domenica 25 febbraio 2018

Anti/Nazionali

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Nazione o Classe?
- La questione nazionale (estratti dall'edizione della Sinistra tedesco-olanderse, 2018) .
- di Philippe Bourrinet -

I - Nazione o classe? La questione nazionale
Nel 1909, come tutti i "tribunisti" [N.d.T.: dal nome del giornale "La Tribune", era il nome che veniva dato a che faceva parte della Sinistra Olandese], come i bolscevichi, Pannekoek sottolineava che il socialismo integra ogni lotta che intenda mettere fine allo sfruttamento, all'oppressione esercitata su qualsiasi popolazione, o parte di essa, dovunque nel pianeta:
«Il socialismo si pronuncia per il diritto dei popoli all'autodeterminazione, contro ogni sfruttamento ed oppressione e contro l'assolutismo.»
Posizione classica, nel movimento operaio. Ma se i marxisti di sinistra si pronunciavano contro ogni sfruttamento ed ogni oppressione di tipo nazionale e coloniale, ciò implicava che loro dovevano ricercare delle "soluzioni nazionali" a tali sfruttamenti ed oppressioni, e dovevano quindi sostenere la borghesia nazionale dei paesi che rivendicavano indipendenza o autonomia? Non c'era anche il rischio che questo «diritto dei popoli a disporre di sé stessi», elaborato a partire dalla filosofia dei Lumi, venisse cinicamente utilizzato dalle grandi potenze imperialiste, in particolare dagli Stati Uniti? (È noto che durante la guerra, i 14 punti del presidente americano Woodrow Wilson, basati su questo "diritto", furono integrati nella carta della Società delle Nazioni, nel 1919. E questo principio fu applicato al fine di mantenere, non solo la colonizzazione, ma anche la predominanza delle grandi potenze capitaliste occidentali, in primo luogo gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia.)
Questa visione dei "tribunisti" verrà profondamente modificata dallo stesso Pannekoek, a partire dal 1912, in senso rigorosamente anti-nazionale, ed internazionalista, di lotta contro il capitalismo mondiale.
Questa concezione anti-nazionalista ed internazionalista, si trova ad essere stata esposta in tutta la sua chiarezza da Marx ed Engels, nel 1848, allorché sottolinearono con forza che «i proletari non hanno patria». La categoria Classe prevaleva sulla categoria Nazione, e con questo insieme alla scomparsa dei «confini nazionali e degli antagonismi fra i popoli, storicamente transitori e destinati a scomparire». Tuttavia - in un periodo di ascesa del modo di produzione capitalista che estendeva progressivamente il suo dominio sul mercato mondiale e facendo sorgere delle nuove nazioni capitalistiche - i fondatori del marxismo lasciavano un posto alle rivendicazione delle nazionalità, nella misura in cui erano state create delle "nazioni storiche" che andavano nel senso dello sviluppo del capitalismo, e quindi della sua successiva scomparsa.
La politica dei teorici del "socialismo scientifico" era ben lungi dall'essere coerente. E portò Engels, che non si preoccupava delle sottigliezze teoriche, a schierarsi pienamente nel corso della rivoluzione del 1848. Il futuro autore de "La Dialettica della Natura", fece delle osservazioni tanto sorprendenti quanto terrificanti. Engels immaginava con gioia la scomparsa dei popoli "barbari" che pretendeva associare al panslavismo della Russia zarista. Per la maggior gloria del "Progresso", e per il più grande beneficio dei "popoli eletti" (tedeschi e magiari)...questi popoli sarebbero stati cancellati definitivamente dagli Annali della storia.
Dopo il 1870, lo stesso Engels considerava, nel 1882, che in Europa non potevano rimanere che due nazioni, la Polonia e l'Irlanda, le quali avevano «non solo il diritto ma il dovere di essere nazionali, prima di essere internazionali. Ed è proprio nell'essere più nazionali che queste due nazioni saranno più internazionali» [Lettera di Engels a Kautsky, in data 7 febbraio 1882].
E in una lettera scritta il 20 giugno 1893 al genero di Marx, Paul Lafargue, è sempre Engels a considerare che:
«Senza l'autonomia e l'unità conferita a ciascuna nazione, né l'unione Internazionale del proletariato, né la tranquilla e intelligente cooperazione di queste nazioni per dei fini comuni, possono essere realizzate».
Quest'ultima posizione, in qualche modo in contraddizione con quella che difendeva nel 1848, diverrà la posizione della Seconda Internazionale, quanto meno quella del suo Centro e della sua Sinistra. Questa posizione permise ad un Jean Jaurès, per esempio, di mettere insieme patriottismo ed internazionalismo nel suo libro, L’Armée nouvelle (1911), in cui affermava:
«Un po' di internazionalismo allontana dalla patria; molto internazionalismo avvicina. Un po' di patriottismo allontana dall'Internazionale; molto patriottismo avvicina».

Tocca a Rosa Luxemburg, nel 1896, rimettere in discussione quest'ultimo schema di Engels, per quel che riguarda la questione polacca. Per lei si trattava di «rivedere le vecchie idee di Marx sulla questione nazionale». In un articolo in polacco su «la questione nazionale e l'autonomia», sottolinea la natura di conquista propria ad ogni Stato nazionale capitalista, la cui finalità è quella del saccheggio e della rapina, e non «la tranquilla e intelligente collaborazione delle nazioni». Non è lo Stato nazionale, ma lo Stato brigante quello che meglio corrisponde allo sviluppo del capitalismo. [N.d.T.: «Kwestia narodowościowa i autonomia», in Przeglad Socjaldemokratyczny, organo teorico del SDKPiL, 1908, n° 6.]
Pertanto, Rosa Luxemburg respingeva il discorso sull'indipendenza della Polonia, in quanto contrario agli obiettivi proletari. Ammetteva, tuttavia, in circostanze eccezionali, la cosiddetta "liberazione nazionale", in particolare quella dei popoli cristiani perseguitati dall'impero ottomano, nel momento in cui avviene il primo genocidio contro gli armeni, nel periodo che va dal 1893 al 1896. Per Rosa Luxemburg, questa lotta deve non solo suscitare la simpatia umana dei marxisti contro il terrore e l'oppressione, ma va considerata come una lotta politica contro i due baluardi della controrivoluzione: l'impero russo e quello ottomano:
«I popoli cristiani - in questo caso gli armeni - vogliono liberarsi dal dominio turco, ed i socialdemocratici devono accettare questo fatto... Dobbiamo testimoniare la nostra simpatia e la nostra piena comprensione delle aspirazioni all'autonomia delle nazioni cristiane. Soprattutto, dobbiamo accogliere queste aspirazioni in quanto esse sono dei mezzi per combattere la Russia zarista, e dobbiamo insistere riguardo la loro indipendenza, tanto dalla Russia quanto dalla Turchia.»
Tuttavia, nel 1908, nel suo testo (scritto in polacco) La Questione Nazionale e l'Autonomia, Rosa Luxemburg respinge definitivamente ogni idea di conciliare "liberazione nazionale" e lotta di classe del proletariato. Era necessario respingere il concetto di "nazione" in quanto portatore dell'ideologia borghese e distruttore della coscienza di classe:
«(...) Un tale concetto di "nazione" è infatti una di quelle categorie dell'ideologia borghese che la teoria marxista ha sottomesso ad una revisione radicale, dimostrando che dietro un velo misterioso - quali sono i concetti di "libertà borghese", di "uguaglianza davanti alla legge", ecc. - si nasconde sempre un preciso contenuto storico. Nella società di classe, non esiste una nazione in quanto entità socio-politica omogenea; al contrario, ogni nazione ha delle classi con interressi e con "diritti" contrapposti ed antagonisti.»
La posizione teorica e politica di Rosa Luxemburg si trovava agli antipodi da quelle difese dai principali "tenori" dell'Internazionale, i quali lasciavano che si sviluppasse un'ideologia patriottica e nazionalista nei ranghi stessi del movimento operaio. Per cui Jaurés proclamava che il socialismo sarebbe «la patria universale dei lavoratori liberi, delle nazioni indipendenti e amici fra loro.» [Jaurès, L’Armée nouvelle, op. cit.]
Kautsky, già "centrista", sosteneva nel 1909: «Noi non siamo anti-nazionali, non più di quanto non siamo ostili, o perfino indifferenti, alla personalità» [Kautsky, in Haupt, Löwy et Weill 1974, p. 147.] Questa posizione - che venne poi ripresa nel 1919-1920 dai teorici del "nazional-bolscevismo" Laufenberg e Wollfheim - venne vigorosamente condannata dalla sinistra comunista tedesca, la quale proclamò che «la lotta del proletariato non solo è internazionale, ma è anche anti-nazionale.» [ Intervention d’Adolf Dethmann au Deuxième congrès du KAPD, août 1920.]
Convertitosi poi allo spirito della sintesi fra gli inconciliabili, Kautsky accusa perfino Otto Bauer (1881-1938), lo specialista delle nazionalità nel partito austro-ungherese, di non aver operato una «sintesi fondamentale fra nazionalismo ed internazionalismo» [Kautsky, in Haupt, Löwy et Weill 1974].
L'intervento di Pannekoek sulla questione nazionale, nel 1912, avvenne sotto forma di un opuscolo dal titolo "La lotta di classe e la nazione", ed apparve a Reichenberg, una città industriale della del Massiccio della Boemia (Sudetenland), dov'era predominante la lingua tedesca. L'opuscolo procedeva nello stesso identico senso di quello di Josef Strasser (1870-1935), membro dell'estrema sinistra austriaca. "L'operaio e la nazione", l'opuscolo che era stato simultaneamente pubblicato da Strasser in quella stessa città, era il complemento dell'opuscolo di Pannekoek, e ne era persino il prolungamento svolto in senso più radicale. Il loro intervento era un attacco globale contro le posizioni dell'austro-marxita Otto Bauer, e per suo tramite contro la penetrazione dell'ideologia nazionale nel partito socialdemocratico di Austria-Ungheria. Quel partito era una federazione di sei partiti nazionali; era diviso non in sezioni, ma in nazioni! In seno al Gesampartei[Il Partito totale], i nazionalisti più virulenti erano i separatisti cechi, che insieme ai sindacati cechi attuarono una prima secessione nel 1906. Simultaneamente, nel partito austriaco si era sviluppata una tendenza nazionalista, favorevole ad un imperialismo della Grande Germania, e quindi ad una annessione (Anschluss) al Reich.

Indubbiamente il libro di Otto Bauer, "La Questione delle nazionalità e la socialdemocrazia"(1907), era servito come copertura teorica per le tendenze nazionaliste in seno alla socialdemocrazia. Definendo la "Nazione" come comunità di linguaggio, di carattere e di destino, Otto Bauer difendeva l'idea di una propria "identità nazionale", senza tener conto dell'incessante mescolanza della popolazione nel corso dell'evoluzione storica. In una visione che in definitiva è assai vicina a quella di Kautsky e degli altri teorici dell'Internazionale, sosteneva che il progetto socialista si sarebbe concretizzato, non a partire dall'estinzione delle nazioni per poi formare in tal modo una comunità mondiale, ma attraverso una federazione delle nazioni: «l'unità internazionale nella diversità nazionale».
Nel suo opuscolo, e in maniera paradossale, Pannekoek riprendeva la definizione data da Otto Bauer della nazione: vale a dire, «l'insieme degli uomini legati da una comunità del destino in una comunità di carattere». Aggiungendovi la lingua vista come «il più importante attributo della nazione, ma tuttavia le nazioni non sono affatto identiche ai gruppi umani che hanno la stessa lingua.»
Ma la differenza fra la concezione di Otto Bauer e quella di Pannekoek - ma anche quella della Luxemburg - consiste nel fatto che la seconda, contrariamente a Bauer, che fa della "nazione" una categoria eterna, mostra, al contrario, il suo carattere transitorio:
«(...) la nazione non è altro che una struttura temporanea e transitoria nella storia dell'evoluzione dell'umanità, una delle tante forme di organizzazione che si succedono, o che si manifestano simultaneamente: tribù, popoli, imperi, Chiese, comunità, villaggi, Stati. In mezzo a tutti questi, la nazione, nella sua specificità, è essenzialmente un prodotto della società borghese, ed è insieme ad essa che sparirà.»
Ecco perché, una volta che le nazioni borghesi si sono formate sulla base dello sfruttamento del proletariato, quest'ultimo afferma di esserne il negatore. Tra borghesia e proletariato «la loro comunità nazionale di destino e di carattere scompare sempre più»; e con lo sviluppo accelerato del capitalismo, e contrariamente alle affermazioni di Bauer, è la differenza del destino sociale a creare una separazione insormontabile fra le due classi antagoniste. Riguardo al nazionalismo proletario, predominante all'epoca delle rivoluzioni borghesi, esso «perde le sue radici nel momento in cui la classe sfruttata affronta la propria borghesia che si fa carico dello sfruttamento».
E infatti, è la piccola borghesia la sola classe, oltre alla borghesia, ad avere delle reali radici nazionali ed a manifestare il nazionalismo più estremo. Qui, l'argomentazione di Pannekoek incontra con vigore quella di Josef Strasser, con i suoi "lavoratori della lingua" - i funzionari, gli impiegati, ecc. - mostra che questi hanno un interesse maggiore a mantenere un quadro nazionale che garantisca loro la sussistenza. Ma molto più di Strasser, Pannekoek sottolinea il carattere parassitario di questi strati piccolo-borghesi attaccati ai loro privilegi nazionali, i quali funzionano come una sorta di clientela plebea: «La nazione, in quanto comunità solidale, costituisce per chi ne fa parte una clientela, un mercato, un dominio di sfruttamento dove si dispone di un vantaggio rispetto ai concorrenti delle altre nazioni.» (...) «Il loro nazionalismo è quello delle cricche che lottano le une contro le altre per avere influenza sullo Stato, per il potere nello Stato». Infine, la comunità della "cultura", l'argomento finale di Otto Bauer per difendere l'idea di "identità nazionale" è un argomento falso. La sola cultura che ha valore per il proletariato di un paese non può essere altro che la cultura socialista, la quale non ha niente di nazionale e si oppone al mondo borghese nel suo insieme: «Quelli che noi chiamiamo effetti culturali della lotta di classe, l'acquisizione da parte del lavoratore di una coscienza di sé, del sapere e del desiderio di istruirsi, di elevate esigenze intellettuali, non ha niente a che vedere con una cultura nazionale borghese, ma rappresenta la crescita della cultura socialista. Tale cultura è un prodotto della lotta, la quale è una lotta contro il mondo borghese nella sua totalità».
La lotta di classe internazionale, che si sviluppa in tutti i paesi, rivela necessariamente l'essenza internazionale ed internazionalista del proletariato. Questo carattere internazionale del proletariato non smette di crescere, nell'epoca moderna, quando negli scioperi di massa, i lavoratori scambiano e mettono in comune mutualmente teoria e tattica, metodi di lotta. Per definizione, il proletariato è un solo esercito, temporaneamente disperso nei battaglioni nazionali per combattere il medesimo nemico capitalista globale: «Il proletariato di tutti i paesi percepisce sé stesso come un unico esercito, come una grande unione, che solo delle ragioni pratiche - poiché la borghesia è organizzata in Stati e di conseguenza ci sono numerose fortezze da prendere - lo hanno costretto a scindersi in più battaglioni che devono combattere separatamente il nemico». Per questa ragione, sottolinea Pannekoek, il ruolo del marxismo è stato quello di fare un'opera costante di propaganda al fine di rafforzare la coscienza di classe degli operai, il loro senso di appartenenza ad uno stesso esercito mondiale. La forza del fatto nazionale è direttamente proporzionale al soffocamento del sentimento di classe: «[Il fatto nazionale] è un ostacolo alla lotta di classe, la cui forza dannosa dev'essere quanto possibile eliminata». È questo il motivo per cui Pannekoek, seguendo Rosa Luxemburg, sosteneva un rifiuto netto di ogni indipendenza nazionale, in Europa, ed in particolare nell'Austro-Ungheria ed in Polonia. Analogamente agli antagonismi religiosi, i conflitti nazionali o inter-nazionali (fra nazioni) sono un mezzo di distrazione dalla lotta di classe. «[È] un mezzo eccellente per dividere il proletariato, per distogliere la sua attenzione dalla lotta di classe per mezzo di slogan ideologici ed impedire la sua unità di classe».

Quindi, la politica del marxismo di sinistra riguardo la questione nazionale non era un'utopia, ma una necessità sulla strada che porta il proletariato alla presa del potere su scala planetaria. Non si trattava di un appello ad una "etica" internazionalista, ma di una politica pratica rivolta contro una forza reale, l'ideologia borghese nazionalista, la cui finalità era la disintegrazione dell'esercito internazionale operaio, e in definitiva la preparazione alla guerra imperialista. Questa politica attiva dell'internazionalismo olandese, viene riassunta da Pannekoek  nei seguenti termini, frementi di tutta l'enfasi posta sul "sentimento di classe":
«A tutti gli slogan, così come a tutti gli argomenti nazionalisti, si risponderà: sfruttamento, plusvalore, borghesia, dominio di classe, lotta di classe. Se parleranno delle esigenze di una scuola nazionale, noi richiameremo l'attenzione sulla povertà dell'insegnamento dispensato ai figli degli operai che non imparano più di quanto serva loro per lavorare quando sarà il momento al servizio del capitale. Se parleranno di segnaletica e di cariche amministrative, noi parleremo della miseria che costringe i proletari ad emigrare. Se parlano dell'unita della nazione, noi parleremo dello sfruttamento e dell'oppressione di classe. Se parlano della grandezza della nazione, noi parleremo della solidarietà del proletariato nel mondo intero.»
Quest'opuscolo di Pannekoek, scritto in uno stile che è allo stesso tempo appassionato e didattico, è stato une dei discorsi più vibranti, nella Seconda Internazionale, scritti per difendere i sentimenti internazionalisti di classe contro la disgregazione di tali alti sentimenti umani da parte dell'ideologia nazionalista.
L'opuscolo del teorico olandese era in pieno accordo con quella di Josef Strasser, ma se ne discostava un po', nella misura in cui, talvolta, faceva qualche concessione a Bauer. Incontestabilmente, Pannekoek dava una chiara visione dell'avvenire socialista, affermando che l'unità economica del futuro sarebbe stata il mondo, e non lo Stato e la nazione: «Questa base materiale della collettività: la produzione mondiale organizzata, trasforma l'umanità futura in un'unica comunità del destino.»
A differenza di Josef Strasser, immaginava l'esistenza di "comunità linguistiche" in un mondo unificato. Ciò che delle "nazioni" continuerebbe a sussistere, vivrebbe nei "gruppi con la stessa lingua". le cui relazioni reciproche creerebbero un linguaggio comune.
Egli stava senza alcun dubbio reintroducendo il concetto di "nazione", sotto la forma di una "super-nazione" transcontinentale, per mantenere nei fatti una "diversità linguistica". Ma chi trarrebbe beneficio di questa "diversità", in una società che dovrebbe sfociare in un mondo unificato senza classi, mentre Pannekoek mostra nelle sue argomentazioni che solo la piccola borghesia aveva interesse a conservare la "lingua nazionale"? Si trattava in ogni caso di una questione complessa che era difficile da trattare se ci si immergeva troppo velocemente nelle "marmitte dell'avvenire"...
Più logico, Josef Strasser evocava in tutti i suoi pronostici la comparsa di una lingua mondiale unica, per cementare la nuova comunità umana:
«Mettiamo un termine alla molteplicità delle lingue, facciamo di una lingua, la lingua della comunicazione generale, che la si insegni in tutte le scuole del mondo ed essa ben presto diverrà la lingua unica e di conseguenza svolgerà la funzione della lingua in quanto mezzo di comprensione e di comunicazione.»
Nelle proposte concrete di Pannekoek c'era una certa indecisione. Per un fatto di "tattica", egli preconizzava in Austria-Ungheria, a livello internazionale (Gesamptpartei), l'unità del partito e dei sindacati, indipendentemente dalla nazionalità. Localmente, "per delle finalità di propaganda e di educazione", sosteneva una sotto-organizzazione ed un'articolazione nazionale. Per tener conto delle "particolarità linguistiche", sembrava reintrodurre timidamente il fattore nazionale fin dentro l'organizzazione politica del proletariato.
Ma simili ambiguità erano appena percettibili in questo lavoro estremamente importante di Pannekoek. Infatti, "Lotta di Classe e nazione" di Pannekoek era innanzitutto un'opera di combattimento completamente orientata contro l'ideologia nazionalista, base ideologica della preparazione della guerra mondiale. Sempre più, nota Pannekoek nel 1913 - così come d'altronde Rosa Luxemburg e i "tribunisti" - la scelta era tra l'azione di massa, l'internazionalismo, e la rivoluzione oppure fra il nazionalismo e la guerra.

- Philippe Bourrinet - Pubblicato il 4/2/2018 su pantopolis.over-blog.com -

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