martedì 5 giugno 2018

Alla vostra salute!

jacob1Il mito di Robin Hood
- Che ne è stato dei banditi sociali ? -
di César G. Calero

«I fought the law
And the law won»

(Sonny Curtis and The Crickets)

«Il furto è la restituzione, il recupero del possesso. Anziché rinchiudermi in una fabbrica, come dentro una prigione; invece di mendicare quello che mi spetta di diritto, ho preferito ribellarmi e combattere i miei nemici a viso aperto, muovendo guerra ai ricchi, attaccando i loro beni...». Marius Jacob, il celebre ladro anarchico francese, così si rivolge ai magistrati che lo giudicano, al processo di Amiens, leggendo la sua dichiarazione - Perché ho rubato - dove descrive sé stesso come «un ribelle che vive dei proventi dei suoi furti». È il mese di marzo del 1905 e Jacob evita la pena di morte, in cambio dovrà passare i successivi vent'anni della sua vita in una prigione della Guaiana Francese. La giustizia lo accusa - fra gli altri reati - di aver portato a termine più di 150 furti in chiese, in palazzi e hotel, insieme ai Lavoratori della Notte, la banda di rapinatori libertari che dal 1897, con la sua audacia, ha tenuto in scacco la polizia francese. Gli uomini di Jacob si travestono da preti, da ufficiali dell'esercito, da aristocratici, e senza mai sparare un colpo, dopo lasciano un messaggio che porta la firma di Attila, lo pseudonimo di Jacob: «A dio onnipotente, siamo i tuoi ladroni».

Il mito di Robin Hood, il ladro nobile che ruba ai ricchi a beneficio dei poveri, cominciò a diffondersi in tutto il mondo a partire dal XIV secolo, attraverso i poemi, le ballate e i racconti orali che raccontavano le prodezze del principe dei ladri. A partire da allora, l'immagine dei «banditi buoni» è arrivata a godere di attributi quasi divini. La cultura popolare le ha dedicato canzoni e racconti, poemi e drammi, altari pagani e regni simbolici. Le leggende intorno a questi generosi fuorilegge hanno nutrito per molti anni l'immaginario dei più svantaggiati. Alcuni abbracciarono la causa della rivoluzione, altri diedero la propria interpretazione della giustizia sociale, e ci furono quelli che presero la strada del grilletto facile. Che cos'hanno in comune Pancho Villa e Diego Corriente? Malverde e Lampião? Gaspard de Besse e Phoolan Devi? Jesse James e Jules Bonnot? Gauchito Gil e Marius Jacob? Salvatore Giuliano e Juraj Jánošík? Per Eric Hobsbawm, lo storico marxista che ha trattato il problema nei suoi libri, "I Ribelli" (1966) e "I Banditi" (1969), questi personaggi, insieme ad una legione di anime ribelli, incarnano in un modo o nell'altro il prototipo del «bandito sociale» - come venne battezzato dal saggista inglese quel giustiziere cui il popolo ha conferito un alone di misticismo e di invulnerabilità, le medesime qualità che una volta venivano cantate a proposito delle gesta del prodigioso arciere delle foreste di Sherwood. Hobsbawm ha osservato che le storie di questi banditi che rubavano ai ricchi e che ridistribuivano la ricchezza fra i poveri (o quanto meno ne parlavano) si succedevano con delle caratteristiche assai simili nelle diverse regioni del mondo. Questo fenomeno universale si verificava principalmente nelle società contadine che si trovavano in quello stadio evolutivo che si situava fra l'organizzazione tribale e familiare e la società capitalista industriale. «Sulle montagne e nei boschi, bande di uomini fuori dal controllo della legge e dell'autorità, violenti e armati, imponevano la loro volontà alle loro vittime, per mezzo dell'estorsione, il furto ed altre procedure. In questo modo, sfidando coloro che detenevano o che rivendicavano il potere, la legge ed il controllo delle risorse, il banditismo sfida simultaneamente l'ordine economico, sociale e politico. È questo il significato storico del banditismo nelle società con divisione in classe e Stato (...) L'essenza dei banditi sociali sta nel fatto che essi sono contadini fuorilegge, che il signore e lo Stato considerano criminali, ma che rimangono dentro la società contadina e che vengono considerati dalla loro gente come degli eroi, dei paladini, dei vendicatori, dei combattenti per la giustizia, a volte perfino dei leader della liberazione, ed in qualche caso come persone da ammirare, da aiutare e da appoggiare», sostiene Hobsbawm nella quarta edizione del suo "I Banditi" (1999). Sebbene circoscriva il fenomeno del banditismo sociale in un ambito rurale, il pensatore marxista - la cui prima edizione di questo saggio ebbe alcune critiche da parte di altri storici per non aver definito con maggior chiarezza il quadro politico in cui si sviluppa il fenomeno - dedica diverse pagine della sua opera ad altri proscritti che avevano agito anche al di fuori del mondo rurale, come nel caso degli espropriatori anarchici del XX secolo.
Il fuorilegge che brandisce la sua spada o che impugna la pistola contro gli abusi in nome della giustizia sociale, possiede alcune caratteristiche che lo rendono facilmente identificabile, sia che si tratti di un cosacco delle steppe russe, di un brigante dell'India o di un bandolero andaluso. Hobsbawm ha rilevato vari attributi, quando si è trattato di tracciare l'immagine di un bandito sociale. Nel DNA di ogni nobile ladro degno di questo nome, dev'essere evidente, come un tatuaggio sulla pelle, il principio che dà senso al mito di Robin Hood: «rubare al ricco per dare al povero». Il bandito buono è solito oltrepassare i margini della legge in quanto è vittima di un'ingiustizia. Sarà l'affronto subito a garantirgli il lasciapassare per non essere considerato un criminale dal popolo. Il ladro generoso uccide solamente per legittima difesa (una massima, questa, alla quale non tutti si conformeranno alla lettera), si sente invulnerabile, e quando cade la cosa è dovuta ad un tradimento. Era questa l'immagine dell'arciere di Sherwood? È questo il modo in cui, in Robin Hood, Alexandre Dumas fa parlare il fuorilegge: «Va bene, sono quello che la gente chiama un bandito, un ladro! Però, anche se derubo i ricchi, non prendo niente ai poveri. Detesto la violenza, non ho mai versato sangue; amo la mia patria, e la tirannia mi è odiosa». I trovatori del XIV secolo avevano già cantato le gesta di quel Robin Hood reale o immaginario che fosse stato. William Langland, autore del poema Piers Plowman (1377), cita il principe dei labri facendo parlare di lui il sacerdote Sloth: «Conosco versi da Robin Hood». È la prima volta che il fuorilegge della contea di Nottingham viene citato in un libro a fronte dei cavalieri normanni e del clero. Le prodezze del ladro generoso continuano ad essere lette e cantate nel XV secolo. Molti anni dopo, nel 1795, l'antiquario inglese Joseph Ritson pubblicò una raccolta di ballate su Robin Hood, che col passare del tempo avrebbe risvegliato l'interesse di storici, letterati, poeti e cineasti.
Ma tutto questo fervore storiografico e letterario nei confronti del fuorilegge della foresta di Sherwood non è servito a dimostrare se sia mai esistito un Robin Hood in carne ed ossa. Indubbiamente, la sua leggenda si è nutrita di altri personaggi, come Hereward the Wake (Il Fuorilegge), il figlio di un nobile sassone assassinato dai normanni che prese le armi contro re Guglielmo il conquistatore nell'XII secolo. Fu lo storico Joseph Hunter che a metà del XIX secolo investigò a fondo, negli archivi di York, sulla figura dell'eroe sassone, e arrivò alla conclusione che era esistito un tale Robert Hood, nato nel 1290, che aveva finito per ribellarsi contro Edoardo II d'Inghilterra, assaltando i commercianti che passavano per il bosco di Sherwood. Le scorrerie di Hood ebbero fine con una promessa di fedeltà al re. Tuttavia, per tutto il XIII ed il XIV secolo, fino alla comparsa delle prime ballate nel XV secolo, sono stati vari i fuorilegge identificati come Robin Hood, tutti insorti contro i normanni. Questo Robin Hood, individuale o collettivo, che affrontava i potenti e difendeva gli umili, è stato sublimato attraverso il folklore medievale. La sua leggenda è sopravvissuta nel corso dei secoli come una corrente di acqua sotterranea, che affiorava qua e là. Uomini che non avevano mai sentito parlare del principe dei ladri, ne hanno assunto l'eredità ogni volta che si sono sollevati in armi contro l'ingiustizia sociale.

jacob Gauchito_Gil_and_San_La_Muerte

Alcuni degli eredi di Robin Hood divennero dei veri e propri santi laici, i quali ancora oggi continuano ad essere venerati da migliaia di fedeli. E, allo stesso modo in cui è avvenuto con il primo ladro nobile, nelle loro biografie insieme ai riferimenti regali se ne trovano altri provenienti dall'immaginario popolare. Questo è il caso di Jesús Malverde (Jesús Juárez Mazo), il bandito di Sinaloa, cui hanno reso omaggio tutti i narcotrafficanti di quello stato messicano dove si cantano ballate sulle sue presunte imprese. Considerato un ladro generoso - giustiziato nel 1909 - Malverde era adorato da quelle classi popolari dalle quali più tardi sarebbero sorti i cartelli di Sinaloa. La sua cappella, eretta nella città di Culiacán, di solito veniva accudita dai contadini delle sierre, da pescatori ed operai. Fino a quando non arrivarono i narcos e cominciarono ad offrire il loro AK-47 mentre recitavano una preghiera affinché i loro carichi di droga potessero arrivare senza problemi a destinazione, a nord del Rio Grande. All'altro capo dell'America Latina, il culto pio corrisponde ad un altro ladro di strada dal cuore generoso, el Gauchito Gil (Antonio Mamerto Gil Núñez), capo di una banda di briganti della provincia di Corrientes. Ogni 8 gennaio, decine di migliaia di fedeli arrivano nella città di Mercedes, a chiedergli di intercedere per loro. Ci sono centinaia di versioni delle avventure del più famoso dei "gaucho miracolosi". La maggior parte, apocrifi. Raccontano che il Gauchito Gil, devoto di San La Muerte, avesse poteri sovrumani in grado di deviare le pallottole nemiche, e questo non è niente. Ma fece la tragica fine di tutti i malvagi. Lo appesero a testa in giù ad un albero di carrubo e gli tagliarono la gola. Il suo primo "miracolo" fu quello di aiutare il suo carnefice, al quale prima di morire aveva chiesto solamente che pregasse per lui. La leggenda narra che il boia gli diede ascolto e perciò suo figlio, che era affetto da una grave malattia, venne guarito. Da quel giorno il Gauchito Gil non ha mai smesso di ricevere richieste.

jacob lampiao

A Doroteo Arango, meglio noto come Pancho Villa, non viene attribuito alcun miracolo, se non quello di essere stato in grado di invadere gli Stati Uniti d'America! La provvidenza e la sua abilità di pistolero, lo salvarono più di una volta («le pallottole gli rimbalzavano, come la pioggia sul sombrero», scrive Eduardo Galeano in Memoria del Fuego). Pancho Villa si pose a margine della legge, dopo aver sparato ad un proprietario terriero che aveva violentato sua sorella maggiore. Insieme ad una banda si dedicò ad assaltare i villaggi dello Stato di Chihuahua e a farsi giustizia con le proprie mani. Fu lo scoppiare della rivoluzione messicana a cambiare il suo destino. Come sottolinea Hobsbawm, il suo è stato forse il caso più emblematico che vede un bandito senza alcun bagaglio politico che si trasforma in un rivoluzionario. Nel 1910, il presidente Madero lo reclutò per la sua causa e subito Villa si fregiò con le mostrine e con i gradi di generale. Sotto il suo comando, gli eserciti del nord contavano le loro battaglie come vittorie, fino al suo ritiro nel 1915. Curiosamente, il bandito rivoluzionario finì i suoi giorni come proprietario terriero. Quando volle tornare in politica, una raffica di proiettili tagliò la strada ai suoi desideri, nella città di Parral, il 20 luglio del 1923. Venne ucciso quando non era più un bandito!
A capo di un potente esercito, c'era anche Virgulino Ferreira da Silva, alias Lampião (Farol), "el cangaceiro" (il bandito rurale) più temuto del Nordest brasiliano, idolatrato dal suo popolo nonostante avesse dato prova di una crudeltà che contraddiceva al Vangelo del Buon Bandito. Nella terra impoverita del sertão brasiliano, all'inizio del XX secolo, quella che governa è la frusta del fazendeiro, la quale si avvale della potenza di fuoco di bande armate per mantenere la sua autorità e sfidare le cosiddette "forze volanti" del Governo. L'omicidio del padre del giovine Virgulino per mano di uno di questi partiti governativi lo spinge a prendere le armi. «Ti vendicheremo fino alla morte», giura sulla tomba di suo padre. Imbraccia il fucile e si unisce ad una banda di cangaceiros che ben presto diverrà la sua banda. Lampião è un bandito atipico. Con i suoi spessi occhiali ed il suo corpo emaciato, provoca allo stesso tempo timore e ilarità. Lo chiamano «il capitano da operetta», ma i polsi non gli tremano quando si tratta di pareggiare i conti con un nemico o con un traditore. Le foto dell'epoca lo mostrano con un cappello di pelle adornato con monete d'oro, con una giacca militare, cartucciere, moschetto e un enorme pugnale appeso alla cintola. Accanto a lui, l'inseparabile Maria Bonita, la donna che lo accompagnerà fino al 1930, per tutta la sua vita di malvivente, fino alla morte verso cui andranno incontro insieme otto anni dopo. Un periodo costellato di saccheggi nelle città e di attacchi feroci contro le forze volanti. Si possono leggere le sue avventure attraverso i poemi popolari che fiorisce a Pernambuco. Quando Lampião muore, quella che pende da una corda, nella piazza, è la sua testa e quella della sua compagna. Per gli abitanti dei villaggi del sertão, quello che è morto è un eroe, non un cattivo. Un uomo coraggioso che ha preso le armi contro l'ingiustizia sociale, anche se nel turbine delle battaglie quella rivendicazione è svanita. E questa contraddizione che circonda la figura di Lampião ha spinto Hobsbawm ad includerlo in una sotto-categoria di banditismo sociale, quella dei "vendicatori", il cui comportamento a volte è nobile e a volte criminale. Per lo storico marxista, si trattava di un "eroe ambiguo". Il canzoniere popolare. già ai suoi tempi, aveva registrato tale antinomia:
«Uccideva come per distrazione
Non per pura perversione
E dava da mangiare agli affamati
Con amore e carità
»
Rubem Braga, il grande cronista brasiliano, lo ritrasse così in "O conde e o passarinho" ["Il conte e il passerotto"]: «Lampião, che esprime il "cangaço" [il banditismo], è un eroe popolare del Nordest. Non credo che il popolo lo ami solo perché sia crudele e coraggioso. Il popolo non ama senza un motivo. Quello che ha fatto corrisponde ad un preciso istinto del popolo (...) Le atrocità dei cangaceiros non sono stati loro ad averle inventate, né costituiscono un loro monopolio. Le hanno apprese via via, andando avanti, e in molte occasioni a proprie spese».

jacob_maria_bonita

Anche i "dacoits" [banditi, assaltatori, di strada] dell'India condividono il dubbio onore di essere simultaneamente angeli e demoni. Per gli inglesi - racconta Hobsbawm - erano solo delle "tribù criminali". Tuttavia, molte delle bande che operavano nel paese riservavano una parte del loro bottino alla "carità". Come nel XIX secolo facevano nel nord e nelle miniere del centro i "badhaks", gruppi formati in parte da contadini che erano stati espropriati delle loro terre e si erano trasformati in banditi professionisti. Spesso, questi ladri arrivavano a stabilire patti con le autorità locali, per ottenere terra ed altri diritti in cambio della protezione di villaggi e strade. Questo fu il caso di Gajraj, un capo badhak noto come il Robin Wood di Gwalior. O il caso di Phoolan Devi (1963-2001), una delle poche donne bandito di fama che venne accusata di essere una dacoit. Appartenente ad una sotto-casta di paria, i mallah, venne costretta a sposarsi all'età di 11 anni e violentata e maltrattata dallo sposo e dagli altri membri della sua comunità. Le continue persecuzioni e vessazioni la fecero diventare un'intoccabile, un'emarginata. Sequestrata da una banda di dacoit, finirà per assumere che la sua unica possibile forma di vendetta è quella di arrivare ad essere la regina dei banditi: «Dal momento che vivevano nella paura, l'unica opzione era quella di spaventarli. Poiché utilizzavano la violenza, era necessario essere più violenti di loro». A soli diciassette anni era già adorata dai contadini della sua casta. Sarà il tradimento, fenomeno inseparabile dall'idiosincrasia del banditismo, a perdere Phoolan Devi, così come era avvenuto per Lampião ed altri famosi fuorilegge. Il declino di Phoolan Devi comincia quando un guru di un'altra casta uccide Vikram, suo marito. Avrà tempo per vendicarlo ma, stanca di fuggire, patteggerà la sua resa con lo Stato. Come Pancho Villa, vuole passare dalle armi alla politica. Al "Centauro del Nord" un simile desiderio gli costò la vita. E così anche a Phoolan Devi. Entra in Parlamento nel 1994 per mezzo di un partito socialista, ma sette anni dopo, un thaktur (la stessa setta alla quale apparteneva il guru che le aveva ucciso il marito) la crivella di pallottole sulla porta di casa sua, a New Delhi. Per la regina dei banditi di Utter Pradesh, essere una dacoit non era una vergogna: «Ho distribuito denaro fra i poveri (...) ho punito gli stupratori e i saccheggiatori, ho restituito agli uomini quello che loro mi hanno fatto soffrire. Essere una dacoit significa fare giustizia», così ha scritto nella sua autobiografia.
Sebbene abbia vissuto più a lungo della maggioranza dei banditi giustizieri, la fine di Phoolan Devi è stata altrettanto tragica di quella di tanti altri Robin Hood. Diego Corriente, il bandito andaluso, morì all'età di 24 anni, senza avere mai ucciso nessuno, così come Gaspar de Besse, il fuorilegge della Provenza francese (entrambi nati nel 1757 e morti nel 1781). E Juraj Jánošík, il più celebre dei banditi dei Carpazi fra la fine del XVII secolo e l'inizio del XVIII, venne ucciso all'età di 25 anni.
Corriente, De Besse e Jánošík hanno fatto una fine atroce. Il malvivente andaluso venne impiccato un Venerdì Santo. De Besse venne crocifisso e lasciato morire. E Jánošík venne appeso per mezzo di un gancio che gli era stato conficcato nelle costole. Tutti e tre erano fedeli successori dell'arciere di Sherwood. «Sono Diego Corrente/quello che non aveva paura di nessuno/quello che in Andalusia/camminava per strada/e rubava ai ricchi/e aiutava i poveri», così recita la famosa canzone sul bandito di Utrera. «Rubiamo solo ai ricchi, ai nobili, ai grandi beneficiari del clero (...) Mai ai contadini, né verranno molestati o derubati i poveri (...) Li spaventiamo ma non li uccidiamo mai», così Gaspard De Besse si rivolge ai suoi. La guerriglia ribelle di Jánošík rubava ai ricchi mercanti e distribuiva parte del bottino fra i contadini poveri. Oggi egli è uno degli eroi popolari della Slovacchia e uno dei fuorilegge cui sono state dedicate fra il maggior numero di ballate nel corso dei secoli. La tradizione orale, nella quale vengono esaltati i nobili ladri, per gli storici è sempre stata fonte di controversie. Lo stesso Hobsbawm venne criticato per aver basato parte delle sue tesi sul banditismo sociale a partire da queste fonti orali e da delle ballate anonime.

jacob Poolan

Nel momento in cui si davano alla macchia, i banditi erano consapevoli del fatto che, con una taglia sulla testa, la loro vita sarebbe stata più breve di quella dei comuni mortali. Prima delle forze dell'ordine, quello che temevano era un nemico più letale per la loro sopravvivenza: il tradimento. Nel corso della storia del banditismo, si ripetono i casi di leggendari fuorilegge che vengono consegnati alla legge, o che sono assassinati da parte di qualcuno che appartiene alla loro cerchia più ristretta. La loro invulnerabilità, quella qualità simbolica che li circonda e che si fonda sulla protezione e sull'ammirazione popolare, assai spesso collassa proprio all'interno della propria trincea. Secondo la leggenda, a Corriente lo perderà la gelosia di una donna. Jesse James, il fuorilegge del Far West che si considerava un nobile ladro nonostante abusasse della pistola, venne ucciso da Robert Ford, uno dei suoi uomini fidati. Salvatore Giuliano, l'affascinante bandito siciliano della prima metà del XX secolo che amava così tanto le interviste, venne tradito e assassinato nel luglio del 1950 dal suo luogotenente Gaspare Pisciotta. La breve vita di questo Casanova del banditismo siciliano venne segnata dalla crescita dell'indipendentismo che viveva la Sicilia in quel periodo, e a cui Giuliano, un Robin sanguinario e contraddittorio, aderì, alleandosi alla mafia e rimanendo alla fine vittima dei velenosi rapporti fra Stato e Cosa Nostra.
Nel guazzabuglio del banditismo sociale, Hobsbawm include anche gli espropriatori anarchici spagnoli che rapinavano banche, gioiellerie e alberghi per finanziare la causa libertaria e per propagar "l'idea". La leggenda di Francisco "Quico" Sabaté, che Hobsbawm elegge a paradigma degli espropriatori, si diffuse in tutta la Catalogna negli anni '50 del secolo passato, quando la sua abilità a sfuggire alle imboscate della polizia gli aveva conferito l'aura di immortalità degli antichi banditi. Fra i resistenti antifranchisti, fu quello che causò maggior problemi alla Brigada Político Social. Né lui né José Luis Facerías, un altro membro di spicco del maquis anarchico, erano banditi. Rubavano, come avevano fatto qualche decennio prima i loro predecessori Durruti, Ascaso e Jover, al fine di raccogliere fondi per la lotta rivoluzionaria. La stampa franchista, tuttavia, a causa degli scontri armati con la polizia, li ha sempre descritti come pistoleri crudeli. In un'occasione, Sabaté rapinò ad un commerciante di tessuti di Barcellona quattromila pesetas, che dovevano servire per finanziare un colpo più sostanzioso. Una volta portata a termine la rapina ad una succursale del Banco di Biscaglia, nella quale il suo gruppo riuscì ad impadronirsi, senza sparare un solo colpo, di un bottino di 700.000 pesetas, El Quico fece avere al commerciante la quantità di denaro che aveva avuto "in prestito". Alcuni anni dopo, ferito e braccato da centinaia di guardie civili, Sabaté fece uso della sua settima ed ultima vita a Sant Celoni, finendo crivellato di colpi. Era il 5 gennaio del 1960 e si concludeva la Guerra Civile per uno degli ultimi guerriglieri libertari.
Senza avere la determinazione ideologica degli espropriatori anarchici, ci sono stati altri banditi sociali che hanno alzato la bandiera della rivoluzione. Jules Bonnot e la sua banda, rapinatori professionisti francesi, portavano la ribellione sociale nel cuore e la pistola ben stretta alla cintura. Nel suo libro, "Hors la loi - Anarchistes, illégalistes, as de la gâchette....ils ont choisi la liberté", Laurent Maréchaux si riferisce alla banda Bonnot come a «gli esclusi della Belle Époque». Meccanico il giorno, e malvivente la notte, Jules Bonnot (1876-1912) ben presto fa il salto nel ben più redditizio mondo della malavita: «Se vuoi esser libero, comprati un fucile. Se non hai soldi, rubali». Una regola, questa, che porterà fino alle sue ultime conseguenze insieme ad un gruppo di kamikaze libertari. La borghesia francese è terrorizzata dalla violenza delle loro rapine. La persecuzione della polizia sarà implacabile. Uno dopo l'altro cadranno tutti i membri della banda. Circondato da 500 poliziotti, il 27 aprile del 1912, Jules Bonnot si spara in testa. Ma prima si siede ad un tavolo e scrive: «La società non mi ha capito, ho il diritto di sopravvivere, e dal momento che la vostra società imbecille e criminale pretende di impedirmelo, allora peggio per essa, per tutti voi!».

jacob indiani

Nel XX secolo, La fine della fase pre-industriale sta mettendo in secondo piano la comparsa di nuovi banditi sociali. Anche se il fenomeno è continuato con altre caratteristiche (Hobsbawm cita i casi del bizzarro Esercito Simbionese di Liberazione, negli Stati Uniti, oppure la guerriglia dei Tupamaros in Uruguay), è difficile trovare un Robin Hood nei tempi moderni. In un articolo pubblicato nel 2012, il giornalista e storico Jon Lee Anderson rifletteva sul fatto che rispetto ad alcuni capi del narcotraffico si potrebbe adattare l'etichetta di bandito sociale. Pablo Escobar era una specie di patriarca degli umili di Medellìn, dei quali si prendeva cura usando le enormi entrati che gli derivavano dal traffico di cocaina. Ma la sua crudeltà nei confronti di chiunque lo ostacolasse, lo allontana dall'immagine del nobile ladro. E cosa dire degli uomini del mondo sotterraneo che impongono la loro legge nelle favelas brasiliane? Il Comando Vermelho, responsabile del traffico di droga a Rio de Janeiro, è stato fondato da un gruppo di criminali comuni che si sono intrisi di politica mescolandosi nel carcere di Isla Grande con i guerriglieri del Movimento Revolucionário 8 de Outubro (MR-8), e con quelli di Ação Libertadora Nacional (ALN), che sono stati reclusi in quel carcere a partire dal 1969. Benché sospettosi in un primo momento, i detenuti comuni vennero gradualmente attratti dal livello di organizzazione e disciplina dei militanti di sinistra, assai scrupolosi quando era il momento di realizzare le loro rapine. I criminali lessero le opere di Che Guevara e di Régis Debray, e nel 1971 fondarono il Grupo União, embrione del Comando Vermelho. Questo primo impulso sociale sarebbe andato perduto via via che il gruppo andava guadagnando territorio, potere e denaro. Tuttavia, alcuni capi del Comando Vermelho, come Marcinho VP (assassinato in prigione nel 2003), consideravano sé stessi come degli eredi della tradizione di Robin Hood. Come accadeva ai banditi di una volta, anche ai padroni dei bassifondi carioca si chiedono favori da parte degli abitanti più sfortunati della loro comunità. Uno di loro, Antônio Bonfim Lopes, un giorno salì la collina della Rocinha per spiegare al capo di turno che aveva bisogno di denaro per curare sua figlia. Bonfim tornò a casa con il prestito in tasca e con la promessa di diventare un bandito. In poco tempo divenne noto col nome di Nem da Rocinha, il re della favela più popolosa di Rio. Prima di arrendersi nel 2011 alla polizia, aveva ideato un sistema di distribuzione di sacchi di alimenti per i più poveri, come racconta Misha Glenny nel suo libro "O Dono do Morro", la biografia di Nem, che Glenn aveva intervistato dieci volte quando si trovava nel carcere di massima sicurezza di Campo Grande.

Dove si nasconde Robin Hood, in questo XXI secolo così pieno di ingiustizie e disuguaglianze? C'è chi ha creduto di vederlo nell'algoritmo di un hacker in grado di svaligiare un banca, oppure chi lo ha visto nelle piccole insurrezioni sociali che di tanto in tanto si verificano durante le ricorrenti crisi del capitalismo. «Per quanto sia possibile che Robin Hood non sia mai esistito, la sua vita eroica era un modello ed il suo personaggio ha suscitato delle vocazioni. Attualmente, non si vede nessun imitatore della sua leggenda», si lamenta Maréchaux , in"Hors la loi". Quei banditi dal cuore grande che rimpiange lo scrittore francese sono parte del passato. Vite marchiate col sangue e col fuoco che non hanno cambiato il mondo ma che però hanno alleviato alcune carenze relative all'ambiente ed hanno alimentato il folklore e la letteratura popolare. Per compensare così tanta drammaticità, c'è stato in quest'esercito di ombre chi aveva deciso di dire addio a questo mondo spietato attraverso un'esplosione di umor nero. Prima di piantarsi una siringa di morfina nel braccio, Marius Jacob, il capo della banda dei Lavoratori della Notte, lascia un breve scritto per chi lo troverà. È la notte del 28 agosto 1954 e lo spirito di Robin Hood sta per ritirarsi. Ci vuole ironia, la smorfia beffarda del fuorilegge: «Biancheria lavata, sciacquata, asciugata ma non stirata. Sono pigro. Scusate. Troverete due litri di rosato di fianco alla dispensa. Alla vostra salute!».

- César G. Calero - Pubblicato il 23 aprile 2018 su Jot Down Cultural Magazine -

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