lunedì 26 febbraio 2018

Svegliarsi

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Jeremy Rifkin: La società a costo marginale zero
- Recensione del suo ultimo libro -
di Richard Aabromeit

Ci siamo quasi! Ad un primo sguardo, si potrebbe intitolare così una critica all'ultimo libro di Jeremy Rifkin (La società a costo marginale zero. L'Internet delle cose, l'ascesa del «Commons» collaborativo e l'eclissi del capitalismo. Mondadori, p.504, 16 euro). "Uno dei più noti teorici sociali del nostro tempo" e "uno dei più importanti pensatori sociali" (come annuncia la pubblicità del libro), nonché uno dei più importanti consiglierei di molti politici attuali (incluso Bill Clinton, Angela Merker, Jean- Claude Juncker), ha scritto un nuovo libro che si distingue chiaramente dal mainstream dell'attuale analisi sociale.
Viene perfino il sospetto che a Rifkin piacerebbe essere annoverato fra i teorici e le le teoriche del gruppo dei critici del valore - questo, ovviamente, detto con ironia e con abbastanza esagerazione, ma, in ogni caso, nel suo libro scrive: «Quello che ha minato il sistema capitalista, è lo spettacolare successo dei presupposti fondamentali che lo hanno determinato. È la contraddizione immanente insita in questa forza motrice situata al cuore del capitalismo, che dapprima lo ha portato ad arrivare al altezze vertiginose e che ora lo porta alla morte».
Questo avrebbe potuto, quasi, essere stato formulato da un autore di EXIT!, anche se lo avrebbe fatto senza attribuire un cuore al capitalismo! È per questa ragione che penso che Rifkin sia uno dei pensatori, o un critico, più importanti della situazione sociale odierna, rispetto ai tanti chiacchieroni che vengono ritenuti essere di sinistra. Diciamolo fin da subito, per gli spiriti critici e interessati: il libro è più che degno di essere letto! Ma, detto seriamente, nel suo complesso, Rifkin non ha niente a che vedere con la critica della dissociazione-valore, solo che egli vede il capitalismo in maniera assai più critica di quanto facciano molti pensatori borghesi, e anche quelli del marxismo tradizionale; purtroppo, anche così, questo non cambia niente rispetto a quello che lui immagina che non solo esisterà per molto tempo, ma che sarà anche molto vivo. Quelli che seguono sono alcuni commenti critici sul suo ultimo lavoro.

I messaggi-chiave di Jeremy Rifkin
Di solito, questo è abbastanza semplice da formulare; ma, come sanno quasi tutti gli scienziati borghesi, nei dettagli non è abbastanza facile! Dapprima, Rifkin vede già oggi scomparire la pelle del capitalismo. Ma: è assai fiducioso che il suo capitalismo, così incredibilmente ambivalente, possa durare abbastanza tempo, accanto a quella che lui chiama "società a costo marginale zero", per alcuni anni, forse perfino per qualche decennio. «La lotta fra collaborativisti "prosumer" e capitalisti investitori, sebbene si trovi ancora ad uno stadio iniziale, sarà la battaglia economica decisiva della prima metà del XX secolo». Forse questa metafora vuole commemorare la Battaglia delle nazioni, avvenuta nei pressi di Lipsia nel 1813, dove venne sconfitto anche un anacronismo; solo che il capitalismo non verrà coinvolto in nessuna battaglia finale. Invece, verrà abolito da una società che avrà preso coscienza di sé e delle condizioni che si sono venute a creare, oppure, diversamente, sparirà in un caos fuori da ogni controllo e nella barbarie. Quest'ultima è già da parecchio tempo che ha avuto inizio, senza che mai da nessuna parte ci fosse qualcuno che si preparava in maniera cosciente e pianificata alla battaglia. Gli oppositori del capitalismo evocati da Rifkin, vale a dire la comunità di Internet della “società a costo marginale zero”, oppure quella dei "beni comuni collaborativi", in effetti possono sviluppare talvolta delle potenziali idee alternative di natura economica; ma - da Robert Owen a Irmi Seidl e ad Harald Welzer - senza mai essere in grado di comprendere radicalmente, in termini concettuali, l'assurdità del capitalismo, rimangono limitati nello spazio e nel tempo, e non hanno ancora superato i modelli tipo "pozzo dei desideri"; cosa che non dovrebbe essere sfuggita anche a Rifkin.
Le sue scoperte circa il processo di restringimento del capitalismo sono ancora più acute: «Immaginiamo uno scenario in cui la coerenza del funzionamento del sistema capitalista supera ogni aspettativa ed il processo concorrenziale genera una "produttività estrema", portando a quello che gli economisti chiamano "condizioni ottimali di benessere generale" - dove l'intensa concorrenza obbliga all'introduzione di una tecnologia sempre più efficiente, aumentando così la produttività fino al punto ideale in cui ciascuna unità addizionale prodotta per la vendita si avvicina ad un costo marginale di "quasi zero". In altre parole, il costo reale della produzione di ciascuna unità addizionale - senza considerare i costi fissi - sarebbe pari a zero, rendendo così il prodotto praticamente gratuito. Se si dovesse verificare questa situazione, il profitto, il combustibile che alimenta il capitalismo, si esaurirebbe.» Inoltre, sottolinea che: «Gran parte della vecchia guardia della scena commerciale non riesce ad immaginare in che modo la vita economica possa continuare a prosperare in un mondo in cui la maggioranza dei beni e dei servizi viene praticamente offerta, dove il profitto sta morendo, dove la proprietà significa molto poco ed il mercato è superfluo. Che fare?» Sì, esattamente: Che fare? E, quasi contaminato dal punto di vista marxista, sostiene che Oskar Lenge «nel 1936, al culmine della Grande Depressione» aveva sollevato la questione di sapere «se in qualche momento dello sviluppo tecnico, sarebbe il successo stesso del sistema a trasformarsi in un ostacolo al suo progresso». E se «un imprenditore introduce delle innovazioni tecnologiche che gli possano consentire di ridurre i prezzi di beni e servizi, egli ottiene un vantaggio temporaneo sui suoi concorrenti che rimangono legati a mezzi di produzione più antiquati, cosa che ha come conseguenza la svalorizzazione degli investimenti precedenti nei quali sono stati coinvolti». Facendo ricorso a John Maynard Keynes, Rifkin dice che, perciò, esiste una minaccia di "disoccupazione tecnologica".
Tutto questo sembra perfino quasi marxista. Ma è proprio in un tale contesto, in cui la "contraddizione in processo" (Marx) svolge un ruolo cruciale nell'analisi, che Rifkin omette di menzionare Marx. Forse non ne ha avuto il coraggio, o semplicemente non lo ha capito. Per precauzione, comunque egli cita Marx assai raramente. Un'altra volta: a pagina 24, dopo sedici pagine di testo, Rifkin abbandona la descrizione dei rischi della problematica fondamentale del capitalismo e si dedica al vero tema del suo libro, alla società a costo marginale zero, che costitutivamente ha a che fare con Internet, soprattutto con l'Internet delle cose.

L'Interner delle cose.
«L'Internet delle cose permetterà di connettere tutto e tutte le persone in una rete globale integrata. Persone, macchine, risorse naturali, linee di produzione, reti logistiche, abitudini di consumo, flussi di riciclaggio e praticamente tutti gli altri aspetti della vita economica e sociale saranno collegati attraverso dei sensori e del software alla piattaforma dell'Internet delle Cose.» Questa avvolgente esistenza on-line degli esseri umani deve quindi dare inizio ed a sviluppare la società a costo marginale zero, in collegamento con «Energie Rinnovabili, produzione tramite stampanti 3D, insieme ad istruzioni superiori on-line». Tutto questo porterà perciò all'«ascesa della comunità dei beni comuni collaborativi», e dovrebbe portare alla consunzione il capitalismo ancora allegramente dominante e, a sua volta, diventare «modello dominante dell'organizzazione di vita economica». In questo modo avremmo posto le basi per lo scenario sia a breve che a medio termine: il capitalismo ha cominciato a declinare a causa delle sue contraddizioni interne - i guadagni di produttività si traducono in perdite di profitto ed in merci con costi marginali (quasi) zero - il capitalismo ha iniziato la sua decadenza, ma ci sono già dei beni comuni che sono in competizione che, attraverso l'Internet delle cose, la stampante 3D, le energie alternative ed alcuni miracolosi prodotti, affrontano il capitalismo. Non abbiamo forse già avuto una "concorrenza fra sistemi", durata dal 1917 al 1991, e come è andata a finire?

La presenta storia segreta del capitalismo
Poi Rifkin, dopo una sorta di prologo, dopo aver descritto brevemente i galli e le galline da combattimento e le loro rispettive armi, per la battaglia già in corso per la supremazia nell'organizzazione economica, e che ben presto si acutizzerà, si dedica, nella I parte, alla storia del capitalismo. Penso che queste 55 pagine siano molto gradevoli da leggere e che forniscano un resoconto ricco di fatti dell'evoluzione del capitalismo, a partire dai suoi presupposti storici e fino a la presente. Nel far questo, Rifkin fornisce anche materiale che, sebbene in linea di massima sia disponibile pubblicamente, non viene usato - o viene usato solo marginalmente - e discusso da parte del mainstream della scienza economica, storica, sociale e politica. Solo per fare un esempio: nessuno dovrebbe sopravvalutare il ruolo avuto dai mulini ad acqua nella costituzione del capitalismo - e nemmeno Rifkin lo fa; tuttavia, è molto importante sapere che «alla fine del XI secolo esistevano più di 5.600 mulini ad acqua funzionanti in 34 contee dell'Inghilterra; (...) L'impatto economico è stato drammatico. Un mulino ad acqua tradizionale produceva da 2 a 3 cavalli di potenza  per circa la metà del tempo in cui il mulino funzionava. Il mulino ad acqua poteva sostituire il lavoro di 10-20 persone.» Rifkin, con quest'informazione - e ce ne offre molte altre - contribuisce a che i tentativi di spiegazione troppo unidimensionali di una storia puramente empirica (come: accumulazione originale [Karl Marx], armi da fuoco [Karl Georg Zinn], rivoluzione monetaria ecclesiastica [Christoph Türcke], possano essere messi in relazione con il sorgere del capitalismo. Quello che Rifkin non riesce a fare, tuttavia, è abbandonare il livello dei fatti tecnologici, basati su dati e sensibilmente percettibili, e concettualizzare la nascita del capitalismo. Di fronte a frasi come: «il capitalismo, come lo intendiamo oggi, non è emerso prima della fine del XVII secolo con l'introduzione dell'energia a vapore», le sue analisi assai più profonde espresse all'inizio del libro appaiono più come facenti parte di un tentativo di andare oltre il piano ideologico. Forse si può descrivere la visione di Rifkin facendo uso di una citazione di Robert Kurz: «Il carattere della fine in sé del capitalismo, vale a dire, l'irrazionalità del sistema sociale condizionato dal capitale, non viene presa in considerazione» [Robert Kurz, Das Weltkapital (Il capitale mondiale), Berlino 2005.].

La società a costo marginale vicino allo zero e l'ascesa dei beni comuni collaborativi
Rifkin continua con insistenza nella seconda e terza parte a riunire, visualizzare e presentare dati e fatti, noti quasi da tutti, ma dei quali pochi sono consapevoli, che ha già presentato con grande diligenza nella prima parte del suo libro. La seconda parte riguarda gli enormi progressi nella produttività, nell'efficienza e nell'istruzione che si sono verificati in varie aree, dell'enorme aumento dell'efficienza energetica avvenuto negli ultimi decenni, ancora una volta dell'Internet delle Cose, vale a dire il collegamento totale in rete di persone, macchine e perfino materiale, e di energia rinnovabile praticamente senza costi, così come del già menzionato "insegnamento superiore online" (MOOCs: Massive Open Online Courses). Qui il nostro autore non si sottrae a delle ipotesi abbastanza speculative. Dopo aver presentato brevemente la ricerca che ha descritto come un «nuovo metodo rivoluzionario per immagazzinare enormi quantità di dati incorporandoli nel DNA sintetico», esclama: «Questo metodo innovativo rende possibile l'archiviazione praticamente illimitata di informazioni». Rifkin considera tutti questi dati e questi fatti come estremamente interessanti (ivi incluse alcune fantasie più o meno divertenti) come parte di uno sviluppo sociale che porta le merci ad essere ormai praticamente senza costo marginale per quel che attiene alla loro produzione e distribuzione.
Mentre, dopo la recessione del 2007-2009, negli Stati Uniti c'erano circa 4 milioni di lavoratori in meno rispetto a prima, nel 2012, «l'economia degli Stati Uniti aveva già... recuperato del tutto, con un PIL di 13,6 miliardi di dollari (sulla base del 2005). È stata perfino del 2,2% - ossia di 290 mila miliardi di dollari - superiore a quello del 2007, subito prima della recessione.» «La discrepanza esistente fra il PIL in crescita e la diminuzione dei posti di lavoro sta diventando talmente pronunciata da rendere difficile continuare ad ignorarla.»  È la sua visione che lo porta a riflettere e che gli fa balenare davanti l'idea che dobbiamo trovarci «di fronte ad una mutazione epica nella natura del lavoro», come è evidenziato dal fatto che la «sostituzione del lavoro salariato di massa e quella del lavoro salariato qualificato, attraverso le tecnologie intelligenti... sta cominciando ad ostacolare il funzionamento del sistema capitalistico». Questa evidente contraddizione, che Rifkin vede con maggior chiarezza di quanto facciano molti dei suoi colleghi, non lo motiva in alcun modo a pensare in maniera critica, ma piuttosto lo spinge a trasmettere un messaggio positivo e speranzoso. Pertanto, sebbene il capitalismo abbia creato condizioni che porteranno ad abbandonarlo nel medio periodo, i lettori del suo libro non devono preoccuparsi troppo, poiché la soluzione, o la salvezza, se vogliamo credere a Jeremy Rifkin, è già in marcia: la società a costo marginale (vicino allo) zero, ossia, i beni comuni collaborativi.
Ed è esattamente su questo che Rifkin si concentra, nella terza parte del libro. Continuando nella sua persistente supposizione che il capitalismo debba perire - ma che questo potrà essere gestito e continuerà secondo le proprie regole - non sorprende affatto che egli consideri il fatto che sarebbero le cooperative, o le associazioni "comuni" di tutti i tipo, i candidati appropriati a sostituire, a lungo termine, il capitalismo. Rifkin già vede che, negli Stati Uniti, le cooperative «ormai operano praticamente in tutti i settori economici - produzione agricola ed alimentare, vendita al dettaglio, assistenza sanitaria, assicurazioni, credito, energia, produzione e distribuzione di elettricità e telecomunicazioni». Quello che Rifkin non riesce a vedere è che tutti questi beni comuni non sono riusciti a liberarsi dalla relazione di dissociazione-valore, alla cui mercede rimangono - Vale a dire che ciò che è fondamentale per tutte le alternative economiche di Rifkin è la partecipazione alla valorizzazione del valore, in una varietà sovvenzionata o patrocinata dallo Stato o da singoli individui. Non intendo negare il fatto che sotto le condizioni capitalistiche della valorizzazione del valore, possa sopravvivere un'altra "economia comune", così come possa sopravvivere un altro approccio al miglioramento e alla riparazione delle implicazioni permanenti del capitalismo; ma questo si applica anche alle organizzazioni non alternative, così come, ad esempio, ai gruppi di riflessione strategica delle grandi imprese, per i circoli di pianificazione delle banche centrali, o persino per i club di discussione riversati sul dibattito politico - lo stesso Rifkin è il fondatore ed il presidente di una di queste associazioni (la "Foundation on Economic Trends”, Washington, DC) - per non parlare delle vecchio cooperative di consumo e di credito.

Economia di accesso e di condivisione
A Rifkin, piace anche usare una sua vecchia idea, divulgata nel suo libro del 2002, "The Age of Access" (L'era dell'accesso. La rivoluzione della new economy, Milano, Mondadori, 2000). «Quel che conta, nella nuova era del capitalismo culturale, è l'accesso, la disponibilità; la proprietà diventa sempre più priva di significato rispetto all'ordine della vita sociali», scrive a pagina 183. Nella quarta parte del suo libro attuale, rivisita questo tema. Ma, avendo avuto sufficiente capacità di apprendere e svilupparsi, egli non include più questa transizione dei soggetti - dalla fissazione sulla proprietà al paradigma dell'accesso - nella descrizione di un "nuovo capitalismo", ma ora lo mette in competizione  con il capitalismo. Nello specifico, è rimasto impressionato dalla nuova "sharing economy", che considera un esempio, senza fare uso di troppe conoscenze superflue di economia aziendale: «Il car sharing libera i membri dal costo di acquisto di un veicolo e dai costi di manutenzione,assicurazione, tasse, ecc.». Ma anche se c'è un gruppo di persone che condivide delle automobili e che può smettere di pagare i costi summenzionati, anche così viene da chiedersi dove starebbe in un modello simile l'alternativa al capitalismo, al di là del trucco magico della sparizione dei costi; tuttavia, se il trucco si dovesse diffondere, allora si metterebbe fine al capitalismo, ma dopo. Non dipende solo a causa dell'enfasi irreale usata da Rifkin, nel ritrattare "l'accesso" e "l'economia della condivisione" visti entrambi come concorrenti vittoriosi del capitalismo, che questa quarta parte del libro è chiaramente la più irritante. Oltre a questo, quelle che non sono convincenti sono le sue indicazioni a proposito dell'avvento, proprio in America,  delle «cure sanitarie orientate al paziente», o di quelle che parlano della «fine della pubblicità», o addirittura quelle che parlano dei cosiddetti prestiti peer-to-peer e di «crowfunding». In questi casi, le attività ed i soggetti sono invariabilmente interessati al successo economico, e non ci sono indizi a proposito del fatto che abbiano intenzione di entrare in concorrenza sistemica con il capitalismo. Alla fine di questa parte del libro, la cosa diventa ancora più curiosa: Rifkin trasmette in maniera del tutto acritica l'opinione del "guru del management", nato a Vienna nel 1909, Peter Ferdinand Drucker, un "pensatore originale e indipendente" (secondo wikipedia.org), il quale argomenta che «i problemi cronici della povertà, dell'istruzione, del degrado ambientale, insieme a tutta una serie di altre difficoltà sociali potrebbero essere affrontate con maggior successo se venissero liberate le reti creative dell'imprenditorialità». A questo punti, Rifkin mostra forse il suo vero volto - quello per cui i suoi simpatizzanti aspettano in silenzio e dicono che è un peccato, che lui lo sa meglio!

Dell'abbondanza
Nella sezione finale, la quinta parte del libro, Rifkin torna un po' all'imponente livello della prima e della terza parte, ma, purtroppo, si ferma e rimane fermo a metà strada. Nelle prime pagine di questa sezione, prende in esame l'impronta ecologica lasciata dall'umanità e sottolinea la fame patita da miliardi di persone, le abitudini di spreco di molti americani e la distruzione ambientale degli ultimi anni. Ma attribuisce la responsabilità di questi scandali ai cosiddetti "materialisti", più di quanto non pensi che occorra cercare delle ragioni meno semplici oppure che non siano puramente etiche. Ed è nei cosiddetti millenial - i membri della generazione del millennio, ossia, coloro che sono nati fra il 1980 ed il 2000 e che a volte vengono chiamati "Generazione Y" - che Rifkin vede immediatamente il gruppo di persone che si avviano a liberarsi di questo materialismo. Secondo Rifkin, sono tali millenial a costituire essenzialmente la società a costo marginale zero, a promettere e a credere nel futuro, che gradualmente arriverà a vivere nell'abbondanza, grazie al prezzo, che si suppone andrà a tendere verso lo zero, dei beni e dei servizi.
Paradossalmente, tuttavia, è il mezzo giusto per poter controbilanciare con efficacia una distruzione ambientale causata dal consumo eccessivo: «È la scarsità a generare sovracconsumo, e non l'abbondanza. In un mondo in cui tutti vedono soddisfatte le loro necessità materiali, il timore della privazione scompare. La necessità insaziabile di accumulare e di consumare perde gran parte della sua ragion d'essere. Lo stesso vale per la necessità di prendere agli altri quanto più è possibile.» Francamente, sono d'accordo con lui su questa dichiarazione perché, a mio avviso, è psicologicamente del tutto corretta; solo il postulato stato di abbondanza, il superamento della scarsità per tutte le persone, o quanto meno per una maggioranza schiacciante, è, com'è noto, sistematicamente impossibile dentro il capitalismo, ed è stato verificato in maniera empiricamente negativa per più di duecento anni. La "società a costo marginale zero", come tentativo di soluzione, rappresenta solo un'utopia da parte di Rifkin, poiché si basa su dei fondamenti che egli ha frainteso. Sicuramente ci saranno dei successi minori, in particolare quelli relativi ai vari tentativi di economia di condivisione, come ci viene indicato anche dall'autore con vari esempi che fanno uso di materiale statistico. Tuttavia, un successo clamoroso continua a dover essere escluso, in quanto il capitalismo non fuggirà davanti alla lotta. Al contrario, il capitalismo incorporerà in forma frammentaria tutte le cosiddette alternative, dopo che potrà farlo. Se manca o se oppure viene meno la sua capacità, allora semplicemente non c'è capitalismo, con tutte le sue possibilità per le cose che hanno successo (gli inconvenienti, per quelle che ne hanno meno). E se c'è una generazione che immagina di poter vivere quasi gratis dentro questo capitalismo, dovrà improvvisamente rendersi conto che questo non può esser fatto, in quanto la base - la valorizzazione del valore -, insieme alla dissociazione, ha registrato un crollo vertiginoso, oppure è semplicemente sparita, allora si verificheranno dei comportamenti imprevedibili e non più controllabili da parte di coloro che sono stati ingannati, defraudati e truffati. Se tutto ciò fosse noto a Rifkin, o se arrivasse alle sue orecchie, il suo libro, in linea di principio, sarebbe una vera e propria delusione. Ma ho il sospetto che il suo Super-Io lo abbia rassicurato sul fatto che può ritenere conseguentemente, fino in fondo, i suoi approcci come se fossero del tutto credibili, perché sarebbero troppo terrificanti, imbarazzanti e spaventosi. Sicuramente a causa di ciò, egli di conseguenza ed in maniera imperturbabile a volte smette semplicemente di continuare a pensare, smettendo, pertanto, di mettere per iscritto dei pensieri più avanzati.

Conclusione
Rifkin riassume in maniera molto condensata le sue riflessioni sullo stato attuale del capitalismo, e circa il suo futuro, nella postfazione intitolata "Una nota personale". Qui dice: «Il fatto è che se da un lato lo spirito d’intrapresa rivolto al mercato sta contribuendo a portare l’economia verso l’azzeramento del costo marginale e la gratuità dei beni e dei servizi, questa sua azione si estrinseca in un contesto infrastrutturale reso possibile dal concorso creativo di tutti e tre gli ambiti in causa: Stato, mercato ed economia sociale dei Commons. Il contributo di chi opera in questi tre ambiti fa pensare che il nuovo paradigma economico continuerà anch’esso a vedere l’intreccio di Stato, mercato e Commons, anche se intorno alla metà del secolo attuale sarà probabilmente il Commons collaborativo a determinare il grosso della vita economica della società.». Probabilmente ci saranno problemi anche in futuro, ma per ciascuno di essi ci sarà un modo di risolverlo - se ho ben compreso l'intenzione di Rifkin. In questa postfazione, tuttavia, egli ammette anche di avere «sentimenti contraddittori rispetto alla caduta dell'era capitalistica». Pur tuttavia, egli spera con fervore: «Non si tratta propriamente di svegliarsi un giorno e scoprire che l'ordine economico è stato sradicato e sostituito da un nuovo regime». A questo posso solo rispondere: Bene, caro Jeremy Rifkin, può anch'essere che non avverrà così; tuttavia, alla fine dovremo riconoscere in quale situazione noi - tutta l'umanità - ci troviamo attualmente. Il problema sarà quello di sapere se riusciremo ad aver successo nella costituzione di una società che sia socialmente cosciente, una società che corrisponda al benessere dell'umanità, oppure se smetteremo di poter vivere in qualsiasi ordine reale, entrando in un caos del tutto incosciente e barbaro; lei, ovviamente, non si rende conto del fatto che la maggioranza dell'attuale umanità, proprio anche in America, è già sulla strada di questa stessa barbarie. Le auguro che possa, almeno, riuscire a svegliarsi!

- Richard Aabromeit - Pubblicato sulla rivista EXIT! nº 14, Maggio 2017 -

fonte: Exit!

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