giovedì 28 giugno 2018

Dall'età degli Estremismi!

lefebvre libro

Scritto fra il 1934 ed il 1935, questo saggio è un puro prodotto de «L'Età degli estremismi», per riprendere il titolo del libro che lo storico Eric Hobsbawm ha dedicato al «Secolo Breve». I suoi propositi così come il suo stile recano in maniera indelebile le tracce di quest'epoca tumultuosa di confronto spietato fra il capitalismo e tutto ciò che è stato presentato come socialismo, con sullo sfondo l'ascesa dei fascismi e la crisi del movimento operaio. Per gli autori, il dibattito intellettuale partecipa di una lotta politica in cui la «polemica» e la «satira» vengono esplicitamente rivendicate come ingredienti indispensabili dell'argomentazione. Avremo quindi ben presto modo di collocare questa carica teorica contro la «mistificazione borghese», intesa come «un contributo alla creazione di una coscienza vera e rivoluzionaria», nel bel mezzo delle opere obsolete di un'epoca passata. Tuttavia a torto. Certo, il manicheismo «proletario» che impregna tutto l'insieme dell'approccio appare terribilmente datato. E lo stesso vale anche per la fiducia un po' forzata, che Guterman e Lefebvre ripongono nel trionfo finale della «Verità».
Questa fuga in avanti nell'ottimismo dell'intelligenza rivela meno metodo dialettico di quello del buon dottor Coué. Ma al di là degli eccessi e delle derive imputabili ad una congiuntura in cui i conflitti e gli scontri venivano resi particolarmente aspri a causa del carattere drammatico della posta in gioco, quanti punti di vista penetranti e quante osservazioni pertinenti!
Testimonianza di una lucidità tale che molti di questi punti di vista e di queste osservazioni sembrano riguardare l'evoluzione più recente del capitalismo. Qualsiasi cosa ne pensino - o fingano di pensarne - gli accondiscendenti, l'alienazione, il feticismo e la mistificazione, di cui i due autori si impegnano a svelarne i fondamenti e a smantellarne i meccanismi, fanno più che mai parte integrante del dominio. Ed è questo il motivo per cui gli sviluppi critici dedicati al «funzionamento automatico dei feticci» potrebbe essere perfettamente applicato ai discorsi che celebrano la «esplosione delle nuove tecnologie della comunicazione», che sono state erette come se si trattasse di veri e propri deus ex machina di una «rivoluzione informatica» che si imporrebbe all'umanità come se essa non fosse il prodotto della sua stessa propria attività.
Allo stesso modo, mentre si parla sempre più solamente di «produrre del valore per l'azionariato», alcuni passaggi sembrano essere stati scritti appositamente per degli analisti finanziari ai quali l'aumento continuo degli indici di borsa hanno fatto perdere qualsiasi giudizio critico.
«Questo denaro vuole riprodursi di per sé ad un ritmo sempre più rapido, in un turbinio, liberato da ogni peso materiale: libero dalla produzione materiale che disprezza. La speculazione è inebriante; si precipita negli spazi dell'astrazione; fa pensare allo speculatore che sia stato liberato dalla materia. Vive in una piena astrazione algebrica, in piena irrealtà psicologica [...]».

La falsificazione, che secondo Guterman e Lefebvre appare come un fattore centrale «per ogni teoria dell'ideologia borghese», ormai non risparmia neanche il campo politico. Proseguendo nella loro ricerca chimerica di un capitalismo alla fine domato e civilizzato dallo Stato, organismo della volontà collettiva e salvatore supremo del bene comune, i crociali dell'anti-liberalismo e gli altri difensori del «pensiero unico» - tanto per citare solo loro - farebbero bene a leggere le righe che gli autori dedicano a questa «mistificazione colossale». Distinguendosi dalla società in nome degli interessi comuni, aggiungono che «lo Stato si distingue dall'interesse generale, o piuttosto presuppone che non ci sia un interesse veramente generale, in quanto sennò allora il popolo potrebbe amministrare sé stesso». Un'osservazione iconoclasta rispetto alla quale la creazione dell'ENA non fa che confermarne la fondatezza.
In un libro che è rivolto innanzitutto a guidare una contro-offensiva sul fronte culturale - trascurato non solo dal marxismo ufficiale, ma dagli stessi Marx ed Engels, per mancanza di tempo - appare logico che per i pensatori più in vista dell'epoca quel fronte costituisse un obiettivo privilegiato. Non è che siano all'origine della «onnipresente mistificazione» in cui si bagna la coscienza che l'uomo ha di sé stesso. Dal momento che «non inventano la materia del loro pensiero; ricamano sui temi che nascono dalla vita quotidiana; il loro lavoro è soprattutto quello di una sistematizzazione, una giustificazione delle contraddizioni che trovano bell'e pronte». Ed è proprio alla «critica della vita quotidiana» che Henri Lefebvre si dedicherà più tardi. Non è forse essa che fornisce il terreno, la «base sociale» su cui fioriscono, secondo un processo di «creazione continua», ideologie ed illusioni?
Lefebvre e Guterman non sono per niente avari di diatribe contro i «mentitori specializzati», gli «impostori di successo» ed altri esempi di quella che è il «servitorume» filosofico, letterario e artistico. Le pagine da antologia dedicate a questa «burocrazia culturale» non fanno una piega: basterebbe solamente attualizzare i cognomi, «dal momento che tutto è progettato dagli editori e da un compromesso perpetuo; compiacere, vendere, offrire qualcosa di nuovo, ma in delle vecchie cornici [...] Il fine: arrivare a tutta la clientela. Certo, piani diversi; ma l'insieme funziona come se fosse una nassa per i pesci a più scomparti.»
Il periodo di restaurazione ideologica e di decomposizione intellettuale che seguì alla crisi del 1929 ebbe, fra le altre cose, anche i suoi «nuovi filosofi»- «Maligni, i "nuovi filosofi". Hanno creato un'atmosfera di compiacenza generale. I bei spiriti pubblicano libri; si critica gentilmente, con cortesia. O si prendono in prestito dei pezzi. Non si passa sulle idee. Repubblica dei buoni amici dello Spirito.» Seguono poi dei nomi che potrebbero essere facilmente sostituiti da quelli delle star più contemporanee del pensiero conforme. Ma, proseguono Guterman e Lefebvre, «sono questi i costumi in tempo di pace.» Basta che si verifichi un serio conflitto, sociale o militare, «ed ecco che coloro che sono distaccati tornano di colpo nella vita reale.» Assumendo dei comportamenti adatti, come si è verificato nuovamente durante lo sciopero del novembre-dicembre 1995 o nel corso della guerra imperialista contro la Jugoslavia. «Il distacco filosofico si rivela una commedia, ed i legami appaiono manifesti, e sono i legami di una servitù piatta e cieca. Il pensiero puro ha smesso di essere la casta al servizio della teologia solo per diventare la prostituta del capitale.»
Chi oserebbe dire che queste osservazioni hanno perso ogni attualità? Potremmo moltiplicare le analogie, perché i «pezzi di bravura» di questa medesima vena abbondano in questo libro. Basti dire che la sua lettura è assai rinvigorente!

- Jean-Pierre  Garnier - Pubblicato in: L'Homme et la société, N. 135, 2000. « Pensée unique » et pensées critiques. pp. 174-176.

(Norbert Guterman, Henri Lefebvre, La conscience mystifiée, [1936] préface de Lucien Bonnafé, René Lourau, préface de Henri Lefebvre à la 2e éd., Paris, Syllepse, 1999.)

fonte: Persee

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