assai marcata degli altri, causando nuove catastrofi.
In sintesi: il doppio gioco delle maschere di nemico non è innocuo, almeno quando opera sulle persone, che per ragioni individuali arrivano al culmine della fragilità soggettiva vivendola con un'intensità talmente insopportabile da scoppiare in azioni di distruzione di massa e, in fondo, in un suicidio triangolare. Negli Stati Uniti operano delle ragioni in parte differenti che producono soggettività fragili. Il caso europeo appare estremo e più chiaro. Ma ci si può domandare se il mondo globalizzato (prima chiamato occidentale), in questo momento di transizione di paradigmi - secondo le parole di Boaventura de Souza Santos - non indebolisca le culture col risultato di riprodurre delle soggettività fragili.
In ogni caso, diventa necessario prestare una particolare attenzione alla distribuzione delle maschere, dal momento che si tratta di un gioco che finisce in un carnevale eccessivamente tragico, che ha come scenario un mondo che non è riuscito a dotare di una maschera di persona più della metà degli abitanti del pianeta.
- Eugenio Raul Zaffaroni - venerdì 26 agosto 2016 -
* Articolo apparso sul giornale argentino Pagina 12. Eugenio Raul Zaffaroni è un avvocato ed ex giudice della Corte suprema argentina.
fonte: EL Correo
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