lunedì 16 aprile 2018

Il feticismo dell'azione

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Possibilità di azione - E nel concreto!
- Lettera aperta alle persone interessate ad EXIT! nel passaggio dal 2017 al 2018 -
di Herbert Böttcher

Non è per caso che le difficoltà nel formare il governo, dopo l'elezione del parlamento tedesco, mostrino di essere in relazione con le centrali questioni sociali ed ecologiche, le questioni relative ai rifugiati ed al clima. È qui che diventano chiari i limiti dell'azione del governo, il quale pretende di gestire i processi di distruzione sociale ed ambientale, che vanno dal collasso degli Stati fino alla distruzione delle basi della vita, attraverso quelli che sono i metodi della scatola magica dell'immanenza capitalista: ora, più mercato, ora di nuovo, un'altra volta, più Stato; e tutto questo in una successione sempre più rapida, oppure, se è necessario, facendo uso di una miscela delle due cose. E, in tutta questa confusione, dev'essere mostrata una faccia o un profilo.
Alla domanda preoccupata di un presentatore televisivo - che si domanda, di fronte agli ambigui risultati elettorali, se si possa fare affidamento sull'instabilità politica, ora presente in Germania, così come negli altri paesi europei - risponde uno dei soliti esperti accademici: «Oggi, l'Europa è arrivata anche in Germania». Il professore ha ragione, perché l'instabilità politica è sempre meno lontana dalla Germania. Ma il fatto che egli abbia trasfigurato in normalità quello che è lo stato di crisi comune all'Europa, dimostra che non ha capito niente.
A partire dal progetto del modello verde-rosso della riforma Hartz IV, e dalla deregolamentazione del lavoro - con la conseguente massificazione del lavoro precario -, la Germania è riuscita ad ottenere un vantaggio per quanto riguarda l'esportazione nel quadro della concorrenza fra i paesi in crisi. In questo modo, la Germania può così funzionare come "regione verde" in un mondo in cui sempre più regioni diventano «polvere soffocante» [*1]. Anche se i numeri ufficiali della disoccupazione annunciano che è stato raggiunto un minimo storico, e questo sviluppo è stato salutato come l'espressione di una «economia robusta» - dal momento che è stato immaginato "positivamente", come se non esistesse il lavoro precario, l'aumento della povertà e l'insicurezza sociale per tutti coloro che sono "non redditizi" - appare, al più tardi col flusso dei rifugiati e dei migranti, così come con l'aumento dei problemi ambientali, come un'«economia robusta» non sia la soluzione, bensì parte del problema. La crescita per mezzo di un'«economia robusta», che agli "esperti" che ignorano i limiti logici e storici della valorizzazione del capitale può sembrare la strada reale che porta alla stabilità politica, dev'essere vista invece come associata ad un consumo di risorse e a delle emissioni inquinanti ancora maggiori - e tutto questo a fronte dei limiti ecologici che sono stati già raggiunti, e che, a loro volta, producono delle convulsioni sociali che spingono le persone a scappare e a migrare.

Si potrebbe anche restare a guardare, divertendosi, i piani di salvataggio presentati da tutto il governo tedesco, con cui si pretende di salvare, ora tutta la Germania, ora il proprio partito, ora la propria corrente politica, se la risata non finisse per strozzarsi nella gola, di fronte al drammatico aggravarsi dei problemi. Il sociologo Stephan Lessenich ci ha ricordato, nel suo libro dal titolo "Accanto a noi il diluvio" [*2], che l'incorporazione attraverso la valorizzazione capitalistica, come base della crescita, corrisponde alla delocalizzazione e all'esternalizzazione delle conseguenze sociali ed ecologiche. Questo vale, non ultimo, anche per la storia coloniale dell'imposizione del capitalismo e delle strutture di esternalizzazione con essa create, che ancora oggi hanno i loro effetti. Tuttavia, Lessenich sbaglia quando pensa che la logica dell'espansione capitalista sia ancora in grado di svilupparsi. Al contrario, la valorizzazione ora viene sostituita dalla svalorizzazione. L'imperialismo espansionistico è diventato imperialismo di crisi, il quale oramai non si presenta più per mezzo della figura della conquista dell'incorporazione, ma come imperialismo di esclusione [*3]. Ed è solo in questo contesto che il discorso di Lessenich sull'esternalizzazione diventa drammatico. Da una parte, le conseguenze - inizialmente delocalizzate - si ripercuotono in maniera sempre più netta, riversandosi dalla periferia verso il cento, quasi secondo una teoria di dipendenza, come avviene con le cosiddette crisi dei rifugiati ed ambientali, con attacchi terroristi ed amok. Contro tutto questo, né le frontiere, né gli eserciti, possono niente. Inoltre, all'interno dei cosiddetti centri, diventano evidenti le manifestazioni della crisi, sotto forma di sempre più crescenti processi di divisione sociale, associati all'esclusione dei "non redditizi", che devono anche essere mantenuti sotto controllo, così come avviene anche per quanto riguarda le sempre presenti crisi finanziarie, le cui infrastrutture sono in difficoltà a partire dalla crisi di gran parte dei più familiari sistemi di sicurezza sociale. "Accanto a noi il diluvio", non si applica solo alla visione dei processi di distruzione e di imbarbarimento che avvengono con particolare gravita nelle cosiddette periferie, ma si applicano anche ai processi di deterioramento che avvengono all'interno dei cosiddetti centri, processi che non possono più essere esternalizzati verso la cosiddetta periferia.
È ancora più sorprendente che si eviti la conoscenza dei fenomeni di esternalizzazione, o quelli relativi all'escalation dei processi di crisi, in modo tale da dare l'impressione che la conoscenza sia una "conoscenza segreta", per iniziati, come quella dei gruppi marxisti, delle organizzazioni politiche per lo sviluppo e di Papa Francesco [*4]. Ma anche coloro che sembra abbiano in apparenza accesso a una simile "conoscenza segreta" rimangono irremovibilmente nell'immanenza capitalista: quelli di sinistra continuano ad essere devoti della lotta di classe e, quindi, della redistribuzione del denaro e del potere. Le organizzazioni politiche dello sviluppo, come Medici Internazionali, vogliono riconquistare la capacità di agire contro il discorso della paura e dell'impotenza, non ignorando quello che “esiste ed è male”, ma attraverso il «movimento reale che abolisce l'attuale stato delle cose» (Karl Marx). Il "movimento reale" viene frettolosamente identificato con la solidarietà pratica con i rifugiati, con le cliniche di solidarietà auto-organizzate, con le reti di quartiere che si accompagno ai «cambiamenti quotidiane nelle relazioni interpersonali, così come agli atteggiamenti morali ed etici che le sostengono» [*5]. Sebbene Papa Francesco critichi il "feticismo del denaro" e la «dittatura di un'economia senza volto e senza uno scopo realmente umano» [*6], dal momento che le sue critiche al capitalismo non vanno oltre il livello della circolazione, egli cerca una via d'uscita in un'etica, alla quale il denaro - anziché governare - dovrebbe servire; e la vita economica e finanziaria tornare «ad un'etica a favore dell'essere umano» [*7]. In ogni caso, lo "stato attuale delle cose" non può essere abolito insistendo nell'immanenza capitalistica.

In vista delle esperienze sociali di crisi e di catastrofe, sarebbe logico riflettere in maniera critica su quelli che sono i limiti della socializzazione capitalista, la quale si stabilisce in quanto limite logico rispetto alla contraddizione in processo del capitale, e che ora si trova anche sul punto di raggiungere anche i suoi limiti storici. Ma anche quelli che riescono a percepire i fenomeni di disastro globali sono spaventati e, se necessario, si rifugiano nel concreto, oppure nel generale, visto come male astratto. A volte si tratta di progetti concreti, o di concreti attori economici, e di politici, visti come destinatari delle esigenze; altre volte si tratta di appelli etico-morali generali, oppure di visioni astratte che promettono un orientamento. Ovviamente, tuttavia, si cerca di evitare ad ogni costo la questione di come i fenomeni individuali - a partire dalla fuga delle persone, passando per il deterioramento permanente delle condizioni lavorative e della struttura sociale, per arrivare ai fenomeni di crisi ecologica che ci mettono davanti al "male esistente" - abbiano a vedere con la totalità della situazione sociale da abolire. Dal momento che una simile questione viene ignorata per paura della paralizzante impotenza politica, si pretende di trovare la salvezza in un'azione che si svolge fra progetti, "intercessioni" verso attori economici o politici, e appelli etico-morali, vale a dire, predicazione morale che salta avanti e indietro dal "concreto" al "generale". Insomma, un'espressione di ciò che, con il progredire della crisi, diventa sempre meno possibile.
Qui emerge quello che Robert Kurz aveva già diagnosticato all'inizio del nuovo millennio come una «società senza riflessione»: «Si pretende semplicemente di bandire dal pensiero la reale contraddizione sociale, la quale allo stadio attuale non è più controllabile. La triste fine dello sviluppo moderno viene assurdamente festeggiata come transizione verso un "pragmatismo senza illusioni". Insieme alla critica sociale, quello che arriva alla fine, è il pensiero riflessivo in generale» [*8].
Intanto, questo "pragmatismo senza illusioni" si rivela come una pericolosa illusione. Nei processi di crisi che si acutizzano, diventa sempre meno possibile che un'azione politica legata alla forma della dissociazione-valore possa continuare a saltare di qua e di là, dalle polarità capitalistiche del mercato a quelle dello Stato, dell'economia alla politica. L'interazione sempre più veloce e sempre più caotica  comincia ad avere il fiato corto. Eppure, anche se è così, deve agire. Si sviluppa il "pragmatismo senza illusioni", il quale si inorgoglisce per il fatto di poter rinunciare e fare a meno del peso dell'irritante riflessione. nella sua forma della riflessione teorica, con la conseguenza interna di un'amministrazione della crisi sempre più autoritaria, con la conseguenza di uno "Stato di eccezione" che diventa stato normale [*9]. Roswitha Scholz aveva già osservato qualche anno fa la «svolta verso il decisionismo autoritario», che emergeva ideologicamente dallo spirito del tempo postmoderno [*10].
Attualmente, i rifugiati sono ancora una volta colpiti dall'aggravamento autoritario che avviene nell'amministrazione della crisi. I partiti che amministrano la crisi assumono volontariamente l'esigenza dell'Afd [N.d.T.: Alternativa per la Germania] di deportare in Siria i rifugiati e negoziare la loro ammissione con Assad, il cui regime terrorista, solo alcuni mesi primi, era la ragione per la guerra. «È ovvio che la situazione di sicurezza dev'essere verificata in anticipo!»  - così proclama il gruppo parlamentare della CDU/CSU [N.d.T.:  i partiti gemelli Unione Cristiano-Democratica di Germania (CDU) e Unione Cristiano-Sociale in Baviera (CSU)]. Tuttavia, ciò non ha impedito alla CDU/CSU e all'SPD [N.d.T.: Partito socialdemocratico] di discutere se il divieto della deportazione verso la Siria sarebbe finito il 30 giugno - nella variante "umanitaria" dell'SPD - o se avrebbe dovuto essere esteso fino al 31 dicembre [*11]. Di fatto, il Ministro degli Interni inizialmente aveva esteso la proibizione della deportazione verso la Siria fino alla fine del 2018. Questa controversia dimostra fino a che punto si sono spinti - e non solo nei confronti dei siriani. Inoltre, lo "Stato di emergenza" che è diventato "stato normale", attualmente lo si può vedere nella "catastrofe umanitaria" che viene perpetuata nelle condizioni dei campi profughi che si trovano nelle isole dell'Egeo e altrove.

Sotto la pressione ad agire, innescata dall'aggravamento della crisi, anche una modesta riflessione disturba. La riflessione socio-critica viene considerata superflua e viene rifiutata in quanto lunatica teoria elitaria che ignora i problemi concreti delle persone. Un anti-intellettualismo aggressivo, denuncia la riflessione che cerca di comprendere i fenomeni individuali, pur se con limitazioni, in un contesto sociale che li trascende. La riflessione è perturbante, disturba la ricerca del rifugio nelle strategie autoritarie e repressive, in quanto pone l'insolubilità immanente di quelli che sono i problemi che si ripercuotono nella società capitalista. La scomparsa della riflessione viene trasformata in falsa immediatezza. Grazie al suo aiuto, la crisi può essere negata. Problemi complessi possono essere concretizzati ed esorcizzati attraverso il feticismo dell'azione. Non è un caso che in questo conglomerato, nel quale il contenuto e la ponderazione riflessiva vengono emarginati, Pegida, AfD, ecc. possono crescere e prosperare. Nella falsa immediatezza, quella che si articola è la necessità sociale di concretizzare i problemi complessi nei colpevoli, che si possono rapidamente trovare negli "stranieri", nei "rifugiati", nei "banchieri", nei "politici". I problemi che non possono più essere affrontati, sembrano poter essere risolvibili nel momento in cui si può porre fine alle manovre dei presunti colpevoli. La fuga senza riflessione verso la falsa immediatezza rende anche possibile attivare in qualsiasi momento l'orientamento razzista, sessista, antisemita e anti-zingaro, così come la sua gestione da parte di un'amministrazione di crisi che si trova sotto pressione per agire, ma che è integrata nella forma sociale. Se i colpevoli ed i responsabili sono stati identificati, allora i problemi possono «essere rimossi dal mondo attraverso l'azione immediata. Anziché comprendere che per essi, nella loro forma di dissociazione-valore, non ci possono essere soluzioni, si tenta di esorcizzare attraverso il feticismo dell'azione, l'impotenza che da questo ne deriva» [*12].
Si tratta di una strategia vicina al carattere sociale narcisistica. La sua relazione con il mondo esteriore degli oggetti è fondamentalmente disturbata. Non potendo incorporare gli oggetti, ecco che allora li rifiuta, oppure li distrugge in quanto minacciosi [*13]. Gli oggetti ed i contenuti possono solo essere «percepiti ed elaborati riferendoli direttamente al proprio Io»[*14]. Diversamente, verranno negati, o respinti aggressivamente, a partire da un'eccessiva esigenza offensiva, o come minaccia. Anche nelle situazioni della vita degli individui, ogni volta sembra sempre più difficile pensare al di là dell'immediatezza dei fenomeni o delle esperienze individuali. Di fronte alle crescenti pressioni individuali - non da ultimo, a causa dell'infinita coercizione all'auto-ottimizzazione, e a causa dell'onnipresente minaccia del fallimento, nonostante tutti gli sforzi - si va sempre in cerca di difese immediate, vale a dire, senza riflessione.
Questi contesti aiutano a comprendere come le persone ignorino, in maniera tanto allergica, o rifiutino, in maniera così aggressiva, analisi complesse ed esaustive. Si sentono impotenti e, con la falsa immediatezza del concretismo e del feticismo dell'azione, bloccano l'uscita; soprattutto perché la riflessione teorica sulla crisi chiude arriva a quelli che sono i limiti della redditività immanente, e non può più sperare in una nuova tappa del processo di sviluppo continuo.
Non sono solo gli individui ed i politici a trovarsi bloccati dalla crisi nella loro possibilità di azione, ma lo sono anche i movimenti sociali, i quali a loro volta si pongono perfino come obiettivo quello di essere alternativi al capitalismo. Anche le loro opzioni di azione sono limitate all'immanenza capitalista. Anziché riflettere sulla loro propria incapacità di azione, nel contesto formale dell'immanenza capitalista, e muovere verso una critica radicale del capitalismo, il loro obiettivo finale sembra essere quello di partecipare all'amministrazione della crisi, oppure quella di creare alternative senza passare per il purgatorio della critica radicale della forma sociale. Così, gli aspetti individuali vengono estratti dalla totalità delle relazioni, nell'illusione di poter creare un'alternativa all'interno di una nicchia. È questo quello che avviene con il denaro regionale, con le cerchie di scambio e con i negozi gratuiti, con il reddito di base al livello della miseria, con l'economia solidaria e dei beni comuni, che non toccano la forma della socializzazione capitalista. Con tutto ciò, non deve essere in alcun modo sottovalutata l'importanza umanitaria della solidarietà per combattere la crisi, contro l'imbarbarimento selvaggio della lotta di tutti contro tutti. A partire da questo, tuttavia, non nascono alternative sociali globali all'imbarbarimento inerente alla socializzazione capitalistica.

Per fare in modo che i processi di crisi non continuino a portare alla barbarie, non si può fare a meno di "abolire lo stato attuale delle cose". Non è possibile ottenere capacità di azione senza il riconoscimento e la negazione di quello che costituisce questo stato, in quanto relazionamento formale sociale, ossia, valore e dissociazione, e non senza il confronto con il piano sociale collegato con la dinamica propria alla produzione ideologica, così come ai piani culturali-simbolici e psico-sociali. In questo contesto, anche la proclamazione di un primato della prassi nei confronti della teoria porta all'errore, poiché presuppone in maniera irriflessa, ancor prima dello "stato delle cose da abolire", la prassi ed il soggetto che la supporta.
Quel che si rende necessario, è ottenere una riflessione che possa prendere le distanze dallo stato di una società chiusa nella forma capitalistica [*15]. Ciò presuppone una rottura epistemologica con la forma e con il pensiero, caratteristico di tale forma, nella polarizzazione del capitale e del lavoro, del mercato e dello Stato, ma anche del soggetto e dell'oggetto, della teoria e della prassi. Anziché strumentalizzare in maniera unidimensionale la conoscenza teorica della pratica nella pratica, sarebbe importante comprendere la riflessione teorica come un momento autonomo dell'emancipazione sociale. Come mero strumento della pratica, essa deve rimanere entro i limiti stabiliti dalla forma delle relazioni capitalistiche. In tale prigione, essa diventa «la Cenerentola delle ipotesi e dei modi di vita non scientifici e prescientifici che deve servire in quanto serva legittimante» [*16] - così come nel Medioevo, la filosofia veniva intesa come "serva della teologia".
«È nell'interesse della stessa pratica che la teoria riconquisti la propria autonomia», dice Adorno nella "Dialettica Negativa" [*17]. Lo sfondo di quest'asserzione è la percezione che, nella necessaria unità di teoria e pratica, la teoria è stata sconfitta ed «è diventata un lato della politica da cui essa avrebbe dovuto condurre fuori; si è consegnata al potere» [*18]. Una prassi differente è possibile solamente se la riflessione teorica può emergere dalla sua sottomissione funzionale ad una pratica già determinata dalle circostanze, e guadagnare il suo proprio peso. E questo è proprio nell'interesse dell'emancipazione sociale, poiché apre le possibilità di riconoscere e negare i limiti imposti alla pratica dalla socializzazione capitalista. Senza questa conoscenza, la «prassi, che vuole sempre trasformare, non può essere trasformata» [*19].
Anche da una teoria vista come elemento autonomo della prassi emancipatrice, non può derivare una strada reale che porti ad abolire il capitalismo, né può essere sviluppato un modello che in seguito possa essere "implementato". La teoria non può sostituire la prassi emancipatrice. Solamente in un movimento sociale che superi, negandoli, i limiti stabiliti dalla forma capitalista, sono possibili dei percorsi per poter superare il capitalismo. In tal senso, sarebbe importante, nel contesto dei movimenti sociali, insistere e lottare per delle esigenze che sono irrealizzabili nel capitalismo. Queste includono la lotta per la soddisfazione delle necessità umane, così come quelle contro i bassi salari e le occupazioni precarie, e per i servizi pubblici, in breve: per tutto ciò che è possibile, data la ricchezza materiale e lo stato delle forze produttive, ma che fallisce, a causa del vincolo per cui la ricchezza materiale nel capitalismo può essere rappresentata soltanto, ed avere significato, come ricchezza astratta [*20]. In questo senso, un "mondo diverso sarebbe possibile", ma solo come rottura con la forma capitalista della ricchezza astratta. Sarebbe necessario un orientamento alle necessità delle persone e verso i beni di cui necessitano. Le esigenze corrispondenti dovranno pertanto essere quelle di sapere e chiarire che non vengono in alcun modo costruite sopra una situazione che va «al di là della forma del valore e della dissociazione», ma indicano la necessità di abolire tale forma e di conseguenza ne dichiarano la richiesta. Tuttavia, una tale pretesa verrebbe smentita se, nell'interesse della "mediazione" e della "capacità di mobilitazione", non venissero mai affrontati i limiti della forma sociale capitalista che dev'essere abolita. La riflessione teorica dovrà opporsi a questo; poiché «nessuna teoria ha il diritto, in nome di un'agitazione più modesta, di collocarsi in maniera stupida contro lo stato di conoscenza oggettivamente raggiunto. Essa deve rifletterlo e portarlo avanti. L'unità fra teoria e prassi non è stata pensata come concessione alla debolezza del pensiero, il quale non è altro che un prodotto deformato della società repressiva» [*21].

- Herbert Böttcher - per la direzione e per la redazione di EXIT!

NOTE:

(1) Si veda Stefan Grunewald, Zwischen Auenland und Grauenland [Fra la regione verde e la polvere soffocante], in: Kölner Stadt-Anzeiger vom 28.4.2017.

(2) Stephan Lessenich, Neben uns die Sintflut. Die Externalisierung und ihr Preis [Accanto a noi il diluvio. L'esternalizzazione ed il suo prezzo], Munique 4/2017.

(3) Si veda Robert Kurz, Weltordnungskrieg. Das Ende der Souveränität und die Wandlungen des Imperiums im Zeitalter der Globalisierung, Bad Honnef 2003. [La guerra di ordinamento mondiale. La fine della sovranità e le metamorfosi dell'Imperialismo nell'era della Globalizzazione]

(4) Stephan Lessenich, ivi, 23.

(5) Si veda Thomas Seibert, Stiftungssymposium: Vom Kampf um eine Einwanderungs- und Postwachstumsgesellschaft [Simposio della fondazione: Sulla lotta per una società dell'immigrazione e della post-crescita], in: medico international, rundschreiben 2/16, 41–43.

(6) Papst Franziskus, Die Freude des Evangeliums. Das Apostolische Schreiben „Evangelii Gaudium“ uber die Verkundigung des Evangeliums in der Welt von heute [Papa Francesco, Il vangelo dell'Allegria. L'esortazione apostolica Evangelii Gaudium a proposito dell'annuncio del Vangelo nel mondo di oggi], Freiburg 2013, 97 (Nr. 55).

(7) Ibid. 100 (Nr. 57).

(8) Robert Kurz, Das Ende der Theorie. Auf dem Weg zur reflexionslosen Gesellschaft, Berlin 2013, in: ders., Weltkrise und Ignoranz, a.a.O., 60-67. [La fine della teoria].

(9) Si veda, fra gli altri, Giorgio Agamben, Ausnahmezustand, Frankfurt am Main 4/2014. [Stato di eccezione].

(10) si veda Roswitha Scholz, Die Ruckkehr des Jorge. Anmerkungen zur „Christianisierung“ des autoritären Zeitgeistes und dessen dezisionistisch-autoritären Wende, in: EXIT! Krise und Kritik der Warengesellschaft, Heft 3, 2006

(12) Leni Wissen, Die sozialpsychologische Matrix des burgerlichen Subjekts in der Krise. Eine Lesart der freud'schen Psychoanalyse aus wert-abspaltungskritischer Sicht, in: EXIT! Krise und Kritik der Warengesellschaft, 14

(13) Ibid.

(14) Ibid.

(15) Ver Robert Kurz, Grau ist des Lebens goldner Baum und grun die Theorie, in: EXIT! Krise und Kritik der Warengesellschaft, Nr. 4, 2007, 15–106. [Grigio è l'albero d'oro della vita, e la teoria è verde ]

(16) Robert Kurz, Auf der Suche nach dem verlorenen sozialistischen Ziel [In cerca dell'obiettico socialista perduto], in: Initiative Marxistische Kritik 1988.

(17) Theodor W. Adorno, Dialettica Negativa.

(18) Ibid.

(19) Ibid.

(20) Si veda Claus Peter Ortlieb, Ein Widerspruch von Stoff und Form, in: EXIT! Krise und Kritik der Warengesellschaft, Heft Nr. 6, 2009, 23–54.[Una contraddizione tra materia e forma].

(21) Ibid.


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