lunedì 23 aprile 2018

Il coraggio

jehu 3pawns

Contro la strategia della lotta di classe
- di Jehu -

Mi è stato chiesto di commentare un saggio dal titolo insolitamente lungo, scritto nel 2004 da Werner Bonefeld, "On Postone’s Courageous but Unsuccessful Attempt to Banish the Class Antagonism from the Critique of Political Economy“ ["Sul tentativo coraggioso ma fallito di Postone di eliminare l'antagonismo di classe dalla critica dell'economia politica” ].
Il saggio tenta di stabilire, per così dire, una "testa di ponte" contro l'opera principale di Postone, "Tempo, lavoro e dominio sociale". Nel suo libro rivoluzionario, Postone espone la tesi, correttamente compresa, secondo la quale Il Capitale [di Marx] non deve essere letto come affermazione del lavoro salariato contro il capitale, ma come una critica a 360° del lavoro salariato stesso. L'obiettivo che viene indicato nel Capitale non è quello dell'emancipazione del lavoro salariato dal capitale, bensì l'emancipazione del proletariato dal lavoro salariato stesso. Postone sostiene che nel corso della maggior parte del XX secolo, una tale distinzione non è stata compresa dai marxisti, e questo spiega la nostra attuale impasse.
Bonefold non è d'accordo con la riduzione, operata da Postone, delle classi e della lotta di classe a mero fenomeno superficiale.
«Postone presuppone quello che invece dev'essere spiegato: egli presuppone l'essere umano diviso in classi come una personificazione della maschera di carattere - vale a dire, come un attributo umano delle cose.»
Bonefold accusa Postone di trattare le classi e la lotta di classe come se esse fossero solo delle manifestazioni superficiali di un processo assai più profondo, quasi allo stesso modo per cui possiamo dire che i prezzi delle merci sono solo la manifestazione superficiale del loro valore. E mette in guardia sul fatto che questo potrebbe spingere i comunisti a diventare apologeti delle relazioni sociali esistenti.
Prima di cominciare, voglio premettere quello che è un mio pregiudizio: le argomentazioni di Postone costituiscono una delle ragioni più importanti per cui ho adottato lo slogan, «Il comunismo non è nient'altro che tempo libero.» Perciò la mia discussione della critica svolta da Bonefeld nei confronti di Postone tenderà ovviamente a pendere a favore di quest'ultimo.
Ciò detto, quest'analisi non vuole essere una difesa di Postone. Postone non ha bisogno di un idiota come me che lo difenda. Quello che faccio è esaminare la critica svolta da Bonefeld al fine di comprendere meglio le implicazioni degli argomenti di Postone in "Tempo, lavoro e dominio sociale". Personalmente, penso che non ci possa essere un modo migliore per riuscire a cogliere un'argomentazione, se non quello di studiare gli argomenti che vengono addotti contro di essa.

Problema n°1: Bonefeld sostiene che le categorie delle relaziono di merce hanno origine dal capitale, non dal lavoro. Mentre Postone enfatizza la struttura economica della società vista come fattore determinante del capitalismo, Bonefeld sostiene che è la stessa legge del valore a presupporre la lotta di classe:
«Come ha detto Clarke, la lotta di classe è il "presupposto logico e storico dell'esistenza dei capitalisti individuali e dei lavoratori" e "la base su cui poggia lo sfruttamento". Se così non fosse, la comprensione della storia vista come storia della lotta di classe avrebbe ben poco senso.»
Bonefeld, si schiera più o meno dalla parte di coloro che asseriscono che le relazioni economiche della società capitalista sono determinati dal conflitto tra le classi. Quest'opinione è in contrasto con il presunto "determinismo economico" del marxismo tradizionale, secondo il quale il conflitto di classe nella società è determinato dalle forze economiche.
Bonefeld sostiene che le leggi economiche della società capitalista esprimono, più o meno, le condizioni storiche che dato origine al capitale; in primo luogo, la violenza della separazione del lavoratore dai mezzi di sussistenza:
«Il terrore della separazione, all'inizio del capitalismo, originariamente, pesa come un incubo sulla pratica sociale dell'attività umana intenzionale. L'esistenza mercificata della pratica sociale sotto forma di lavoro salariato fronteggia le sue condizioni in quanto condizioni aliene, come condizioni di sfruttamento, e come condizioni che appaiono, e quindi esistono, in maniera contraddittoria, come relazioni fra cose.»
La relazione fra lavoro salariato e capitale, dice Bonefeld, esprime la violenza dell'accumulazione primitiva, la rapina, per mezzo della quale il proletariato è stato separato dai mezzi di sussistenza. Tale rapina costituisce l'origine della relazione di valore, la struttura economica della società, dove le relazioni fra gli individui appaiono come relazioni fra cose.
Per mantenere quest'ipotesi, penso che si debba accettare l'argomentazione di Chris Arthur, secondo cui la cosiddetta semplice produzione di merci non esiste prima del capitalismo. Quindi, Bonefeld sembra essere d'accordo con Arthur sul fatto che la produzione e lo scambio di merci, il valore ed il valore di scambio traggono la loro origine dal capitale, non dal lavoro. Questa è un'opinione che è in contrasto con le letture, da tempo accettate, della teoria del valore lavoro.

Problema n°2: Non possiamo spiegare la lotta di classe in base all'argomentazione di Bonefeld
In precedenza, ho affermato che l'argomento di Arthur, secondo cui le categorie della semplice produzione di merci devono la loro esistenza al capitale, ci priva della capacità di spiegare la lotta di classe:
«Se elimini la distinzione fra la produzione di merci capitaliste e quella di merci semplici, sostanzialmente perdi la capacità di spiegare la teoria del valore lavoro per quel che riguarda la lotta di classe.» Mi spiego! Bonefeld sta cercando di spiegare le origini della relazione lavoro salariato - capitale. Egli trova questa spiegazione nell'accumulazione primitiva che è avvenuta all'alba del modo di produzione:
«La storia umana dell'accumulazione primitiva, quindi non è solo un presupposto costitutivo, ma costituisce anche il fondamento su cui poggia l'esistenza costituita del capitale. L'accumulazione primitiva, in  breve, è il "fondamento della riproduzione capitalista". La lotta di classe, quindi, che ha affrancato il padrone dal servo e il servo dal padrone, è costitutiva della relazione fra capitale e lavoro.»
Ma la lettura che fa Bonefield della storia, nella quale la lotta di classe spiega la relazione fra capitale e lavoro, non può spiegare la lotta di classe stessa. Come analogia, per il problema che questo pone, seguendo Arthur, potremmo spiegare il valore come se fosse un concetto astratto costituito da innumerevoli scambi di denaro in cambio di merci, ma questa spiegazione non riesce a spiegare le origini del denaro stesso.
La stessa cosa avviene quando tentiamo di spiegare le origini della lotta di classe, che sostiene Bonefield essere il fondamento della riproduzione capitalista. Tutto quello che qui Bonefield riesce a fare, è spingere, negli archivi della storia, le attuali origini del capitale indietro di un passo:
Domanda: Da dove arriva il capitale?
Risposta: Dalla lotta di classe.
Domanda: Da dove proviene la lotta di classe?
Risposta: Più lotta di classe!
Come la mitologica Tartaruga del Mondo della società antica, che portava sulla propria schiena l'intero pianeta, e che a sua volta si trovava sulla schiena di altre tartarughe, sempre più grandi, qui... è tutta lotta di classe!

tuttetartarughe

Problema n°3: Bonefeld nega la logica del capitalismo
Il terzo problema che ho con Bonefeld riguarda la sua accusa, secondo la quale Postone ignora la reale storia umana:
«L'approccio[di Postone], quindi, indica che i misteri teorici non trovano la loro soluzione razionale nella prassi umana, e nella comprensione di tale prassi. Al contrario, vede la prassi sociale umana come se essa fosse "strutturata e incorporata all'interno delle forme sociali della merce e del capitale.»
Bonefeld ci avverte che l'approccio di Postone ci rende suscettibili di accettare come necessarie le esistenti relazioni economiche capitaliste. Per cui, ci veniamo trovare nella posizione di essere apologeti del capitalismo:
«Tuttavia, l'idea di Postone secondo cui la lotta di classe è, per lo sviluppo capitalista, una forza meramente costruttiva, finisce per essere indubbiamente utile, vale a dire, crea consenso e quindi pacificazione, pubblicità ingannevole.»
Secondo la mia opinione, l'accusa rivolta da Bonefeld, per cui Postone accetterebbe la logica del capitalismo come necessaria, è accurata, ma è proprio questo l'errore di Bonefeld. Infatti, l'approccio di Postone implica che la logica delle relazioni economiche capitalistiche esistenti è necessaria, ma  tuttavia, qui il problema non è, di per sé, l'accettazione della logica delle esistenti relazioni economiche capitalistiche. Teorici come Bonefeld, vogliono dimenticare il modo in cui Marx aveva caratterizzato la logica del capitale. Per cui voglio loro ricordarla:
«Lo sviluppo delle forze produttive del lavoro sociale costituisce la missione storica e la ragione d’essere del capitale: è appunto mediante tale sviluppo che inconsciamente esso crea le condizioni materiali di una forma più elevata di produzione.» (Karl Marx, Il Capitale, Libro III.)
Accettare la logica delle relazioni economiche capitaliste come necessaria, significa che accettiamo che lo sviluppo capitalistico delle forze produttive del lavoro sociale stesso crea i requisiti materiali del comunismo. Noi non abbiamo alcun problema con lo sviluppo del capitale delle forze produttive del lavoro sociale. Vediamo in questo sviluppo un percorso che fa avanzare la società verso il nostro obiettivo finale, vale a dire, una società senza classi, senza Stato, senza proprietà.
L'idea secondo la quale i comunisti dovrebbero abbracciare lo sviluppo del capitale delle forze produttive del lavoro sociale, probabilmente per la maggior parte dei comunisti dev'essere respinta in quanto affermazione eretica, tuttavia è proprio questo aspetto del capitale che Marx argomentò a partire dalle preoccupazioni di Ricardo e dell'economia politica inglese - e per una buona ragione. Il rovescio della medaglia dello sviluppo delle forze produttive del lavoro sociale è la caduta del tasso di profitto, con tutte le conseguenze che tale caduta implica per il modo di produzione:
«Il saggio del profitto è la forza motrice della produzione capitalista. Le cose vengono prodotte solo finché possono essere prodotte con profitto. Di qui l’angoscia degli economisti inglesi di fronte alla diminuzione del saggio del profitto. Il fatto che la sola possibilità allarma Ricardo, dimostra la sua profonda conoscenza delle condizioni della produzione capitalistica. Quello che è più significativo in lui è proprio quanto gli viene rimproverato, ossia di non dare alcuna importanza nel suo studio della produzione capitalistica «agli uomini», per attenersi esclusivamente allo sviluppo delle forze produttive, per quanto grandi siano i sacrifici in uomini ed in valori-capitale che esso comporta. Lo sviluppo delle forze produttive del lavoro sociale costituisce la missione storica e la ragione d’essere del capitale: è appunto mediante tale sviluppo che inconsciamente esso crea le condizioni materiali di una forma più elevata di produzione. Quello che inquieta Ricardo è che il saggio del profitto, forza motrice della produzione capitalistica, condizione e stimolo al tempo stesso dell’accumulazione, sia compromesso dallo sviluppo stesso della produzione.» (Karl Marx, Il Capitale, Libro III.)
Lo sviluppo delle forze del lavoro sociale implica la progressiva riduzione del lavoro vivente nella produzione di ricchezza materiale. Dal momento che il lavoro è l'unica fonte di valore e di plusvalore, questo sviluppo equivale ad una vera e propria apocalisse del capitale, la rivelazione di forze nascoste che portano il capitale ad arrivare al suo fine ultimo.
Secondo Marx, Ricardo percepiva questa logica inerente al modo capitalistico di produzione; che il suo costante sviluppo delle forze produttive del lavoro sociale era esattamente la cosa che lo spingeva al collasso.

jehu wage-slave

Problema n°4: Quale classe?
C'è un quarto problema con la critica di Postone svolta da Bonefeld, e che potrebbe non essere ovvio per qualcuno che si identifica con il punto di vista di Bonefield. Il problema può essere spiegato nel seguente modo: al momento in cui Marx definisce le classi, in realtà il proletariato non è una classe. Ciò è vero perché, nonostante tutti i discorsi sulla classe operaia e sulla lotta di classe nella letteratura marxista, dall'inizio della loro collaborazione, Marx ed Engels sostenevano che non esisteva qualcosa come una classe operaia.
Nel suo saggio, Bonefield cita da "L'Ideologia Tedesca" di Marx ed Engels, approvandolo, ma trascura di menzionare il fatto che è proprio in quel testo, nel quale per la prima volta Marx ed Engels, che lì avevano sviluppato il loro fondamentale approccio alla storia, affermano che i proletari non sono una classe:
«in tutte le rivoluzioni sinora avvenute non è mai stato toccato il tipo dell’attività, e si è trattato soltanto di un’altra distribuzione di questa attività, di una nuova distribuzione del lavoro ad altre persone, mentre la rivoluzione comunista si rivolge contro il modo dell’attività che si è avuto finora, sopprime il lavoro e abolisce il dominio di tutte le classi insieme con le classi stesse, poiché essa è compiuta dalla classe che nella società non conta più come classe, che non è riconosciuta come classe, che in seno alla società odierna è già l’espressione del dissolvimento di tutte le classi, nazionalità, ecc.» (Karl Marx, L'Ideologia Tedesca).
Per porre l'argomentazione di Marx ed Engels nei termini più semplici possibili, la rivoluzione proletaria pone fine alle classi in quanto essa stessa non è una classe. La rivoluzione sociale porta al potere una massa di individui che non costituiscono più una classe nel senso in cui Bonefeld usa un tale termine. Questo punto di vista viene ampliato da Marx ed Engels nella descrizione che essi fanno delle attività dei proletari. A differenza delle altri classi nella società, i proletari agiscono in quanto individui, non come classe:
«Da tutto quello che si è visto finora risulta che il rapporto di comunità nel quale entravano gli individui di una classe e che era condizionato dai loro interessi comuni di fronte a un terzo, era sempre una comunità alla quale questi individui appartenevano soltanto come individui medi, soltanto in quanto vivevano nelle condizioni di esistenza della loro classe; era un rapporto al quale essi partecipavano non come individui, ma come membri di una classe. Nella comunità dei proletari rivoluzionari, invece, i quali prendono sotto il loro controllo le condizioni di esistenza proprie e di tutti i membri della società, è proprio l’opposto: ad essa gli individui prendono parte come individui.» (Karl Marx, L'Ideologia Tedesca).
I proletari non agiscono come una classe, agiscono come individui. L'errore classico che fecero i marxisti nel XX secolo, fu quello di inventare la minchiata che i proletari agiscono come una classe e che possono agire in quanto classe contro i capitalisti. Come regola generare, questo empiricamente non può avvenire.
In realtà, tutta la concezione della rivoluzione comunista, così come era stata inizialmente sviluppata da Marx ed Engels, presupponeva che la classe operaia non agisce come una classe. I proletari avrebbero messo fine alla società di classe perché, diversamente dalle altre classi nella storia, non avevano alcun particolare interesse di classe da far valere contro la classe dominante:
«Questa sussunzione degli individui sotto classi determinate non può essere superata finché non si sia formata una classe la quale non abbia più da imporre alcun interesse particolare di classe contro la classe dominante.» (Karl Marx, L'Ideologia Tedesca).
Chiedi al tipico marxista se oggi c'è una classe proletaria che abbia un interesse da far valere contro una classe capitalista sfruttatrice, e probabilmente risponderà in maniera affermativa. È quasi impossibile immaginare che quest'idea  in realtà non ha alcun posto nella teoria di Marx ed Engels. E per quanto possa essere impossibile immaginarlo, la verità è questa. Le classi e la lotta di classe non gioca alcun ruolo nel materialismo storico. Le classi non sono nient'altro che una manifestazione superficiale di forze economiche soggiacenti più profonde che erano al centro del Capitale. Le classi sono inadeguate a spiegare la società capitalista, così come i prezzi lo sono per spiegare la legge del valore.

Jehu oilshock

Problema n°5: La strategia basata sulla lotta di classe è stata abbandonata per più di un secolo.
La necessità di una nuova strategia basata sulla lettura del Capitale fatta da Postone, è ovvia. Non possiamo semplicemente limitarci a far finta che l'attuale strategia, basata sul concetto di classi e di lotta di classe, sia stata senza problemi. E questi problemi erano già pienamente evidenti, per esempio, nell'atteggiamento della classe operaia inglese  riguardo la questione irlandese. E nessuno può negare, ed essere creduto, che questa strategia sia del tutto collassata con lo scoppio della prima guerra mondiale.
Il problema, per essere del tutto onesti, consiste nel modello persistente, secondo il quale la classe operaia si identifica assai di più con la borghesia della sua stessa nazione piuttosto che sodalizzare con la classe operaia di altre nazioni. A tutt'oggi, è ovvio, che l'identità della classe operaia ruota più intorno alla nazione, al genere, alla razza, all'orientamento sessuale, ecc., piuttosto che attorno alla sua posizione oggettiva all'interno del modo di produzione. Questo praticamente significa che è molto più probabile che un lavoratore afro-americano si identifichi con Barack Obama, piuttosto che con il lavoratore bianco che vota per Donald Trump, e viceversa. Questo è probabilmente verso anche per i lavoratori che hanno una maggior coscienza di classe.
Tutti questo non dovrebbe sorprendere chiunque abbia familiarità con gli argomenti di Marx ed Engels ne "L'Ideologia Tedesca": in tale argomentazione, le relazioni fra gli individui di ciascuna classe all'interno della società borghese sono caratterizzate da un'ostilità più o meno aperta:
«I singoli individui formano una classe solo in quanto debbono condurre una lotta comune contro un’altra classe; per il resto essi stessi si ritrovano l’uno di contro all’altro come nemici, nella concorrenza.» (Karl Marx, L'Ideologia Tedesca).
Il conflitto che nella società una classe ha con altre classi, è ciò che rende consapevole ciascuna classe di sé stessa in quanto classe. Come ho detto precedentemente, ad ogni modo, i proletari soffrono del difetto di non avere alcun particolare interesse di classe da far valere contro la classe dominante. Questo sembra implicare che, per la maggior parte, non sono consapevoli di sé stessi in quanto classe.
Ora immagina cosa possa implicare questo per la lotta di classe:
Nella lotta di classe, una parte, pienamente consapevole dei propri particolari interessi di classe, si confronta con la prima classe. Nella lotta di classe contro il capitale, quindi. la classe operaia si trova in netto svantaggio. L'intuizione di Marx ed Engels è stata verificata a partire della lunga storia del movimento della classe operaia. L'attuale impasse non è solamente il risultato del fallimento del "socialismo realmente esistente", ma essa è determinata da una strategia che si basa sul mito del carattere della classe proletaria.
In realtà, i proletari non contano più nella classe nella società, non vengono riconosciuti in quanto classe, e non sono altro che la mera espressione della dissoluzione delle altre classi, avvenuto a causa dello sviluppo del modo di produzione stesso.
Per quanto possa essere venerata fra i marxisti, la lotta di classe difficilmente può essere la base per una realistica strategia proletaria. Nel migliore dei casi, ha una valenza politica assai bassa, soprattutto se paragonata alle più superficiali, e meno inclusive, identità politiche quali la nazionalità, il genere, la razza, ecc.. Inoltre - per quanto possa sembrare eretico quest'argomento, l'ho sottovalutato - è probabile che attualmente la consapevolezza di classe dei proletari diminuisca, insieme al progressivo sviluppo del modo di produzione. Perciò la necessità di una strategia che non sia basata sulla coscienza di classe diventa sempre più urgente per i comunisti.
Perché col passare del tempo la coscienza di classe dei proletari dovrebbe diminuire?
Se nel Manifesto Comunista, al momento della sua scrittura, Marx ed Engels avevano ragione, come conseguenza della continua dissoluzione del capitale e di altre classi sociali, c'erano nuovi elementi freschi radicalizzati che venivano continuamente spinti verso il proletariato. Oggi, in linea di massima, nei paesi capitalisti più avanzati, questo processo si è completato. Ciò priva il movimento di quelle che sono le forze che Benefeld identifica come quelle più acutamente consapevoli del processo continuo di accumulazione primitiva ancora all'opera sullo sfondo.
(Naturalmente, questa è solo un'ipotesi ed avrebbe bisogno di essere verificata o vanificata da un'effettiva ricerca empirica. Ma si potrebbe spiegare il motivo, come hanno sostenuto alcuni studiosi) che l'avanguardia del conflitto fra lavoro salariato e capitale oggi si è spostata in Asia.)

In ogni caso, la lettura del Capitale fatta da Postone è la migliore speranza per un nuovo approccio alla strategia, in quanto il suo approccio de-enfatizza la centralità della lotta di classe e pone maggior enfasi sulle soggiacenti strutture economiche della società, che hanno sempre determinato la lotta di classe. Queste forze economiche sono oggettive; il che significa che non hanno bisogno di dover essere consapevoli per poter funzionare. Ma una volta che abbiamo conoscenza di esse, possiamo farne uso più o meno allo stesso modo in cui usiamo le leggi fisiche per portare le persone sulla Luna o per mandare dei robot su Marte.

- Jehu – Pubblicato su The Real Movement -

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