martedì 7 novembre 2017

Gerolamo Cardano

astrologo

Nato, figlio illegittimo, a Pavia, nonostante sua madre avesse tentato con tutti i mezzi di abortirlo, Girolamo Cardano contrae subito la peste dalla sua balia, che ne muore. Lui sopravvive, e non è che l’inizio di una vita avventurosa, blasfema, dotta, geniale, violenta, scapestrata, dissoluta, sfortunata e fortunata, opulenta e misera, a seconda del momento. «Cardano fu un grande uomo con tutti i suoi errori – scrisse di lui Leibniz. – Senza, sarebbe stato ineguagliabile».
Tra le molte cose che gli capiteranno in vita menzioniamo: una salute gravemente malferma, più di una fuga dalla peste, l’impotenza sessuale (poi guarita), la laurea in medicina, la nascita di due figli, la perdita di tutti i suoi averi al gioco (più volte), la morte della moglie, la guarigione del vescovo di Edimburgo, l’invito a fermarsi alle corti di Scozia, Francia e Danimarca (rifiutate), l’arresto per uxoricidio del primo figlio e la di lui decapitazione pubblica a Milano, un contrasto durato dieci anni (con diffamazioni a mezzo stampa internazionale) col matematico Niccolò Tartaglia per via della pubblicazione di una formula algebrica segreta, l’invenzione del calcolo combinatorio, la pubblicazione dell’oroscopo di Gesù, l’arresto da parte dell’Inquisizione... e su questo punto incontriamo Girolamo in carcere a Bologna nel primo capitolo di questo libro eccezionale.
In mezzo a tutto questo bailamme, Cardano aveva inventato molte cose, e tra queste la teoria della probabilità e i numeri complessi. Quattro secoli dopo scopriamo che proprio probabilità e numeri complessi sono fondamentali per descrivere il mondo quantistico.
Michael Brooks riporta in vita per noi questo strano genio rinascimentale e dialogando con lui in prima persona ci insegna le basi della meccanica quantistica, costruendo un libro assolutamente originale e difficile da posare, che non ha eguali nel mondo della divulgazione scientifica.

(dal risvolto di copertina di: "L’astrologo quantistico", di Michael Brooks. BOLLATI BORINGHIERI.)

La probabilità dell'astrologo
- Gerolamo Cardano (1501 - 1576)
di Michael Brooks

Girolamo è in cella da undici settimane. Fa freddo ed è umido, e lui fatica a tenersi caldo. Fino a ieri non aveva idea del perché si trovasse in prigione; nessuno gli ha mai detto niente. L’uomo con la gobba che gli cambia la paglia ogni giorno evita persino il suo sguardo. Il ragazzo alto e magro che gli porta il cibo sorride quando Girolamo posa la ciotola sul tavolino, ma alle sue domande risponde con un’alzata di spalle. Ieri però è comparso in cella un volto nuovo. Quando il guardiano ha girato la chiave e aperto le sbarre, lo sconosciuto ha fatto un passo in avanti gettando all’interno la veste gialla, poi con un sorrisetto si è voltato dall’altra parte. È allora che Girolamo ha capito.
Posa la penna e osserva con attenzione la veste che ricopre l’emaciato corpo del nuovo inquilino. Vi compaiono, ricamate, lunghe lingue di fuoco e figure di demoni con un forcone in pugno, che torturano alcuni disgraziati con il volto deformato dalla sofferenza. Girolamo sa cosa significa: è la veste che indossano i condannati dall’Inquisizione.
Siamo a dicembre. Il Natale è vicino, e le ultime luci del giorno scivolano via sempre più rapide. La cella è piccola e buia, con una finestra grande appena da far passare un ragazzino. Sono passati diversi decenni da quando Girolamo era un ragazzino. Ora è seduto dietro a uno scrittoio sbilenco, piccola concessione accordatagli dalle autorità, forse nella speranza che nuovi scritti blasfemi possano rendere il suo caso più facile da perseguire.
Girolamo solleva lo sguardo dalla veste del nuovo arrivato e mi fissa attraverso il buio. Non è assolutamente certo che io sia un’apparizione. Io stesso non ne sono sicuro. Alla fine, sempre con gli occhi dentro i miei, si porta le dita alle labbra ed estrae dalla bocca un piccolo smeraldo, trattenuto da una catena che porta appesa al collo. La pietra gli ricade sul petto.
«Vi conosco?» domanda. La sua voce è stridula, strana in un uomo della sua età.
«Non credo» rispondo io.
«Vi hanno mandato loro a spiarmi?»
«Loro chi?»
«I miei inquisitori» ribatte, concentrandosi di nuovo sulla veste gialla.
«No». Distolgo lo sguardo, e ispeziono di nuovo la cella. «Sono qui e basta. È tutto quello che posso dirvi». È tutto quello che posso offrirgli.
Sembra soddisfatto. «Oh – conclude posando con cura la penna accanto alla pergamena. – Benvenuto, allora».
«State scrivendo all’arcivescovo Hamilton?» domando.
Lui mi scruta. «Perché dovrei farlo?»
«Per chiedergli aiuto».
Girolamo scuote il capo. «Sarà morto ormai – commenta. – Di sicuro».
Io ho letto i libri di storia, so come stanno le cose.
«Non lo è. Le vostre cure hanno avuto più successo del previsto».
Esito, nel dubbio di violare qualche regola. Decido di non badarci, nessuno mi ha spiegato le regole. «Dovete scrivergli» suggerisco.
Ed è così – mi piace credere – che ho salvato la vita a Girolamo Cardano.
Non sarà facile convincere il prossimo che ho salvato Girolamo. Lui è nato nel 1501, io nel 1970. Legati come siamo alla freccia del tempo, mi rendo conto che avrò qualche difficoltà a veicolare questo concetto. Ora penserete di esservi imbattuti in un narratore inattendibile. Ma, prima di giudicarmi, vorrei che cercaste di capire da dove vengo e, soprattutto, entrare un po’ in confidenza con i contenuti della teoria quantistica.
Secondo la nostra migliore descrizione del mondo atomico e subatomico, gli atomi e le particelle che li costituiscono possono esistere contemporaneamente in due luoghi differenti. Quindi, anche se tutti insieme formano il mio corpo, la nozione dello spazio e del tempo che li riguarda è completamente diversa da quella che io vivo tutti i giorni. Perciò mi domando: perché non potrei trovarmi anch’io contemporaneamente in due epoche e in due luoghi diversi?
Ovviamente sto scherzando. Io sono un narratore inattendibile. È questo il presupposto di partenza. Ma non lo siamo forse tutti? D’altronde parlavo della mia “esperienza” del tempo come se sapessi cosa significa. Tutto quello che posso affermare è che, di solito, quelle che chiamiamo esperienze presuppongono una coscienza: qualcosa che gli scienziati non riescono neanche a definire, figuriamoci a spiegare. La fisica quantistica avrà anche qualche incongruenza, ma nulla in confronto a ciò che incontrereste cercando di farvi spiegare da un neuroscienziato cosa sia esattamente la coscienza.
Uno dei problemi della coscienza è la sua soggettività. Io ritengo di essere cosciente, ma non ho modo di affermare che voi lo siate. Dal mio punto di vista, quindi, voi non siete narratori attendibili. Un narratore è attendibile solo quando è possibile corroborare la sua versione dei fatti. Di solito si presume che, se molti concordano su un arco narrativo, quella descrizione di come sono andate le cose sia vera. Ma come posso credere alla verità di un individuo se non so cosa succede – se non altro – nella sua testa? Inoltre il fatto che lui possa avere ragione non significa che altre cose, che magari nessuno menziona, non siano accadute. Anche le narrazioni condivise potrebbero non dire tutta la verità.
Io certo non posso corroborare la versione dei fatti di Cardano. Posso osservare ciò che dice, e a volte dice cose strane. Ho incontrato per la prima volta Girolamo qualche anno fa, mentre cercavo un libro che parlasse di come funziona la scienza. Stavo scrivendo un capitolo sull’origine della creatività scientifica, e volevo citare alcuni esempi di bizzarre fonti d’ispirazione: allucinazioni o stati onirici, sogni diurni o visioni poetiche, e così via. Gli scienziati di solito scelgono di accantonare queste fonti discutibili. Non così Girolamo.
Tra le sue idee c’è la sospensione cardanica, che permette alla bussola di essere svincolata dal rollio dell’imbarcazione, e il giunto cardanico che, nelle nostre auto, trasmette la spinta del motore al differenziale collegando gli assi. Abbiamo già citato i difficili numeri immaginari, multipli della radice quadrata di –1, e i primi calcoli delle probabilità. Cardano ha introdotto il metodo sperimentale in vari ambiti, come le cure mediche per la sordità e l’ernia, la crittografia e la comunicazione con i morti (perdonatemi, ma non era un’epoca propriamente scientifica). L’autobiografia di Girolamo racconta nei dettagli alcuni di questi risultati, ma quando si tratta di documentare le fonti scrive: «In questo campo mi guida solo lo spirito».1
Qui diremmo che Girolamo indulge in una narrazione inattendibile. Noi tendiamo a non credere negli spiriti, soprattutto se impartiscono nozioni scientifiche. Si tratta quindi di una menzogna, del delirio di una mente disturbata? Si dà il caso che anche il padre di Girolamo avesse avuto un’apparizione. In qualità di scienziato dovrei probabilmente ricondurre tutte queste manifestazioni a una predisposizione genetica alla psicosi, o a sintomi isterici o schizofrenici. Nonostante ciò, o forse in virtù di questo, ne sono invece rimasto affascinato. Ho cominciato a leggere tutto quello che trovavo sul matematico-astrologo rinascimentale. I quattro milioni (quattro milioni!) di parole presenti nei suoi scritti sono disponibili quasi tutti in latino (non esattamente il mio forte) ma anche, nel caso di qualche biografia, in inglese. Un paio di biografie risalgono al XIX secolo. Nel 1953 il matematico norvegese Øystein Ore ha pubblicato una biografia ispirata ai suoi studi sulla probabilità. Esiste poi una storia più generica della sua vita del 1969, scritta dal giornalista indipendente Alan Wykes, mentre alcuni studenti universitari hanno di recente analizzato gli studi astrologici di Girolamo e i suoi lavori in medicina. Tutto questo materiale mi si è fissato in testa e ha cominciato a permeare i miei pensieri e la mia immaginazione, mescolandosi con altre nozioni ed esperienze. Poi si è fissato in pensieri e congetture sul possibile e l’impossibile, il probabile e l’improbabile e infine ha assunto la forma di una nuova narrazione, affascinante ai miei occhi quanto la teoria quantistica, e quasi altrettanto inattendibile. Io e Girolamo siamo ora inestricabilmente avvinghiati al di là dello spazio e del tempo, proprio come i fotoni apparsi così distintamente a Einstein.
I fotoni, spieghiamolo, sono le particelle elementari di cui sono composte la luce e ogni altra forma di radiazione elettromagnetica. Viaggiano ovviamente alla velocità della luce nel vuoto, la velocità massima consentita nell’universo. Nella sua teoria della relatività speciale, Einstein mostrò che viaggiare alla velocità della luce equivale a fermare il tempo. Ciò significa che per i fotoni il tempo non esiste. Questo non impedì a Einstein di ritrarsi davanti all’entanglement, la rivelazione forse più stupefacente – finora – della teoria quantistica. L’entanglement è la scoperta del fatto che possiamo far interagire due fotoni (o qualsiasi altra particella quantistica) in modo che le loro proprietà diventino condivise. Se, una volta separate le particelle, le collochiamo in due parti opposte dell’universo, ogni azione compiuta sull’una mostrerà istantaneamente i propri effetti sull’altra. Einstein liquidò l’entanglement come essenziale attestato dell’incompletezza della teoria dei quanti, e lo irrise come una «spettrale azione a distanza». Oggi noi sappiamo che l’entanglement esiste, e agisce attraverso lo spazio e il tempo. Ma lo vedremo più avanti. Per il momento voglio soltanto aggiungere che, così come Girolamo mi è apparso ora, io posso forse essergli apparso allora.
Ma torniamo indietro e vediamo come tutto è cominciato.

- Michael Brooks - dal I capitolo de "L’astrologo quantistico", Bollati Boringhieri -

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