mercoledì 14 febbraio 2018

Una domanda!

crash

"One question" ["Una domanda"] è una rubrica mensile in cui viene chiesto ai principali pensatori di dare una breve risposta ad una singola domanda.
La domanda del mese di Gennaio 2018 è: «Stiamo andando verso un altro crollo economico?»

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Wolfgang Streeck:
(Professore emerito di Sociologia. Dal 1995 al 2014, è stato Direttore del Max Planck Institute per lo Studio delle Società, a Colonia, in Germania. Il suo ultimo libro è "Capitalism End? Essays on a Failing System" (Verso, 2016).)

«Non sono un profeta. Ma non esiste capitalismo senza crollo occasionale, ragion per cui se vogliamo continueremo sempre a cercarne uno. Negli anni '70, l'inflazione è finita nel 1980 con un ritorno alla "monera solida", la quale ha generato deindustrializzazione ed elevata disoccupazione, che insieme ai tagli fiscali per i ricchi hanno a loro volta generato un elevato debito pubblico. Quando il debito pubblico è diventato troppo alto, il consolidamento fiscale avvenuto negli anni '90 doveva essere compensato, per ragioni macro-economiche e politiche, per mezzo della deregolamentazione del mercato dei capitali e attraverso il debito privato delle famiglie, che ha poi provocato il crollo del 2008. Ora, quasi un decennio dopo, il debito pubblico è più alto che mai, cos' come lo è il debito privato; il volume globale di denaro, da decenni si trova ad essere in costante aumento; e le banche centrali stanno producendo denaro come se non ci fosse un domani, acquistando ogni sorta di debito per mezzo di denaro contante "creato dal nulla", che viene chiamato Quantitative Easing. Mentre tutti sanno che tutto questo non può andare avanti per sempre, nessuno ha idea di come fare per farlo finire - e la stessa cosa vale per quanto attiene al debito pubblico e privato, e lo stesso vale anche per la riserva monetaria. Qualcosa succederà, presumibilmente presto, e non sarà piacevole.»

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Cédric Durand:
(Professore associato in Economia all'Università di Paris Cite ed autore di "Fictitious Capital: How Finance Is Appropriating Our Future"(Verso, 2017).)

«Oggi, l'illusione secondo la quale gli asset finanziari possono creare valore "allo stesso modo in cui è proprio dei peri fare pere", è assai più scontata di quanto avvenisse ai tempi di Marx. Questa feticizzazione della finanza ed il suo potenziamento, sono le ragioni del perché, dopo il 2008, si è scelto, come modo principale per ridurre il pericolo di una spirale di deflazione, quello di uno stimolo monetario. Come ha riconosciuto Claudio Borio - una figura di spicco della Bank of International Settlement - le economi ricche sono diventate dipendenti dei bassi tassi di interesse e negli ultimi anni le banche centrali hanno dovuto incrementare la dose in maniera drammatica, anche abbassando a zero i tassi di interesse, e facendo uso di programmi di acquisto di asset. Il risultato di una sequenza del genere è una dinamica scandalosamente insostenibile: da un lato, la fragilità finanziaria è nuovamente in crescita, in particolare attraverso un eccessivo debito aziendale negli Stati Uniti, con una persistente fragilità bancaria in Europa, e con la sopravvalutazione dei mercati finanziari. Nell'economia reale, questo stimolo monetario non ha prodotto molto: i tassi di crescita sono anemici, la sottoccupazione è endemica, la produttività fiacca e gli investimenti appena sufficienti a prevenire un'involuzione produttiva in tutto il mondo sviluppato. Sembra, quindi, che non ci sia stato nessun recupero ma solo una rinnovata assertività finanziaria supportata da politiche altamente parziali. Le forme elementari di capitale finanziario - capitalizzazione borsistica, credito al settore privato non finanziario, e debito pubblico - ora mediamente rappresentano oltre il 350% del PIL dei principali paesi ad alto reddito, paragonato al 150% dell'inizio degli anni '80, ed al 330% di prima della crisi. Per essere sostenuto, il valore di queste pretese finanziarie richiede che i redditi finanziari attesi scendano nel tempo dovuto: il debito dev'essere onorato, gli interessi devono essere pagati, i dividenti devono essere erogati. Ma come può avvenire questo nelle economie stagnanti? La prima possibilità è che vengano ulteriormente "ponzificati": tanto più scorre il flusso di debito, tanto più tutto va avanti senza intoppi: Ma questo mette le banche centrali in una posizione di stallo. Se esse tornano a delle politiche monetarie più usuali, provocheranno una recessione e incrementeranno il pericolo finanziario. Il fatto che negli USA i tassi di interesse a lungo termine stiano ancora tendendo al ribasso nonostante i recenti aumenti della Federal Reserve, indica che i mercati non credono ad una normalizzazione della politica monetaria. Ad ogni modo, se le banche centrali non procedono, gli squilibri finanziari continueranno a crescere, favorendo una cattiva allocazione delle risorse e facendo aumentare l'ampiezza del prossimo crollo. L'egemonia finanziaria è stata in grado di sopravvivere qualche anno in più sotto terapia intensiva - ora è arrivato il momento dell'addio.
Il prossimo crollo non sarà una ripetizione di quello del 2008: stavolta quello che sarà in gioco sarà la credibilità delle banche centrali, col rischio di una crisi monetaria in forma acuta. Preparandosi a questo prevedibile svolgersi degli eventi, dovrebbe essere chiaro che la finanza privata non verrebbe salvata nuovamente, e che le deliranti richieste dei più ricchi nei confronti del lavoro di tutti noi non verranno più avallate dagli interventi governativi. Invece, è il momento di mettere all'ordine del giorno la socializzazione delle banche, la cancellazione del debito, la pensione universale, i sistemi di assistenza sanitari e d'istruzione, la pianificazione degli interventi ecologici e l'open data. Liberare la nostra società dagli obblighi di tempo finanziari richiederà una nuova capacità di progettare il futuro.»

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Susan Newman:
(Senior Lecturer in Economia alla University of the West of England, dove porta avanti il programma MSc in Economia Politica Globale)

«Stiamo andando verso un altro crollo economico dal momento che permangono le condizioni che hanno portato alla crisi finanziaria del 2007-8. Il crollo posteriore alla crisi ha visto la ristrutturazione del capitale, aiutato dalle politiche dei governi e delle banche centrali, al fine di ripristinare la redditività insieme ai redditi e alla ricchezza di quell'1% visto come premessa per un accumulazione fittizia.
La finanza speculativa continua a dominare le attività economiche nelle economie capitaliste avanzate. I profitti aziendali, la ricchezza personale, l'approvvigionamento pensionistico e i prezzi alimentari, continuano ad essere legati ai capricci della finanza. Le proiezioni di crescita per il 2018, fatte dal FMI, riconoscono il fatto che la crescita modesta sarà il risultato della spinta dei mercati finanziari con un impatto minimo sugli investimenti reali, sulla creazione di posti di lavoro, sulla produttività o sui salari. La capitalizzazione dei mercati azionari in rapporto al PIL è più alta rispetto a qualsiasi altro tempo tranne che nel periodo del fallimento dei dot.com, nel 2000, periodo che indica la più alta disconnessione fra investimenti finanziari e attività produttive. Nonostante Basilea III, il sistema finanziario continua ad essere caratterizzato da un elevato indebitamento e da una interconnessione globale dovuta alla crescita del sistema bancario ombra.
Dal 2010, l'austerità nel Regno Unito ha creato dei nuovi punti di innesco per le crisi. Nel Regno Unito, il debito personale ha raggiunto dei livelli allarmanti ed insostenibili superiori ai 200 miliardi di sterline. I tagli al welfare, i salari stagnanti ed il deterioramento dei contratti di lavoro hanno fatto sì che nel Regno Unito le famiglie a basso reddito hanno dovuto chiedere dei prestiti per le spese di base quotidiane. Ci ci possono aspettare molte più crepe nel sistema in cui emergerà la prossima crisi. Tuttavia, piuttosto che cercare di predire i tempi  e le origini delle crisi imminenti, sarebbe più producente che gli sforzi fossero orientati ad un cambiamento radicale del sistema economico. Riforme come quelle che sono state sostenute durante l'età dell'oro potrebbero contribuire a mitigare alcuni degli effetti collaterali più micidiali della crescita capitalista. Ma nel lungo periodo, dobbiamo trattare quegli effetti collaterali come gli obiettivi principali per la società: affinché ciascuno di noi raggiunga il pieno potenziale e viva in un conforto materiale libero dall'alienazione, gli uni dagli altri e dal nostro ambiente.
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David M Kotz:
(Professore di Economia alla University of Massachusetts Amherst ed autore di "The Rise and Fall of Neoliberal Capitalism" (Harvard University Press, 2015).

«Sì e no. Cioè, è probabile, in un futuro non troppo lontano, che negli Stati Uniti abbia inizio una recessione. Tuttavia, oggi non ci sono le precondizioni per quel genere di crollo che abbiamo visto nel 2008-09.
Le attuali condizioni economiche negli Stati Uniti attuali, hanno alcune somiglianze con quello che abbiamo visto verso la metà degli anni 2000. Le disuguaglianze di reddito e di ricchezza sono ancora a livelli stratosferici. L'amministrazione Trump ha dato inizio ad un altro giro di deregolamentazione bancaria. Tuttavia, queste somiglianze non sono sufficienti a causare un altro grave crollo.
La crisi finanziaria e la Grande Recessione del 2008-09 sono state causate da tre tendenze insostenibili scatenate dalla forma neoliberista del capitalismo: una gigantesca bolla dei prezzi (nel settore immobiliare) che doveva collassare, il diffondersi di titoli derivati legati in tutto il sistema finanziario statunitense ed in gran parte del sistema finanziario globale, ed un incremento insostenibile del debito delle famiglie che aveva sostenuto la crescita del consumo.
Dopo il crollo, la Federal Reserve ha ripulito le banche dei loro titoli derivati falliti. Dopo il 2009, il debito delle famiglie è diminuito rispetto al loro reddito e dal 2015 si è stabilizzato ad un livello sicuro. E mentre i prezzi delle azioni del mercato statunitense stanno crescendo, questo non ha però le caratteristiche di una bolla che si auto-perpetua e che è in procinto di collassare - l'indice S&P 500, che dopo il 2011 è cresciuto costantemente per quattro anni, si è stabilizzato ad un livello assai lontano rispetto a quello della bolla azionaria della fine degli anni '90.
Tuttavia, è assai probabile che nel prossimo futuro abbia inizio una recessione più tipica, con i suoi costi legati all'aumento della disoccupazione, ai fallimenti delle piccole aziende, ed allo spremere le entrate ed i servizi statali e locali. L'attuale espansione economica degli Stati Uniti ora ha già 10 anni, e nel capitalismo ogni espansione finisce con una recessione. Il tasso di profitto sul capitale investito da parte delle imprese non finanziarie, sebbene elevato, è in calo a partire dal 2014, cosa che di solito indica una recessione in arrivo. Tuttavia, il grosso problema economico oggi è la recessione a lungo termine che ha afflitto l'economia degli USA e gran parte del sistema globale capitalista a partire dalla Grande Recessione finita nel 2009, che ha causato molte sofferenze economiche ed ha destabilizzato i sistemi politici in tutto il mondo

Ming li

Minqi Li:
(Professore di Economia all'Università dello Utah. Fra i suoi libri più recenti, "The Rise of China and the Demise of the Capitalist World Economy" (Monthly Review, 2009), "Peak Oil, Climate Change, and the Limits to China’s Economic Growth" (Routledge, 2014), e "China and the Twenty-first Century Crisis" (Pluto, 2015).)

«La risposta a questa domanda, dipende in parte da cosa si intende per "crollo economico". Se per questo si intende una di quelle "normali "recessioni che nell'economia capitalista globale accadono una volta ogni tot anni, allora, quasi certamente, entro i prossimi due o tre anni vedremo quasi certamente una recessione del genere.
La questione più interessante attiene a quanto grave sarà la prossima recessione. Dalla Grande Recessione del 2008-2009, il nucleo centrale dei paesi del sistema capitalista globale ha dovuto affrontare una stagnazione persistente. Dall'altro lato, il debito delle famiglie negli Stati Uniti è sceso a livelli relativamente normali e attualmente non esiste uno squilibrio evidente fra gli Stati Uniti ed il resto del mondo. Da un punto di vista puramente tecnico, la prossima recessione globale che avverrà intorno al 2020 non dovrebbe essere così dura come lo è stata la prima.
Appare essere molto più importante quello che è successo in Cina. L'industrializzazione della Cina ha trasformato la sua struttura sociale ed ha prodotto una numerosa classe operaia industriale simile a quella del XIX secolo. Nella misura in cui questa classe operaia comincia ad organizzarsi e ad esigere diritti economici e sociali, il suo crescente potere ha contribuito ad una caduta del tasso di profitto nell'economia cinese. Questo somiglia a quello che è successo alle economie capitaliste occidentali negli anni '70, e si tratta di qualcosa che nessuna economia importante ha più visto da allora. Sarà interessante vedere se negli anni 2020 un simile sviluppo porterà ad una trasformazione fondamentale delle relazioni fra lavoro e capitale, non solo in Cina, ma anche nell'intero sistema mondiale.
Qualsiasi cosa accadrà in termini di in "crollo economico", il mondo capitalista continua a dirigersi inesorabilmente verso un crollo climatico che minaccia di porre fine alla civiltà così come la conosciamo. Spetta alla lotta di classe globale nei prossimi decenni determinare se la catastrofe capitalista possa essere fermata prima che sia troppo tardi.
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Mary Mellor:
Professoressa emerita nel Dipartimento di Scienze Sociali, Northumbria University, UK. Fra i suoi lipri più recenti, "The Future of Money: From Financial Crisis to Public Resource" (Pluto, 2010), e "Debt or Democracy: Public Money for Sustainability and Social Justice" (Pluto, 2015).

«Se ci riferiamo al settore finanziario, si verificherà un altro crollo, dal momento che non è stato fatto niente per fronteggiare le contraddizioni soggiacenti ad una politica fondata sul debito e su un casinò finanziario in cui si cerca di massimizzare il guadagno sugli interessi di capitale. Ci sono segnali di instabilità e di "esuberanza irrazionale" a guidare una speculazione insostenibile, come quella sui Bitcoin. Il debito familiare e personale sta crescendo. La speculazione sul debito delle famiglie aveva innescato la crisi del 2008 ed oggi la situazione è altrettanto negativa, se non peggiore, dal momento che le persone hanno ancora meno resilienza finanziaria.
Ad ogni modo, la mia preoccupazione riguarda la crisi della giustizia sociale e della sostenibilità ecologica nell'economia dell'approvvigionamento: fornire i beni necessari e i servizi che creano ricchezza, il benessere delle persone e del pianeta. Ecologicamente, potremmo già essere oltre il punto di non ritorno: riscaldamento globale; contaminanti plastici; declino drastico nel numero degli insetti.
La crisi nella giustizia sociale sta facendo a pezzi la nostra società. Lungi dal portare ricchezza i benessere universale, il capitalismo globalizzato ha svuotato le comunità nelle economie più vecchie, mentre sta sfruttando il lavoro a buon mercato nelle economie più nuove. Le grida di dolore di coloro che vivono nelle comunità "abbandonate" sia nelle vecchie che nelle nuove economie stanno producendo leader populisti ed autoritari.
Il fondamentalismo di mercato sta distruggendo anche il patrimonio dell'economia pubblica. Gli stati del Welfare non possono più raggiungere i loro obiettivi di prendersi cura della persone dalla culla alla tomba. La "economia della borsa" neoliberista si oppone ideologicamente alle infrastrutture ed ai servizi basati sui fondi pubblici. Lo Stato viene considerato come l'equivalente di una famiglia, che dipende dai finanziamenti del settore privato. I programmi di austerità mirano a ridurre il settore pubblico al livello che il settore privato è disposto a sostenere. Questo viene aggravato dall'evasione e dall'elusione fiscale, e dalla delocalizzazione internazionale militante.
Viene ignorato il ruolo del denaro creato "sovranamente" dallo Stato. Il salvataggio pubblico della finanza privata attraverso il quantitative easing, rivela che è possibile creare a volontà nuovo denaro pubblico. Se per il settore finanziario può essere creato nuovo denaro pubblico, esso può essere usato per finanziare le persone, di modo che il benessere, la giustizia sociale e la sostenibilità ecologica divengano la priorità sia delle economie pubbliche che di quelle private.
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Andrew Ross:
Attivista sociale e Professore di Social and Cultural Analysis at NYU. Autore di molti libri, fra cui "Creditocracy and the Case for Debt Refusal. Bird On Fire: Lessons from the World’s Least Sustainable City" (OR Books, 2014), e "Nice Work if You Can Get It: Life and Labor in Precarious Times" (NYU, 2010).

«Nel 2007, il famoso Rapporto Stern definiva il "cambiamento climatico" come "il più grande fallimento del mercato che il mondo abbia mai visto." In alcuni ambiti, quest'osservazione è stata presa come una sfida a far meglio, per i capitalisti, piuttosto che come un'accusa riferita al prezzo di un sistema, la cui dipendenza dalla crescita aveva prodotto il suo inevitabile risultato culminato nel collasso ambientale planetario. Il costante deterioramento della vita biosferica ora è talmente normalizzato che molti attivisti temprati dalla lotta pregano per la prossima catastrofe climatica, solo per poter richiamare l'attenzione sulla loro causa contro le emissioni di carbone.
La diffusa angoscia che fa seguito al periodico crollo economico può far sì che ci si senta come se la cosa avvenisse in un universo parallelo, scollegato dallo scioglimento delle calotte polari ed alla morte delle specie, ma queste rispettive zone di disastro hanno le stesse identiche cause in un sistema economico soggetto alla crisi. La recente ascesa della speculazione finanziaria ad alto rischio ha solo acuito la tendenza, come direbbero i marxisti, a risolvere le contraddizioni interne al capitalismo per mezzo di episodiche catastrofi. L'eufemismo standard che viene usato per questo boom-economico-bancarotta è quello di "ciclo economico", quasi a suggerire che ci sarebbe una qualche sorta di condotta razionale che guida lo "spirito animale" degli investitori.
Come sempre, le possibilità possono essere evocate stimando quando e dove si verificherà il prossimo crollo. Quale bolla scoppierà per prima, innescando il collasso? I Bitcoin? Il mercato immobiliare cinese? il Tesoro degli Stati Uniti? Le Euro Obbligazioni ad alto rendimento? I prestiti studenteschi? Fate la vostra scelta! L'unico risvolto positivo è che le rovinose conseguenze offrono una possibilità, com'è successo dopo il 2008, di costruire un'economia ad emissioni zero, insieme ad un sacco di posti di lavoro verdi e sostenibili. Se vuoi davvero pregare per qualcosa, questo dovrebbe andare bene.
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tim di muzio

Tim Di Muzio:
(Professore associato in International Relations and Political Economy all'University of Wollongong, Australia.  Il suo ultimo libro è: "The Tragedy of Human Development" (Rowman & Littlefield, 2017). )

«La risposta concisa è sì. Tuttavia, la grande questione ha a che fare con il tempismo e con il modo in cui il crollo verrà esperito e da chi. Tipicamente, un crollo economico significa che il valore delle attività generatrici di reddito di proprietà, come le azioni (quote di società) viene radicalmente svalutato. Ad esempio, al culmine della crisi finanziaria globale, la capitalizzazione di mercato di tutte le società quotate in borsa era attestato a sopra 60 mila miliardi di dollari e nel giro di pochi mesi all'incirca si dimezzò. Ovviamente, come tutti sanno, la crisi era collegata al mercato immobiliare degli Stati Uniti, ma era di gran lunga più ampia, dal momento che portava gli investitori a sospettare che le banche avrebbero congelato il credito nel momento in cui i prezzi del petrolio si trovavano ad un livello record- E in un'economia capitalista, dove l'offerta di moneta aumenta con l'estensione del credito/debito alle società e agli individui, la mancanza di fiducia nell'espansione del credito è un vero e proprio killer degli attesi guadagni futuri.
Probabilmente, in futuro, ci sarà un'altra svalutazione del mercato azionario causata dal timore di una diminuzione dei guadagni attesi, ma l'imminente crisi che scuoterà il capitalismo fino alle fondamenta riguarda tre fattori. In primo luogo, secondo la BP ci rimangono circa 50 anni di petrolio, all'attuale tasso di produzione. Per cui ci possiamo aspettare che prezzi del petrolio vadano alle stelle, e dal momento che il petrolio riguarda ogni cosa, dai computer alla benzina, ci possiamo aspettare un'inflazione senza precedenti. In secondo luogo, il capitalismo è un sistema di contabilità ad alto costo (come se ne era accorto tempo fa C.H.Douglas), il che significa che nell'economia non c'è mai abbastanza potere d'acquisto per far fronte ai prezzi eccezionali di beni e servizi - da qui, la necessità di credito. Questo gap è strutturale e matematico, e non può essere superato internamente. In terzo luogo, in un incerto contesto inflazionistico, l'estensione del credito (nuovo denaro) verrà congelato o arriverà a tassi di interesse sempre più crescenti, servendo ad esacerbare ancora di più l'inflazione.
Le predizioni sono notoriamente errate, ma io sono preoccupato più per i tempi della prossima crisi, e quindi scelgo di focalizzarmi sui tre fattori che spingeranno avanti la catastrofe: il prezzo del petrolio, la natura della contabilità capitalista ed il modo in cui viene prodotto nuovo denaro.
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dario azzellini

Dario Azzellini:
(Ricercatore alla ILR School, Cornell University (Ithaca). fra le sue pubblicazioni, "Communes and Workers’ Control in Venezuela: Building 21st Century Socialism from Below" (Brill, 2017) e "An Alternative Labour History: Worker Control and Workplace Democracy" (edited, Zed Books, 2015). Insieme ad Oliver Ressler sta producendo "Occupy, Resist, Produce", una serie di documentari sulle fabbriche recuperate e poste sotto controllo operaio in Europa Maggiori informazioni su www.azzellini.net )

«Non c'è dubbio che ci stiamo dirigendo verso un altro crollo economico, poiché il capitalismo è sempre diretto verso un altro crollo economico. È nella natura del capitalismo incrementare il capitale in eccesso e poi distruggerlo nuovamente attraverso crolli e guerre, al fine di far ripartire ancora una volta il processo di accumulazione. Dopo ogni crisi, come ci mostrano i dati storici, il ricco diventa più ricco e la concentrazione di capitale cresce. Da crollo a crollo, i cicli diventano più brevi e si accorciano via via che l'accumulazione di capitale in eccesso diventa più veloce.
Ci sono due sviluppi che, nel futuro prossimo, rendono assai probabile un crollo economico. Analogamente a quando si è arrivati alla crisi del 2008, c'è di nuovo un'emergente crisi dei mutui subprime. Dall'ultima crisi, le banche (specialmente negli Usa e nel Regno Unito) non hanno cambiato il loro comportamento. Questo sta succedendo alla luce del più lungo e perdurante problema strutturale per cui il capital non può essere materialmente reinvestito in maniera produttiva. È questo il motivo per cui, ad esempio Uber, che sta producendo solo perdite finanziarie, nel dicembre del 2017 veniva valutato e stimato in 48 miliardi di dollari americani (da 68 miliardi di dollari di un paio di settimane prima!) o per cui i Bitcoin ha visto una vertiginosa crescita nel loro valore.
Quanto sarà disastroso il crollo, dipenderà dalla misura in cui una crisi dei mutui subprime provocherà anche lo scoppio della bolla creata dalle avventure capitaliste da casinò. La distruzione, non solo della classe media, ma anche più generalmente della capacità delle persone di soddisfare le loro esigenze di base, è una realtà mondiale. Tuttavia, gli Stati Uniti hanno abolito ogni salvagente sociale ed hanno ancor meno controllo finanziario di quanto ne hanno altri paesi. È perciò assai probabile che il prossimo crollo provenga dagli Stati Uniti, e/o dal Regno Unito (soprattutto, considerando la Brexit).»

ying chen

Ying Chen:
(Professoressa assistente di Economia alla New School for Social Research. Le sue attuali ricerche si focalizzano sullo sviluppo sostenibile nella Cina contemporanea visto dalla prospettiva della sostenibilità sociale, economica ed ambientale.)

«Attualmente, non siamo ancora usciti del tutto dall'ultima recessione. In Europa, rispetto allo scorso anno, la crescita è stata esperita solo dalle economie più forti, come la Germani e l'Olanda. Le persone, nei paesi duramente colpiti come la Grecia e l'Italia, stanno ancora soffrendo a causa della disoccupazione e delle misure di austerità varate all'indomani dell'ultima crisi. Negli Stati Uniti, da dove è partita la crisi finanziaria, il tasso di partecipazione della forza lavoro rimane di 4 punti percentuali al di sotto dei livelli pre-crisi. Ciò suggerisce un'immagine triste di persone in età lavorativa o più che non riescono a trovare un posto di lavora o che sono scoraggiate e non cercano nemmeno lavoro.
Dall'altro lato, la Cina, il paese la cui crescita rappresenta oltre il 30% della crescita economica globale, sta ora registrando un calo del tasso dei profitti ed una crescita del rapporto debito/PIL. Il primo potrebbe portare ad un rallentamento degli investimenti e ad una crisi economica, mentre il secondo potrebbe portare ad una crisi finanziaria.In entrambi i casi, la crisi della Cina avrebbe delle enormi implicazioni economiche a livello mondiale, dal momento che la sua quota di PIL mondiale è quasi quella del 20%.
La ripresa non solo è stata disomogenea, ma anche poco sostenibile, in quanto gli investimenti privati rimangono scarsi. È questo che preoccupa gli economisti: che nonostante una qualche temporanea ripresa spinta dagli stimoli, i paesi capitalisti avanzati stanno effettivamente entrando in una stagnazione secolare. Quando la crescita ristagna, la popolazione crescente e la produttività, nel caso, non vengono assorbiti dall'economia, con una conseguente crescita della disoccupazione e della disuguaglianza. Il capitalismo è stato più progressivo del feudalesimo perché i capitalisti investono capitale che porta alla crescita economica. Se gli investimenti si fermano, esso perderà la sua legittimità in quanto sistema. E a peggiorare le cose, i banchieri centrali stanno esprimendo preoccupazione per la politica monetaria che sarebbe di efficacia assai limitata, e la politica fiscale assai poco flessibile per la prossima recessione economica. Il prossimo giro di crisi economica nei paesi capitalisti porterà ad una crisi politica assai più grave.
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richard murphy

Richard Murphy:
​Professore di Practice in International Political Economy, City, University of London. È anche chartered accountant, e tax reform campaigner. Ha un blog sul sito di Tax Research UK a: http://www.taxresearch.org.uk/Blog/​ )

«La risposta a questa domanda non piò essere che sì: il capitalismo è stato edificato sul concetto di disastro, ragion per cui i crolli sono inevitabili. La vera domanda riguarda quanto tempo ci vorrà prima che ci sia il prossimo crollo?
La mia risposta è che ci vorrà molto poco. Le ragioni sono molteplici. Potrebbe accadere a causa di una Brexit difficile che crea una crisi di liquidità per le aziende nel mentre che i tir si mettono in coda nei porti, e il che significa che quelle stesse aziende falliranno nel momento in cui esauriranno le scorte, e non ci saranno più né ordini né contanti. Oppure potrebbe esserci il crollo dei mercati azionari sopravvalutati, soprattutto se le banche centrali provassero (scioccamente) ad aumentare i tassi di interesse, e contemporaneamente innescherebbero una crisi del debito delle famiglie. In alternativa, ci potrebbe essere il collasso del debito cinese. Oppure (il cielo non voglia) Trump che pigia il suo "grosso pulsante". O potrebbe essere qualcos'altro di completamente diverso.
Il fatto è che le economie vanno storicamente in recessione. E per questa siamo già in ritardo. La cosa non sarebbe nemmeno troppo preoccupante, senonché l'austerità e l'incapacità di affrontare la maggior parte dei disastri del capitalismo finanziario che hanno portato al 2008 e ci hanno lasciato disperatamente impreparati rispetto al prossimo crollo. Ed è questo il motivo per cui ci sarà una crisi, e non un urto gestibile.
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Michael-Roberts

Michael Roberts:
(Economista marxista che ha lavorato per più di 30 anni nella City di Londra. Autore di due libri: "The Great Recession: A Marxist View" (Lulu,2009) e "The Long Depression" (Haymarket, 2016).  Il suo blog: thenextrecession.wordpress.com )

«Sì, ci siamo. Ogni dieci anni, a partire dal 1945, c'è stata a vari gradi una recessione nella produzione e negli investimenti. Un simile ciclo, così regolare e ricorrente, è endemico di un'economia capitalista (produzione e investimenti per il profitto) ed il ciclo attuale, a cominciare dalla fine della Grande Recessione nel 2009 è oramai lungo più di otto anni, il terzo per lunghezza, negli ultimi 70 anni.
Il crollo economico potrebbe anche non avvenire nel 2018, poiché nella maggior parte delle maggiori economie i profitti delle imprese stanno ancora continuando a crescere, e la crescita è ricominciata in Europa ed in Giappone - ma al più tardi avverrà comunque prima della fine del decennio.
Quello che potrebbe succedere nel 2018, è un crollo del mercato azionario, dal momento che i prezzi delle azioni sono molto elevati in confronto ai guadagni che stanno generando le imprese negli Stati Uniti, in Europa ed in Giappone, per giustificare tale aumenti. Gli oneri finanziari a basso costo (bassi tassi di interesse) stanno per arrivare al termine, nel momento in cui le banche centrali, globalmente, cominciano ad invertire i loro facili schemi di credito ed alzano i tassi di interesse.
La forma di una crisi economica è sempre finanziaria, ma la causa soggiacente non lo è. Redditività e profitti nei settori produttivi economici, sono i fattori chiave. È probabile che la crisi abbia inizio negli Stati Uniti, poiché questa economia rimane la più grande e la più finanziaria. E questa volta la recessione economica comincerà nel settore aziendale, dove il debito continua a crescere. Gli utili societari potrebbero anche aumentare, ma la redditività di ciascuna unità di investimento è in caduta. E i costi dei servizi del debito aumenteranno nella misura in cui le banche centrali aumenteranno i tassi di interesse.
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Lena Rethel

Lena Rethel:
(Professoressa associata di International Political Economy all'University of Warwick e Visiting Fellow ll'Oxford Centre for Islamic Studies. Autrice di "The Problem with Banks", scritto insieme a Timothy J. Sinclair (Zed Books, 2012). Lena è membro della I-PEEL: the International Political Economy of Everyday Life pedagogic initiative.)

«La risposta concisa a questa domanda è: Sì. Da una prospettiva "inglese", sembra che sostanzialmente sia cambiato poco nel decennio trascorso dall'ultima crisi. L'attuale indebitamento delle famiglie è di nuovo a livelli che sono stati visti l'ultima volta all'inizio della crisi 2007-2009. I livelli dei prestiti personali e del debito studentesco - indicatori importanti dell'indebitamento, in quanto, a differenza dei mutui, essi non sono direttamente associati alla proprietà di un bene - negli ultimi anni hanno visto un forte aumento. Evitando di essere eccessivamente lugubri, bisogna dire che la questione non è se si verificherà un'altra crisi, ma quando si verificherà e chi ne soffrirà maggiormente le conseguenze.
Infatti, è importante riconoscere il fatto che per molti, è da un bel po' di tempo che l'economia è crollata. Nell'ultimo decennio, le disuguaglianze di reddito sono cambiate ben poco e la disuguaglianza della ricchezza nel Regno Unito è effettivamente aumentata. Per far quadrare i conti, bisogna considerare il numero dei senzatetto e di quelli che dipendono dalle mense dei poveri. La crescita del reddito di lavoro è stagnante e la povertà infantile è di nuovo in crescita. Dalla crisi del 2007-2009, per alcuni c'è stata una ripresa, ma non per tutti. Questa crisi è diversa da quelle precedenti, le quali- a prescindere dalle difficoltà che avevano causato - spesso hanno determinato anche una riduzione della disuguaglianza, se non addirittura degli sforzi diretti verso una politica distributiva progressiva. Invece, quello che vediamo ora è una stratificazione sociale ancora maggiore, esacerbata dalle politiche post-crisi, come la triplicazione delle tasse studentesche che hanno un impatto negativo sulla mobilità sociale.
È tempo di ripensare il ruolo del debito nella nostra vita quotidiana come misura di ripiego di politica economica. È grave vedere come alcuni considerino il debito personale come si trattasse di qualcosa che potrebbe perfino sostituire gli ammortizzatori sociali. Tutto questo richiede un ripensamento. Significa sovvenzioni, anziché prestiti, prodotti finanziari basati sulla condivisione, anziché sul debito, ed una cultura della condivisione del rischio, piuttosto che una cultura del trasferimento del rischio, dove il peso eccessivo troppo spesso viene sopportato da chi è meno in grado di assumersi dei rischi. Fino a quando tutto questo non sarà cambiato, le possibilità di evitare che avvenga un'altra crisi sono sempre più scarse - per non parlare del superamente della crisi attuale.
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heiki potomaki

Heikki Patomäki:
(Professore di World Politics alla University of Helsinki, autore di "Disintegrative Tendencies in Global Political Economy: Exits and Conflicts" (Routledge, 2018) e coeditore insieme a Jamie Morgan di: "Brexit and the Political Economy of Fragmentation" (Routledge, 2018).)

«I tassi di interesse sono vicini allo zero. È eccessivamente facile ottenere un credito per il consumo o per la speculazione. Le società stanno usando i loro profitti per comprare le loro azioni, anziché per investire. I mercati azionari sono in forte rialzo e i prezzi delle azioni sono ai massimi storici. Mentre l'economia mondiale è in crescita e si parla diffusamente di ripresa, soprattutto in Europa, i tassi di crescita pro capite rimangono al di sotto degli standard prevalenti prima della crisi finanziaria globale del 2008-9 - per non parlare dei decenni precedenti. La produttività cresce lentamente e gli investimenti reali sono in ritardo rispetto alle aspettative.
Questo genere di divergenza non è insolita per un'economia capitalista di mercato. Suona come una tendenza alla finanziarizzazione e alla crescita delle disuguaglianze, strettamente legati alla risposte contraddittorie degli Stati per quel che riguarda l'economia mondiale. La base di una vera crescita economica viene erosa, mentre cresce la soggiacente super bolla.
Lo schema dell'instabilità finanziaria di Minsky è semplice. L'indebitamento tende ad influenzare le valutazioni finanziarie soggiacenti, e favorisce quindi un ulteriore indebitamento grazie all'effetto-arricchimento, incrementando il valore delle garanzie e sostenendo l'ottimismo. Col tempo, il crescente coinvolgimento nel debito rende più caotico il sistema finanziario, vale a dire, lo rende sensibile ai più piccoli disturbi. Dal momento che la qualità del debito si deteriora gradualmente, e i rischi diventano sempre più grandi (per quanto ben nascosti possono essere), il sistema diventa più vulnerabile. Alla fine, qualcosa succede: emerge e si innesca una serie di sviluppi al ribasso, che genera una catena di panico, con un conseguente collasso.
Contrariamente al 2006-7, molti noti analisti ed organizzazioni internazionali, dalla Deutsche Bank al Fondo Monetario Internazionale, hanno messo in guardia contro una futura crisi che potrebbe verificarsi nel 2018, ma che è probabile si verifichi entro il 2020. Le anticipazioni creano dei riflessi e possono avere degli effetti sul futuro. Inoltre, alcuni economisti credono che le banche centrali abbiano imparato una nuova lezione dalle loro politiche non convenzionali, e sono ora pronte e disposte ad utilizzare le loro risorse - in line di principio, illimitate - per impedire che avvenga un collasso finanziario. Alla fine degli anni 2010, saremmo più sicuri di quanto mai lo siamo stati prima?
Le lezioni del passato ed i riflessi hanno effetto per quel che riguarda la trasformazione delle azioni e delle istituzioni. Tuttavia, non stiamo vedendo alcun tentativo di ri-regolare o di tassare la finanza globale, contrastando le crescenti disuguaglianze sociali, o dei nuovi programmi per stimolare gli investimenti privati e pubblici. L'amministrazione Trump sta creando enormi benefici fiscali ai super-ricchi e mira a deregolamentare la finanza. Anche nella cauta Unione Europea, il progetto di istituire una tassa sulle transazioni finanziarie sembra sia stato abbandonato, e l'unione europea finanziaria non dispone di risorse sufficienti. La crescita del livello del debito in Cina è motivo di una sempre maggiore preoccupazione globale. Nel frattempo, la bolla globale cresce.
Molto dipende dalle banche centrali, ma esse si trovano in una posizione contraddittoria. Potrebbe essere lo stesso tentativo, da parte della politica, di rallentare la crescita della bolla, a mettere in moto una spirale di recessione. In assenza di migliori politiche comuni, di regolamentazioni e di istituzioni, attualmente le banche centrali hanno meno potere di quanto spesso si pensi. Di conseguenza, la "cosa" di Minsky (il collasso del sistema economico e finanziario) sembra piuttosto probabile. Se ho ragione, probabilmente assisteremo al più grande crollo di sempre, accompagnato da una profonda depressione globale, all'incirca, più o meno, da qui al 2020.
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fonte: State of Nature

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