lunedì 26 novembre 2018

La competizione fra le sofferenze

i giorni contati

Note sui Gilet gialli, sull'anticapitalismo tronco e su Walter Benjamin
- di Rémi Coutenso -

La denuncia del (e la ribellione contro il) sistema da parte dei Gilet Gialli, parla di un anticapitalismo tronco che non viene detto nella lingua della lotta di classe. Ma che parla quanto meno di quell'anticapitalismo tronco che, nella società politica francese, è storicamente tanto di destra quanto di sinistra  (si veda "Genesi del Populismo, di Pierre Birnbaum). I Gilet gialli appaiono essere una manifestazione dell'anticapitalismo tronco classico, la cui originalità risiede tuttavia nel fatto che a livello di massa questa sua manifestazione non si iscrive nella politica dei partiti e dei sindacati (dal momento che essi vengono identificati come al servizio del sistema), ma nella politica "cittadina". Il movimento dei Gilet gialli è una forma di cittadinismo. Quando i portavoce dei Gilet gialli affermano: «noi non facciamo politica», in realtà stanno dicendo: ci rifiutiamo di fare un uso politico delle istituzioni rappresentative tradizionali della nostra democrazia. Così facendo, riattualizzano una possibile definizione costituzione della democrazia, in cui i governanti e i governati sono identici: il popolo. A tali condizioni, il Raggruppamento Nazionale [N.d.T.: Marine Le Pen] infiltrato in questo movimento, gioca su due tavoli: riesce ad infiltrare questa tendenza cittadinista più o meno di massa, sperando così di trarne benefici a livello di ricadute elettorali (tenta di farlo anche "La France Insoumise", ma sono molto meno bravi del "Rassemblement National").
Inoltre, una delle cause della tolleranza che hanno Gilet gialli nei confronti delle minoranze fasciste al loro interno, sembra essere conseguenza della loro insita predisposizione politica emotiva verso il movimento cittadinista, il cui orizzonte rimane esclusivamente nazionale. Non sono interessati all'Europa, se non sulla base di motivazioni nazionali, e la sofferenza sociale è così intensa che le concrete possibili future sofferenze sociali - nel caso che i fascisti dovessero prendere il potere - passano in secondo piano, secondo quella che è una logica di competizione politica fra sofferenze sociali. In definitiva, i Gilet gialli, a causa dell'anticapitalismo tronco che li struttura, producono una dinamica di contestazione sociale che continua a riportare incessantemente al capitalismo, non importa sotto quale forma.
Pertanto, si potrebbe forse interpretare questa elusione strategica della rappresentanza politica e sindacale tradizionale da parte dei Gilet gialli, come lo svilupparsi di quella mutazione della politica parlamentare che porta all'introduzione di oggetti tecnici di rappresentanza nella realtà sociale. È l'argomento di Walter Benjamin nel 1935: gli uomini politici non esercitano più la loro attività di rappresentanza nazionale degli elettori-cittadini davanti al parlamento, ma lo fanno di fronte alle videocamere. Benjamin spiega che a partire da questa svolta tecnica della rappresentazione politica, a prevalere sarebbero stati «gli atleti, le vedette e i dittatori». Va constatato che la sua diagnosi risalente al 1935 si è avverata nella nostra società. Ma quello che sta avvenendo con i Gilet gialli, forse porta a compimento il processo tecno-politico analizzato da Benjamin: i cittadini anti-sistema si sostituiscono agli uomini politici davanti alle videocamere. Forse i Gilet gialli sono solo delle star da un quarto d'ora, alla Warhol; oppure annunciano una forma, ed un desiderio, di dittatura del popolo. In ogni caso, se ci atteniamo alla diagnosi di Benjamin, in questa estetizzazione del popolo come figura politica non c'è niente di buono.

- Rémi Coutenso - Pubblicato su Facebook il 25 novembre 2018 -

Nessun commento: