martedì 20 novembre 2018

Senza via d’uscita!

quibe

I labirinti esistono dalla notte dei tempi, sono stati banco di prova di indimenticabili eroi e sfida dei più grandi viaggiatori, metafora di rinascita spirituale, ma anche simbolo di gioco e spettacolo fine a se stesso. Procedendo per analogie, aneddoti e suggestioni, Eliot sfida il lettore a intraprendere un viaggio attraverso dedali, reali e immaginari, che conducono alla scoperta di sé. Un’esperienza immersiva nella storia e nella mitologia, nella poesia, nel cinema e nella letteratura, alla scoperta di città, mondi e costellazioni sconosciute, raggiungibili soltanto da chi ha il coraggio di seguire quel sottile filo rosso.

(dal risvolto di copertina di: Henry Eliot - Segui questo filo - Il saggiatore)

Ho perso la direzione
- di Marco Bracconi -

Benvenuti nel libro-labirinto. C'è il rischio di perdersi, è vero, ma è altrettanto vero che bisogna necessariamente perdersi per potersi ritrovare. E allora accomodiamoci e seguiamo il filo che Henry Eliot dipana, attorciglia, scioglie, rimescola e nasconde. "Segui questo filo" è un libro particolarissimo, unico nel suo genere per struttura e impianto grafico; unico soprattutto perché determinato a voler essere un meta-libro che mentre narra il suo oggetto lo costruisce, costringendo il lettore a fare lo stesso.
L'oggetto in questione è il labirinto, appunto, protagonista assoluto del testo di Eliot e dei disegni di Quibe, illustratore abituato a tracciare le sue forme utilizzando una sola linea. Un oggetto che Eliot racconta per spunti, frammenti, suggestioni, tecniche e metafore, in un andirivieni disciplinare che tiene assieme Jorge Luis Borges e Umberto Eco, Pablo Picasso e Stanley Kubrick, matematica e mito, religione e architettura. Un percorso fatto di bivi, curve paraboliche e ingannevoli snodi, ricco di divagazioni erudite quanto di citazioni letterarie; qui le uniche strade che avanzano lineari sono il mito di Teseo e Arianna e la storia di Greg Bright, grande inventore di dedali e genio visionario votato alla realizzazione - prima di scomparire dalla scena - del labirinto "definitivo": quello dal quale non c'è via di uscita, perché ogni uscita conduce ad un altro bivio, e poi ad un altro ancora.
Un po' come in "Segui questo filo", dove l'autore ci porta sulle tracce di Dedalo, Minosse e Minotauro per poi continuamente deviarci, senza preavviso, verso le più diverse direzioni: biblioteche cunicolari e immaginarie, parchi rinascimentali, tradizioni e leggende, antropologia e storia, psicanalisi, arte, scienza.
Lo stesso vale per l'altro filo conduttore, la vicenda di Bright, anch'essa intrecciata ad un'infinità di rimandi ai labirinti di ogni dove e di ogni quando, tra un salto temporale ed uno scarto nello spazio. Risultato? Un dedalo di episodi, storie e interpretazioni che ricostruisce la vertiginosa complessità dell'idea di labirinto e prende esso stesso la forma di un percorso a ostacoli verso la (impossibile?) via d'uscita.
Quel che conta, sembra dirci Eliot nel suo saggio anomalo e gioco, non è la strada che ci porterà verso un fuori che forse non esiste, ma il movimento stesso di chi quella strada la cerca, perdendosi in essa. Sono gli autori della grande letteratura a convincerlo di questo, così come i molteplici significati che le culture hanno attribuito al dedalo o persino le sinapsi che governano la nostra intelligenza. Cos'è il cervello umano se non un labirinto di connessioni, biforcazioni, strade continuamente da scegliere o da evitare? E la scrittura, in tutto questo?
Poteva un libro simile resistere alla tentazione di inoltrarsi anche con quella nel dedalo? Certo che no, ed è qui che risiede l'ultima (e decisiva) anomalia del saggio, un format che in apparenza è solo "scherzo" grafico e invece si rivela struttura portante e significativa di tutta l'operazione. "Segui questo filo" ha infatti un suo comprensibile sviluppo, ma è un testo a "geometria variabile". scritto cioè senza alcun rispetto per l'impaginato lineare. Leggerlo vuol dire non solo voltare una pagina dopo l'altra, ma anche rovesciare o inclinare continuamente il libro stesso, invertirlo e rimetterlo sui suoi piedi, perché nessuna pagina comincia esattamente come e dove la precedente si è conclusa. In ognuna di esse, il tratto rosso di Quibe ci illumina o rende oscuro il passaggio, attraendoci in una rete nella quale, chissà, c'è perfino un anello che non tiene. Dove questo può essere non è poi così importante.
Se da Creta alla metropolitana londinese l'intero mondo è un labirinto, entrare e uscire allora è solo un gioco di specchi. E il Minotauro, a guardarlo dritto negli occhi, potrebbe non essere altro che noi.

- Marco Bracconi - Pubblicato su Robinson il 18/11/2018 -

labirinto

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