domenica 18 novembre 2018

Siliconati!

SADIN

Culla delle tecnologie digitali (si pensi a Google ed Apple), la Silicon Valley incarna l'insolente successo industriale della nostra epoca. Questa terra, nel dopoguerra centro di sviluppo dell'apparato militare e informatico, è oggi il luogo di una frenesia innovatrice che intende ridefinire ogni aspetto della nostra esistenza per fini privati, dichiarando tuttavia di agire per il bene dell'umanità. Ma la Silicon Valley non rinvia soltanto a un territorio; è oggi soprattutto una mentalità, che sta muovendosi per colonizzare il mondo. Una colonizzazione di un nuovo genere, portata avanti da numerosi missionari (industriali, università, think thank) e da una classe politica che incoraggia l'edificazione di diverse Valley sui cinque continenti, sotto forma di ecosistemi digitali e di incubatori di start-up. Sadin mostra come un capitalismo di tipo nuovo stia agendo per istituire un tecnoliberismo che, attraverso oggetti connessi e l'intelligenza artificiale, intende ottenere profitti dai piú semplici dei nostri gesti, inaugurando l'era dell'«industria della vita».

(dal risvolto di copertina di: La siliconizzazione del mondo, di Èric Sadin. Einaudi)

Silicon Valley, la nuova dottrina che vuole colonizzare il mondo
- di Luigi Ripamonti -

Internet minaccia la democrazia? Di più, ha nel mirino «i principi fondanti dell’umanesimo europeo, propugnatori dell’autonomia di giudizio e del libero arbitrio, con i loro corollari del principio di responsabilità e del diritto delle società a decidere insieme del proprio destino».
È il braccio armato dello spirito della Silicon Valley, che sta producendo «una colonizzazione planetaria salutata con entusiasmo e con forte volontà di sottomissione da parte dei colonizzati». Spietata l’analisi e brutali le conclusioni di Éric Sadin ne La silicolonizzazione del mondo (Einaudi). Secondo il filosofo francese, da sempre attento agli sviluppi del digitale, si è imposta l’idea secondo cui lo schema economico proposto dai «colonizzatori» è l’incarnazione di «una forma luminosa di capitalismo non più fondato sullo sfruttamento della maggioranza ma su “virtù egualitarie” che offrirebbero a tutti la possibilità di muoversi “liberamente” e di “realizzarsi” al suo interno».
Ma la realtà — smitizza Sadin — è invece quella di un modello industriale fondato sull’accompagnamento algoritmico ininterrotto della nostra esistenza. Lo scopo della Rete non è più, da tempo, la sola raccolta di dati, bensì il loro utilizzo per creare un ambiente soft che ci abitua a delegare sempre di più le nostre decisioni, con l’obiettivo di arrivare a controllare e indirizzare i nostri desideri. Persino il neuromarketing diventa primitivo se paragonato al cloud, capace, grazie all’unificazione di innumerevoli sistemi deterritorializzati, di determinare all’unisono il comportamento di miliardi di individui, realizzando il privilegio di un legame diretto e ininterrotto con gli utenti-consumatori. Un rapporto disintermediato grazie al quale lo spirito della Silicon Valley può far valere la sua visione del mondo, a beneficio del profitto di una casta di individui che hanno paradossalmente saputo cucirsi sulla felpa lo stemma di benefattori dell’umanità. Ma proprio di paradosso si tratta, perché il tecnolibertarismo consiste nel dequalificare l’agire umano a vantaggio di un «essere computazionale» giudicato superiore.
Il suo ethos economico vuole aggrapparsi alle nostre vite fino a capitalizzarne ogni fiato.
La sua filosofia politica funziona da a-politica o da tecno-politica e tende a sbarazzarsi del politico inteso come libera capacità di individui e popoli di decidere, in comune e nel contraddittorio, del proprio destino. A essere messa sull’altare è la sola, incondizionata, libertà individuale, senza tener conto dell’altro termine dell’equazione, ovvero la cosa pubblica.
Lo Stato sociale e il suo corollario — l’imposta — sono considerati abusivi, giacché fondano il bene comune su un prelevamento di risorse scaturite dall’iniziativa individuale, unica creatrice di ricchezza.
Sadin non ha paura ad azzardare paragoni estremi, affermando che: «Come i sistemi totalitari il siliconismo è portatore di un’energia rivoluzionaria intenzionata a opporsi all’“inerzia delle società”, alla loro “lenta e ineluttabile dissoluzione”, per costruire nuove fondamenta purificate da scorie e debolezze umane. Abbiamo qui un apparato retorico bene assemblato ma relativamente povero, che dovendosi indirizzare a tutti si rifà a un catalogo ristretto di idee e corrisponde a quanto va sotto il nome di propaganda. Ma la sottigliezza e la forza di questa propaganda, al pari di quella nazifascista, è di fondarsi su un impianto destinato alla formazione di truppe».

- Luigi Ripamonti - Pubblicato sul Corriere del 30 Agosto 2018 -

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