martedì 24 aprile 2018

Vento

vento

La storia del vento è complessa. Non è soltanto la storia delle previsioni meteorologiche. Il vento ha tracciato le rotte del commercio, ha fatto vincere e perdere guerre, ha modellato paesaggi, creato e distrutto fortune, permesso ai primi aeroplani di librarsi in volo. Non c’è un singolo filo conduttore. È una storia che riguarda tanto? gli uomini quanto la scienza: volendo trovare un aggettivo, la si potrebbe definire “burrascosa”.
Il biologo e scrittore canadese Bill Streever ci conduce in questo libro in un’esplorazione della storia della meteorologia e del vento, e lo fa a modo suo. Dopo essersi tuffato nell’Artico e avere camminato sui carboni ardenti, per questa nuova avventura acquista il Rocinante, una vecchia ma fascinosa barca, e da principiante assoluto si mette al timone assistito dal suo co-capitano, la moglie Lisanne, per un viaggio di traversata del Golfo del Messico, dal Texas al Guatemala. Attraverso i meandri della storia e della scienza, è una storia fatta di voli e naufragi, tempeste di polvere e uragani, scienziati visionari e capitani di velieri, palloni aerostatici, teorie del caos, satelliti e stazioni meteorologiche. È una delle più avvincenti e sconosciute fra le piccole grandi storie della civiltà umana.

(dal risvolto di copertina di: Bill Streever, Leggere il vento. La lunga lotta per comprendere una forza della natura. Edt)

Dall'Introduzione:

«La storia del vento è complessa. Non è soltanto la storia delle previsioni meteorologiche. Il vento ha tracciato le rotte del commercio. Ha fatto vincere e perdere guerre. Ha modellato paesaggi, creato e distrutto fortune, permesso ai primi aeroplani di librarsi in volo. La storia del vento riguarda tanto gli uomini quanto la scienza.»
L’imprevedibilità delle tempeste ha cambiato innumerevoli volte il corso della storia, rovesciando l’esito di battaglie esiziali, distruggendo intere economie in pochi giorni, affondando navi e devastando regioni. Il rapporto fra catastrofi naturali e previsioni meteorologiche è strettissimo. Il biologo americano Bill Streever, dopo avere indagato e raccontato il rapporto fra l’uomo e le temperature estreme nei fortunati Gelo (2011) e Calore (2013), affronta nel suo nuovo libro la lunga lotta che l’uomo ha ingaggiato nei secoli con un altro dei grandi fenomeni naturali: il vento.
Con il suo inimitabile stile, che mescola sapientemente divulgazione scientifica e narrativa di viaggio, Streever racconta gli scienziati, i navigatori, gli aviatori, i geografi e i fisici che hanno studiato il vento e le sue dinamiche: dalla storia dei palloni aerostatici alle teorie del caos, dall’alfabeto Morse al barometro e alle grandi correnti marine. Fino alla nascita avventurosa dei bollettini meteorologici: la prima, degna di questo nome, apparve sul «Times» di Londra il 1° agosto del 1861, e fu il risultato dello sgomento causato da una fortissima tempesta con venti forza 12, che provocò il drammatico naufragio sulle coste del Galles di una nave merci/ passeggeri, The Royal Charter, con più di 400 vittime, e l’affondamento pressoché contemporaneo di altre 132 imbarcazioni.
Da scienziato e biologo marino, Streever come sempre non riesce a stare fuori dalla narrazione e, come nei due libri precedenti, per conoscere il vento (e scrivere il libro) lo ha sperimentato in prima persona. Ha acquistato un vecchio due alberi del 1965, il Rocinante, con cui ha attraversato insieme a moglie e figlio il Golfo del Messico dal Texas al Guatemala. “Ci sono dodici nodi di vento e ci lasciamo Houston a poppa. Davanti a noi c’è Galveston Island, poi il Golfo del Messico. E infine il Guatemala. Il nostro viaggio per conoscere il vento è iniziato”.

Sono impaziente di iniziare il viaggio, ma devo aspettare che il norther si plachi. Il vento sta diventando la mia ossessione. Mi fa compagnia durante il giorno e prima di addormentarmi la sera, poi di nuovo quando mi sveglio al mattino. A volte si insinua nei miei sogni. Eppure non riesco a provare il minimo interesse per una brezza leggera.

Storia di un elemento
- di Carlo Grande -

Capire il vento? Impresa ardua, forse si può intuire saltando su una barca a vela che attraversa il Golfo del Messico, dal Texas al Guatemala, come ha fatto il biologo canadese Bill Streever, già autore di opere interessanti sul gelo e sul calore estremo, e tentare il mare: con "Leggere il vento", ora affronta il fascinoso elemento naturale che ha tracciato le rotte del commercio, fatto vincere e perdere guerre, modellato paesaggi, creato e distrutto fortune, permesso ai primi aeroplani di librarsi in volo: «Penso a Wilbur Wright - scrive - che osservava per ore il volo degli uccelli mentre progettava e riprogettava il suo aeroplano, e che una volta scrisse sul suo taccuino: "Nessun uccello plana senza il vento"».
    Il vento ha fatto la storia delle previsioni metereologiche, la storia del vento riguarda gli uomini e la scienza. Il libro di Streever è fatto di voli e naufragi, tempeste di polvere ed uragani, di scienziati visionari e capitani di velieri, di palloni areostatici, teorie del caos, di satelliti e stazioni metereologiche.
    Il vento sa essere furioso e malefico, sa anche diventare amico. Lo conoscono gli scrittori come Dino Buzzati quando racconta del vento Matteo ne "Il segreto del bosco vecchio" e lo sente spirare tra le crode in "Barnabò delle montagne", diventato un bel film di Mario Brenta: «Il sole si leva dalle grandi cime, gira sopra la Casa dei Marden e tramonta dietro al Col Verde. Soffia il vento della sera, portando via un'altra giornata».
    Gli scrittori veri sanno che le parole sono vento, ma quel vento spinge la barca della vita.
    Venti emblematici nella letteratura trasportano i lettori di tutto il mondo: Giulio Verne, Jack London, Dostoevskij e i grandi del mare come Salgari, Stevenson, Conrad, Melville. Così la vasta letteratura patagonica, nelle storie da Hudson a Darwin, a Francisco Coloane e Chatwin.
    Sulla terra esistono oltre 60 venti, spiega Streever, che spirano abbastanza frequentemente da meritarsi un nome. Lo scirocco soffia dal Sahara verso il Nord Africa e l'Europa meridionale, nel Mediterraneo si incontrano l'ostro, la bora, il maestrale, il vendaval, il levante e il camsin. In India soffia l'elephanta, a Cuba il bayamo e in Cile il puelche. In California spira il Santa Ana, secco e caldo, spesso insopportabile. Scende con violenza lungo i versanti delle montagne affacciati sull'oceano facendosi sempre più torrido mano a mano che perde quota, talvolta innescando incendi e portando a valle le fiamme. Lo conosce Raymond Chandler: «Era uno di quei Santa Ana torridi e secchi che scendono dai passi tra le montagne e ti arricciano i capelli, ti fanno saltare i nervi, ti irritano la pelle. In notti come questa ogni bevuta finisce in una scazzottata. Mogliettine mansuete passano il dito sul filo dei coltelli da cucina e studiano i colli dei mariti. Può succedere di tutto».
    Bill Streever giunge alla fine in un porto sicuro e ricorda Daniel Defoe, che quindici anni prima di "Robinson Crusoe" scrisse un libro sulla Grande Tempesta del 1703, la più devastante in Inghilterra e Galles; osserva la superficie dell'acqua pensando ai metereologi e ai ricercatori che hanno riflettuto sull'aria in movimento: «Penso alle migliaia di persone che tutti i giorni lavorano per darci previsioni sempre più affidabili (...). Dai tempi di Defoe si sono fatti progressi impressionanti. La candela della ragione può affievolirsi di tanto in tanto nei meandri della ricerca, nel calderone di previsioni improvvisate o per la mancanza di strumenti adeguati. Ma la sua fiamma risplende ancora».
    Pensa agli «antichi uomini di genio che hanno frugato la natura alla luce delle torce della ragione fino a renderla nuda, e si sono arenati in questo ignoto canale; il vento ha spento la candela della ragione e li ha lasciati tutti nel buio più pesto». Pensa forse all'ultima barriera degli Alonso Chisciano di tutto il mondo, il vento. Come Don Chisciotte girano nel deserto e cercano la pace, guardano l'orizzonte, facendo finta di accettare; ma come nella "Confessione" di Anna Lamberti Bocconi e Ivano Fossati sanno che dentro, dentro «è tutto un altro Carnevale». E continuano «soli e senza corpo, a scornarsi col vento».

- Carlo Grande - Pubblicato sulla Stampa del 21/4/2018 -

Un estratto

Defoe aveva sentito il vento soffiare un giorno dopo l’altro, per più di una settimana. Infine era arrivato al massimo della potenza. Quella tempesta – anche se lo scrittore lo avrebbe scoperto soltanto in seguito, dopo aver ascoltato il racconto dei testimoni – si aprì un varco largo quasi cinquecento chilometri tra Inghilterra e Galles. Defoe la definì “la più violenta, la più interminabile e la più estesa di tutte le tempeste e le bufere di cui la storia ci abbia sin qui fornito un resoconto”. Avrebbe preso il nome di Grande Tempesta del 1703, e dopo tre secoli è ancora considerata la peggiore d’Inghilterra.
All’inizio il vento non era così forte da sollevare un uomo, e se non fosse stato per i detriti che volavano, avrebbe anche potuto essere divertente. Ci si poteva appoggiare contro e assumere posizioni insolite. Ma c’erano frammenti di tutti i tipi che sfrecciavano in ogni direzione, proiettili sparati dal vento che uccisero uomini, donne e bambini. Lo stesso Defoe vide delle tegole cadere al suolo e conficcarsi per “dieci-venti centimetri nella terra compatta”. Mentre la forza del vento aumentava, le case iniziarono a tremare e tutto lasciava supporre che sarebbero crollate da un momento all’altro. Tuttavia le persone più sensate e avvedute capirono che affrontare la tempesta all’aperto sarebbe stato ancora più pericoloso. “Quasi tutti si aspettavano che la propria abitazione fosse spazzata via” scrisse Defoe. “Eppure, in questa generale inquietudine, nessuno aveva l’ardire di abbandonare la propria dimora vacillante; perché qualunque fosse il pericolo entro quelle mura, all’esterno era senz’altro peggiore”.
Anche all’interno delle case, tuttavia, la caduta di detriti fece vittime. Si raccontò in seguito che l’arcivescovo di Bath e Wells balzò fuori dal letto, mentre la stanza intorno a lui tremava. Andò “verso la porta, dove fu poi trovato con il cervello fuori dalla testa”. Più di un individuo, sentendo la casa scossa fin dalle fondamenta, parlò di terremoto. Invece era il vento.
La bufera, imparziale, fece tremare le chiese proprio come le case. Le campane, abbandonate a sé stesse, suonavano. Sette campanili si sbriciolarono, e molti di quelli rimasti in piedi furono scoperchiati, e le tegole, i mattoni e le parti in ferro battuto rovinarono al suolo. I camini volarono via. Il vento accartocciò e strappò le coperture in piombo dei tetti scagliandole lontano. Alberi con tronchi di oltre novanta centimetri di diametro vennero abbattuti. La tempesta divelse decine di migliaia di querce, olmi e meli. Estirpati dal terreno con tutte le radici, furono scaraventati oltre le staccionate e le siepi, e i loro tronchi si contorsero come nessun falegname aveva mai visto.

Defoe riferisce della perdita di quattrocento mulini a vento. Alcuni si sfasciarono perché sotto la spinta impetuosa della tempesta cedettero all’improvviso i pur robusti pali d’ancoraggio. Altri bruciarono in quanto le parti in movimento, azionate dalle pale che giravano vorticosamente, si arroventarono a tal punto da appiccare il fuoco alla struttura interna in legno.
L’acqua del mare, trasportata da raffiche rabbiose, fu sospinta nell’entroterra. Un uomo raccontò a Defoe che “le foglie di alberi e cespugli posti a sei o sette miglia dalla costa erano ricoperte di schiuma e acqua salate, come se fossero state immerse nell’acqua marina, cosa che poteva essere imputata unicamente all’azione del violentissimo vento”. L’acqua di mare raggiunse pascoli a quaranta chilometri dalla più vicina costa sopravvento. “L’erba era così salata che il bestiame non poté brucarla per diversi giorni”. Sulla terraferma le vittime furono sorprendentemente poche. “Abbiamo calcolato” scrive Defoe “che siano morte centoventitré persone”. In mare fu tutta un’altra storia. Secondo le stime la tempesta provocò il decesso di circa ottomila marinai, un numero spropositato se si pensa che all’epoca la popolazione di Inghilterra e Galles ammontava a cinque milioni di anime.

[Tratto da Leggere il vento, di Bill Streever]

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