lunedì 23 luglio 2018

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sabba

Voli notturni verso luoghi solitari, rapporti sessuali con il demonio, orge e infanticidi, profanazione della croce e dei sacramenti: per alcuni secoli, tra Quattro e Settecento, l'immagine del sabba affiorò da un capo all'altro d'Europa (e poi in altri continenti, nei paesi colonizzati dagli europei) descritta da donne e da uomini accusati di stregoneria, di fronte a tribunali laici ed ecclesiastici. Confessioni raramente spontanee, più spesso estorte dalla tortura e dalle sollecitazioni dei giudici: ma che cosa si nascondeva dietro l'immagine del sabba?
Questo libro ricostruisce una traiettoria secolare in cui l'ossessione di un complotto contro la società, attribuito a gruppi via via diversi (lebbrosi, ebrei, musulmani, eretici e streghe), s'intrecciò a credenze popolari a sfondo sciamanico. Il complotto immaginario prese forma in un territorio limitato, dalla Francia all'arco alpino. L'indagine sullo strato sciamanico trascina chi legge in un immenso spazio eurasiatico, popolato da uomini e da donne, da personaggi del mito e della fiaba. Benandanti friulani, lupi mannari baltici, sciamani siberiani, zoppi e nati con la camicia, divinità notturne signore degli animali, Edipo e Cenerentola, segnano le tappe di un viaggio che si chiude affacciandosi sulle radici antropologiche del raccontare.

(dal risvolto di copertina di: Carlo Ginzburg, "Storia notturna. Una decifrazione del sabba". Adelphi.)

Alle sorgenti del sabba
- di Maria Bettetini -

Il miglior inganno del diavolo è convincerci che non esiste. Non l'ha detto sant'Agostino, neppure Anselmo, né Tommaso d'Aquino, almeno non con queste parole. Ma a tanti suonerà familiare la citazione di Baudelaire. perché buttata lì da Roger "Verbal" Kint, il non-protagonista dei "Soliti sospetti", un Kevin Spacey da Oscar del 1995. Oggi è imbarazzante parlare di questo superbo attore accusato di gravi molestie sessuali e autocensuratosi. Ma Verbal dice bene di diavoli e beffe. I nostri sono tempi di negazione del trascendente, sappiamo molto e riteniamo di essere grandi e autosufficienti, non più bambini che hanno paura del buio. Il personaggio di Kevin Spacey mette in guardia: un altro dei delinquenti suoi pari «diceva sempre Io non credo in Dio, però ne ho paura. Beh, io credo in Dio, e l'unica cosa di cui ho paura è Keyser Söze», che poi sarebbe lui stesso, una personificazione del demonio abile nel parlare di sé senza farsi riconoscere. Keyser come Kayser, l'imperatore, ma meglio sarebbe dire il Principe; Söze come la radice di tante parole nelle lingue del nord che indicano il male.
Non è stato sempre così. I filosofi si sono sentiti in dovere di neutralizzare un male evidente. Platone, il platonismo: il male è assenza del bene, è vuoto da riempire. È errore, così Aristotele, nella "Etica a Nicomaco", è mancanza di conoscenza adeguata e quindi decisione sbagliata del singolo soggetto. È scegliere il nulla anziché l'essere, preferire la ridicola vittoria del sé al regno di ciò che è veramente, la vanità, appunto, di ciò che è vuoto, vano. Il manicheismo sembrò offrire al giovane Agostino una buona soluzione, suggerendo che non c'è colpa, dove predomina il fango del male ad offuscare la luce del bene, s'ha da sopportare questo mondo momentaneamente misto e confuso, in attesa dei tempi puri e luminosi che verranno. Non si può, non si è mai potuto parlare di mondo e vita senza affrontare il tema del male, e a volte si è riusciti anche a dire dell'ineffabile suo Principe.
Demoni e divinità cattive (o anche solo beffarde, come i trickster) sono presenti in ogni forma di religione. Ma un essere che sia "il" Male, è difficile da dire e pensare. Nelle Scritture compare quasi come un personaggio da commedia, quando nel "Libro di Giobbe" spinge Dio a togliere ogni bene all'uomo buono, per verificarne la fede. Goethe così inizierà il Faust, con un Mefistofele che sfida il suo Dio a proposito dell'uomo sapiente: «Che cosa scommettere? Perderete anche lui, se mi date licenza di guidarlo cautamente a spasso a modo mio!». Licenza ottenuta: «Finché vive sulla terra, ciò non ti sarà vietato. Finché cerca, l'uomo erra». Ci furono però tempi in cui nel diavolo si credeva, e si credeva anche di poterne avere "commercio".

Il Medioevo, se pur è possibile darne una definizione temporale, stava terminando, l'Europa era scossa da guerre che in Italia toglievano ogni futuro al sogno dell'autonomia comunale, o anche dei regni delle singole signorie. Se dal nord arrivavano i soldati, portatori di malattie come la sifilide, dall'est estremo le navi dei mercanti portavano il flagello della peste, della "morte nera".
A metà del Trecento non vi fu città in Europa, in Nord Africa, in Oriente che fu colpita dal morbo, la cui popolazione non fosse dimezzata, decimata dal contagio. La reazione fu isterica, come ben descrisse a proposito di un episodio gravissimo, secentesco, Manzoni nella "Colonna Infame". Si cercò un capro espiatorio, le accuse caddero su ebrei, musulmani, eretici vari e lebbrosi, su tutti i "diversi". Si immaginò che costoro fossero d'accordo col principe del male e con lui si incontrassero per turpi orge e per tramare contro i cristiani.
Questi incontri erano detti «sinagoghe», «vauderie» (dai seguaci di Valdo, i Valdesi), oppure, più spesso, «sabati», feste ebraiche, quindi shabat, sabba. L'età moderna iniziava con le più retrive manifestazioni di odio verso gli "altri", all'Inquisizione appena nata si davano facili bersagli. Gli anni di maggior violenza nella repressione di simili presunte stregonerie furono tra la fine del Quattrocento e metà del Seicento, ancora nel secolo successivo vi fu qualche sparuta esecuzione. A poco a poco, però, le colpe erano passate dagli infedeli alle donne, soprattutto nelle campagne dove sopravvivevano riti pagani di propriziazione del raccolto.

E qui, alla fine di questa lunga, forse opportuna digressione, si pone lo studio di cui vogliamo parlare, la riedizione della "Storia notturna" di Carlo Ginzburg con una nuova postfazione. L'opera, già molto nota e dibattuta, è innanzitutto uno studio storico e preciso, colto, sulle origini e lo sviluppo della lotta ai presunti "complotti" contro la comunità, alle coalizioni tra il principe del male, i suoi sodali e gli umani (le umane) che con lui si alleavano. La ricerca non esclude mitologie e luoghi geografici, dando al lettore il godimento di capire meglio Edipo, Cenerentola e le mascherate di Halloween. Forse però la parte più interessante del saggio è la breve postfazione, che ritengo una vera e propria lezione su come si debba svolgere la ricerca, non solo storica, "la" ricerca.
In queste pagine, Ginzburg racconta dei suoi studi, delle sue convinzioni, di come ritiene di essersi sbagliato nel valutare il sabba attraverso un metodo "morfologico", che cerca il ripetersi di una forma definita. Gli scritti di Roberto Longhi lo hanno illuminato, gli studi su Piero della Francesca gli hanno fatto approfondire il rapporto tra storia e morfologia, la ricerca si è definita come esperienza umana che riproduce «su scala ridotta e in forma semplificata» l'esperienza umana: «avventurarsi in un mondo che non abbiamo scelto, di cui conosciamo una minima parte, in cui agire significa anche (non dirò soprattutto) essere agiti».

- Maria Bettetini - Pubblicato sul Sole del 19/11/2017 -

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