lunedì 30 aprile 2018

Lumi e non

antilumi

Illuministi sì, ma non troppo
- di Armando Torno -

In un’epoca come la nostra, ossessionata dai talk show con cotture di vivande e omelie di cuochi, solo qualche anima isolata ricorda Grimod de la Reynière, passato tra i più la notte di Natale del 1837, a 79 anni. Nel 1803 diede alle stampe il primo Almanach des Gourmands; dal 1808 un’altra opera da lui firmata, il Manuel des amphitryons, occuperà le bibliografie gastronomiche. Autore di trovate dai ricordi indelebili, fu l’inventore delle «colazioni filosofiche», iniziate nel 1784, due anni dopo i «pranzi del mercoledì». Era amante di fastosi ricevimenti e di scherzi memorabili (in uno dei suoi déjuners philosophiques fece mettere una bara accanto alla poltrona di ogni invitato); si notava inoltre per i panciotti, su cui faceva ricamare ritratti di membri della Comédie Française. Provocatore, ribelle, maestro riconosciuto del gusto, fu avvocato (mai chiese un onorario, come allora usava la nobiltà), infine venne radiato dalla categoria per un libello contro la sua classe sociale.
Ci è sembrato naturale leggere il nome di Grimod in un’opera che intende rivelare la faccia nascosta del periodo illuminista, negli anni che vanno dal 1715 al 1815: si tratta del Dictionnaire des anti-Lumières et des antiphilosophes. Impresa realizzata con poco meno di 300 articoli (o piccoli saggi) da una sessantina di studiosi sotto la direzione di Didier Masseau, non è una ricerca per riabilitare i codini o gli spiriti ostili ai Lumi. Desidera, piuttosto, redigere un inventario di coloro che per ragioni diverse si opposero all’Illuminismo e ai suoi filosofi. Un lavoro che si rivela prezioso anche per conoscere meglio il vasto movimento che si rispecchia nell’Encyclopédie di Diderot et d’Alembert: per cogliere altri aspetti oltre quelli ripetuti da tutti, per scoprirne le polemiche interne (ed esterne), per tentare un bilancio culturale più vero.
Le reazioni non furono soltanto banali o bigotte; non tutti allora credettero alle «magnifiche sorti e progressive», su cui ironizzerà anche Giacomo Leopardi. La qualifica di «reazionario» è figlia della Rivoluzione Francese - il vocabolo réactionnaire è modellato su révolutionnaire – e le opposizioni ai Lumi si fecero sentire subito, non attesero il lavoro della ghigliottina. Il Dictionnaire des anti-Lumières et des antiphilosophes ricorda che non mancò quella della poesia (fece rumore il poema La Religion di Louis Racine, uscito nel 1742), che sviluppò anche un genere satirico. Per fare un esempio, basterà ricordare l’opera rimata anonimamente da Claude-Marie Giraud che sollevò polvere e consensi. Si trattava di una lettera scritta dal diavolo al Patriarca dei Lumi: Épître du diable à Monsieur de Voltaire, editata nel 1760 “agli Inferi, dalla stamperia di Belzebù”. Circolavano inoltre rime facili contro i nuovi filosofi: una di esse giunse tradotta in Italia. Fu utilizzata ancora nell’Ottocento nelle scuole tenute dai gesuiti: «Sono un illuminista/ del bene e del male/ conosco la pista». Eccetera.

La poesia non restò isolata. Nel Dictionnaire diretto da Masseau un articolo è dedicato al romanzo «antifilosofico», che a volte nasce in ambiti graditi agli illuministi: tra i casi, oltre la fortuna settecentesca del cristianeggiante Le avventure di Telemaco di Fénelon (uscito nel 1699), c’è Julie ou la Nouvelle Héloïse di Rousseau del 1761, «una bomba per il mondo culturale» dei Lumi. D’altra parte, Voltaire non risparmiò insulti allo stesso Rousseau: se ne leggono di grevi ai margini delle pagine de Il contratto sociale posseduto dal Patriarca, oggi conservato nella Biblioteca nazionale della Federazione Russa di San Pietroburgo (sino al ’92 portava il nome di Saltykov-Ščedrin).
Non manca il teatro. Spicca la figura di Charles Palissot de Montenoy che nella commedia Les philosophes (1760) sceglie la satira «più amara, sanguinosa e crudele che mai sia stata autorizzata» (una voce del Dictionnaire è dedicata al caso). Tuttavia, Palissot de Montenoy, che nel 1757 aveva scritto anche il libro Petites lettres sur les grands philosophes contro Rousseau e illuministi vari, stimava Voltaire; anzi nel 1778 ne pubblicò un Elogio e ne curerà anche le opere. Diderot non lo sopportava e lo satireggiò ne Il nipote di Rameau.

Buona parte della reazione all’Illuminismo giunse dagli ambienti ecclesiastici. Per citare due personaggi, le cui opere tradotte circoleranno anche nel secolo successivo, ricordiamo l’abate François André Adrien Pluquet e il teologo e sacerdote Nicolas-Sylvestre Bergier. Il primo sarà protagonista di dibattiti per il monumentale Traité philosophique et politique sur le luxe (1786), nel quale analizza – prendendo a prestito idee dei filosofi in voga - gli effetti negativi del lusso. Pluquet utilizza le loro argomentazioni per rintuzzare il dilagante materialismo, cercando di indicare la soluzione nella morale evangelica che ammonisce contro una concezione terrena della felicità: la quale, d’altra parte, ha bisogno del lusso per manifestarsi. Al nome di Pluquet è legato anche un Dizionario delle eresie, che Huysmans pone nella biblioteca del suo eroe Durtal, in Là-bas (1891). Conosce in gioventù il vivace Fontenelle, che muore qualche giorno prima di compiere cent’anni nel 1757, riuscendo tuttavia a sussurrare a un’avvenente signora, incontrata verso lo scoccare del secolo: «Ah, madame, se avessi ottant’anni…». Pluquet frequenta Helvétius, Montesquieu; i padri dell’Encyclopédie gli chiedono di collaborare con articoli, Voltaire ne sfrutta il sapere (è il caso della voce «Destino» del Dizionario filosofico). Egli resta però un «apologeta virulento». Alla voce «Abelardo», nell’opera sulle eresie, per esempio, colpisce i philosophes suoi contemporanei. Citiamo dal primo volume della traduzione italiana, uscita a Venezia in seconda edizione nel 1771: «…la Filosofia non è contraria alla Religione, se non in bocca di quei Sofisti, che sono posseduti dalla mania di rendersi celebri, e che sono incapaci di profondare in cos’alcuna, che vogliono parlar di tutto, e dire in tutto cose nuove…».

Di Bergier, che morì nel 1790, si può dire che fu apologeta del cristianesimo e polemista contro Voltaire, Rousseau e il Sistema della natura di d’Holbach, opera pubblicata anonima e considerata la «Bibbia del materialismo». Confutatore del deismo, reca la sua firma un fortunato Dizionario di teologia. Il lavoro diretto da Didier Masseau dedica una voce oltre che al personaggio a quest’ultima sua impresa.
Impossibile illustrare nei dettagli il Dictionnaire des anti-Lumières et des antiphilosophes: vi troverete i nemici ma anche incertezze e mende dei protagonisti di quella rivoluzione culturale. C’è Chateaubriand o la corrente dell’Intégrisme catholique, si nota l’articolo Voltaire contre Voltaire (numerose furono le contraddizioni del Patriarca); ecco Robespierre con il discorso del 18 floreale dell’anno II (7 maggio 1794), ricco di allusioni contro i soliti Voltaire e Diderot, amici dei “despoti”, ovvero di Federico II di Prussia e della zarina Caterina II. Ovviamente ritroverete Louis de Bonald e Joseph de Maistre. Quest’ultimo, considerato da Baudelaire un maestro, nei suoi Mélanges osserva che la ragione «non genera che dispute, mentre l’uomo per comportarsi nel mondo non ha bisogno di problemi, bensì di ferme credenze».
Ritorniamo a Grimod de la Reynière, la cui reazione ai Lumi - se così è lecito definirla – si basava sul gusto. Un giorno del 1815 decise di ritirarsi nel castello di campagna, dove allestì congegni meccanici per banchetti e per ideare burle. Voleva andarsene da questo mondo ridendo, con un tocco di lieve crudeltà, sempre viva in lui. Forse anche per tale motivo teneva un maialino domestico: lo faceva sedere nel posto d’onore della tavola, rispettando le alte regole raccomandate dal galateo per l’ospite di riguardo.

Armando Torno - Pubblicato sul Sole di Domenica 05 Novembre 2017 -

antilumi libro

Dictionnaire des anti-Lumières et des antiphilosophes (France 1715-1815) , diretto da Didier Masseau, Editore Honoré Champion, Paris, 2 voll., pagg. 1.610, € 250

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