mercoledì 25 luglio 2018

Estinguersi

cani

L’estinzione dei neandertaliani è uno dei grandi misteri della storia evolutiva. Un enigma che ha appassionato generazioni di scienziati sin dal 1856, quando furono rinvenuti i primi resti di questi ominidi. Per centinaia di migliaia di anni avevano vissuto in Europa superando le enormi sfide dei cambiamenti climatici, come mai allora sono improvvisamente scomparsi circa 45.000 anni fa? Pat Shipman punta il dito sul predatore più spietato del regno animale, l’Homo sapiens, e sul suo fido alleato, il cane.

(dal risvolto di copertina di: Pat Shipman, "Invasori. Come gli umani e i loro cani hanno portato i Neanderthal all’estinzione". Carocci.)

«In genere i libri che si occupano di scienza non iniziano dichiarando che alcuni dei più insigni scienziati del mondo hanno fatto un grave errore, ma questo libro sì. Quegli scienziati hanno torto. Benché nella comunità scientifica sia pressoché universalmente riconosciuto che le specie invasive costituiscono un enorme problema – alterano gli ecosistemi, sono la causa di estinzioni, riducono la biodiversità –, nel nostro catalogo delle specie invasive c’è una macroscopica omissione. Potete verificare voi stessi consultando l’elenco delle 100 specie invasive più pericolose, tratto dal Global Invasive Species Database. Insomma, alcune delle persone più esperte, informate, intelligenti e coinvolte del mondo sono in allarme riguardo alle specie invasive e alle modalità con le quali stanno cambiando il mondo. Queste persone compilano dati, fanno elenchi e documentano l’impatto delle specie invasive, ma quella che più di tutte le altre ha modificato l’ambiente – quella che ha contribuito all’estinzione di migliaia di specie e all’alterazione di ogni habitat possibile, quando non ne è stata addirittura la causa diretta – non è sull’elenco. Perché no?
Forse perché noi – noi umani, Homo sapiens – siamo quelli che scrivono l’elenco e non abbiamo voglia di guardare in faccia la nostra colpevolezza. Dopo un esordio evolutivo modesto, avvenuto in Africa intorno a 200.000 anni fa, il nostro genere si è diffuso in ogni angolo del mondo: ha invaso una regione geografica dopo l’altra, ha sfruttato nuovi habitat al punto che oggi è presente in ogni continente. Viviamo nel caldo soffocante dei tropici, nel gelo dell’estremo Nord, in cima alle montagne e in fondo alle vallate, su isole e continenti insulari, nei deserti, nelle foreste pluviali, nelle foreste temperate, negli ambienti aperti come in quelli chiusi. Non viviamo sott’acqua, tranne che in habitat artificiali come i sottomarini, ma molti umani vivono in barca o in villaggi galleggianti su laghi e fiumi. Ci siamo insediati praticamente in ogni habitat della Terra. È un primato terribile, che mette quasi sgomento.
Il nostro successo ha avuto un prezzo molto alto per il pianeta. Gli uomini moderni, Homo sapiens, hanno distrutto milioni di ettari di terreno fertile fino a che il terreno è stato eroso dai mari, ed è così ancora oggi. Abbiamo abbattuto immense aree coperte da foreste, boschi e praterie che un tempo producevano ossigeno che ricostituiva l’atmosfera, e frutti, foglie, radici e noci che sfamavano noi e molte altre creature. Siamo riusciti a inquinare, avvelenare e far seccare innumerevoli sorgenti d’acqua grazie ai nostri crescenti e insaziabili bisogni, ai nostri prodotti chimici tossici, ai nostri immensi cumuli di rifiuti. Ma soprattutto abbiamo contribuito all’estinzione di molte più specie di quante sia possibile calcolare. Questo libro esamina una fase particolarmente cruciale della nostra storia, l’epoca in cui si estinse l’ultima specie di ominini non umani (neandertaliani). Io sostengo che l’estinzione neandertaliana sia dovuta alla comparsa degli uomini moderni nella loro area geografica: in poche parole, gli umani sono una specie invasiva estremamente adattabile, e noi ci siamo comportati esattamente come tali nel corso di questa estinzione. Dal riconoscimento dei Neanderthal come specie, nel 1856, l’estinzione di questi nostri parenti stretti ha sempre costituito un enigma per i paleo-antropologi. A fronte della scoperta di nuovi fossili e dei passi avanti fatti nella ricerca e nelle nuove tecniche di analisi, l’estinzione di una specie dalle caratteristiche tanto familiari (usava il fuoco e gli utensili, era socialmente cooperativa, era capace di far fuori i grandi mammiferi, impiegava simboli, arte e comunicazione, anche se in misura limitata) continua a essere un mistero. Ma una volta capito cos’è che rende vincente una specie invasiva e quali sono i fattori che ne determinano l’impatto sull’ecosistema, l’enigma è risolto.
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Pat-Shipman-with-book

Il patto tra Sapiens e lupi che ha sterminato Neanderthal
- di Claudio Tuniz -

   Fra i cold case più intriganti della storia umana vi è quello di chi (o che cosa ) abbia provocato la scomparsa dei nostri cugini Neanderthal. Questo accadde a poche migliaia di anni dall’arrivo di noi della specie Homo sapiens in Eurasia, dove essi si erano perfettamente adattati per centinaia di migliaia di anni. L’elenco delle possibili cause della loro triste sorte è lungo e dibattuto. L’evidenza archeologica suggerisce che avevano capacità cognitive più limitate e tecnologie litiche meno avanzate delle nostre. L’analisi della loro struttura cranica indica un maggiore sviluppo di capacità visive (utili su un territorio a minore irraggiamento solare ) rispetto a quelle collegate con l’astrazione e la pianificazione (tipiche di noi Sapiens moderni, che eravamo di origine africana). La genetica suggerisce una loro minore capacità di formare ampi gruppi sociali. Inoltre la situazione climatica, ai tempi della loro scomparsa, era molto instabile.
    La competizione ecologica suggerisce quindi che, al nostro arrivo, siano stati sottratti loro risorse e spazi tali da provocarne l’estinzione. E questo anche indipendentemente dai probabili casi di scontri diretti, in cui noi avremmo potuto avere la meglio, in quanto più numerosi e meglio armati.
    L’antropologa americana Pat Shipman apre ora una nuova finestra su questa storia. Usando il metodo dello studio delle specie invasive — applicata a Homo sapiens — questa scienziata getta luce sul meccanismo attraverso cui avrebbe avuto luogo la scomparsa dei Neanderthal. Prima di allora abbiamo comunque avuto modo di incrociarci, come dimostrato da tratti del loro genoma che portiamo ancora con noi.
    Sappiamo che ai tempi della loro scomparsa una grande eruzione vulcanica ebbe luogo nell’attuale Campania, formando i Campi Flegrei. La cenere si sollevò nell’atmosfera, deteriorando le già pessime condizioni ambientali di tutto il continente. La temperatura globale si abbassò di due gradi e quella europea di oltre sei. Ma per i Neanderthal poteva sembrare uno dei soliti fastidiosi periodi glaciali che avevano già attraversato in precedenza, quando il freddo estendeva la tundra verso sud e il clima arido spingeva la steppa verso ovest. Mammut, rinoceronti lanosi, buoi muschiati, renne e altri erbivori si disperdevano, insieme ai loro predatori, fra cui gli stessi Neanderthal, seguendo le variazioni del paesaggio. Si pensava che lo stress prodotto sui Neanderthal dall’eruzione dei Campi Flegrei avesse dato loro il colpo finale.
    Ora però c’è una spiegazione alternati- va. Circa 44 mila anni fa comparve in Europa un nuovo predatore. Anche lui, come Neanderthal, fabbricava strumenti, controllava il fuoco, si adornava il corpo e si proteggeva dal freddo con pelli di animali. Ma questo nuovo umano faceva tutto questo con maggiore creatività. Si trattava della nostra specie.
    Con i loro corpi longilinei, le facce piccole e le teste rotonde da bambini, i nostri antenati Sapiens sembravano innocui, ma avevano in dotazione armi micidiali, che potevano colpire a distanza. Inoltre, erano in grado di formare grosse bande che, grazie a un sistema di coordinamento e pianificazione basato sul linguaggio, risultavano estremamente efficienti. Sembra che essi avessero addirittura sviluppato un nuovo tipo di occhi, dotati di sclera bianca, per cui potevano intendersi rapidamente tra di loro solo con uno sguardo. Secondo la Shipman, essi erano anche riusciti a comunicare con una nuova specie, che avevano posto al loro servizio.
    L’evidenza di questa alleanza risalirebbe a 30-40 mila anni fa, anche se la data è controversa. Assieme a centinaia di mammut — i cui resti venivano anche usati come materiale da costruzione e per fare utensili e ornamenti — si notano infatti, in Eurasia, i crani di una nuova specie di «cani-lupo». Questi nuovi «amici» erano stati prima addomesticati e poi addestrati a trovare e isolare le prede, che noi Sapiens potevamo colpire a distanza e braccare con le nostre mute di cani, se si allontanavano. Essi erano anche posti a difesa delle carcasse, che di certo fornivano più carne di quanta potessimo ragionevolmente mangiare.
    Nasce così una nicchia ecologica in cui conquistiamo uno spazio da «superpredatori». Se questa nicchia fosse emersa in concomitanza con la sopravvivenza delle ultime popolazioni di Neanderthal, essa avrebbe potuto costituire il colpo di grazia per la loro scomparsa, dopo la lunga serie di difficoltà citate in precedenza. D’altra parte essi erano già ridotti di numero e assai indeboliti geneticamente a causa di comprovati rapporti tra consanguinei, come risulta dall’analisi genetica di una donna Neanderthal dei monti Altai, in Russia. Dallo studio del genoma dei Sapiens sepolti a Sungir, nella stessa regione, 34 mila anni fa, risulta invece che la rete delle relazioni sessuali dei nostri antenati fosse molto più estesa di quella del loro gruppo di appartenenza.
    Con i Neanderthal, comunque, scomparvero anche altri predatori non umani dell’epoca, assieme ad altri grandi erbivori, in quella che viene definita come una «cascata trofica» nel sistema ecologico. Era l’inizio di quella che ora è definita la «sesta estinzione globale», totalmente a nostro carico. Si confermerebbe quindi, anche per questi versi, la caratteristica fortemente invasiva della nostra specie. Eppure, se guardiamo l’elenco delle specie invasive compilate dall’International Union for the Conservation of Nature troviamo centinaia di specie ma nemmeno l’ombra di un Homo sapiens. Forse perché a compilare quell’elenco è stato qualcuno di noi?

- Claudio Tuniz - Pubblicato su La Lettura del 26/11/2017 -

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