martedì 8 maggio 2018

Luoghi del Genio

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" A Weimar andavo tutte le mattine nel parco, mi spingevo fino alla casetta dove Goethe soleva schiacciare un pisolino nelle calde giornate estive, davo un'occhiata alle stanze, quindi tornavo nella sua casa in città, e lì sostavo a lungo nella camera buia in cui era morto - dove ancora oggi sarebbe auspicabile che ci fosse «più luce» -, oppure mi soffermavo in una delle sale ingombre di minerali, manoscritti, stampe, statue e dipinti, a contemplare l'erbario del maestro - e intanto cercavo di capire. Mi comportavo come un investigatore dilettante che indaga in incognito su qualche faccenda misteriosa e assai enigmatica. [...] L'albergo All'Elefante ospitava diversi di noi che ci trovavamo a Weimar senza un motivo preciso, senza alcuna intenzione di arricchire gli studi su Goethe con approfondite ricerche o soltanto con le esperienze raccolte durante il nostro soggiorno; tutto quello che facevamo era semplicemente vivere nella città di Goethe, un po' come se trascorressimo le vacanze nella casa paterna. Città aggraziata e armoniosa, Weimar si era fossilizzata nella tradizione goethiana, e stentava a tornare in sé: nessuno osava toccare argomenti diversi o pensare a qualcos'altro, tutto si concentrava intorno alla memoria di quel genio. Nell'albergo c'erano alcune saccentone scozzesi, qualche vecchietta arcigna e sdilinquita, non ché un umanista italiano sul tipo di Settembrini, che una sera, dieci anni prima che apparisse "La montagna incantata" di Thomas Mann, nel salone dell'hotel mi recitò quasi letteralmente la lezione «sulla repubblica e lo stile ornato»."

(da: Sándor Márai, Confessioni di un borghese, Adelphi)

Innanzitutto, quest'ossessione, questo suo essere costretto ad andare a cercare i "luoghi del genio", questa necessità, talmente comprensibile, di ripercorrere i passi e seguire gli interessi di una figura artistica del passato. Quest'attualizzazione dei gesti del passato è come se fosse quasi una versione, sia del "Nachleben" ("sopravvivenza") di Warburg, sia della "angoscia dell'influenza" di Harold Bloom. E così, quando  Márai parla della stanza nella quale ci dovrebbe essere "più luce", sta facendo riferimento alle ultime parole pronunciate da Goethe: "Mehr licht!". Mentre, la scena che si svolge nel salone dell'hotel Elefante - che poi fa riferimento al romanzo di Thomas Mann pubblicato nel 1924 - evoca invece l'incontro stesso fra Mann e  Márai, che sarebbe avvenuto molti anni dopo...


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