martedì 14 novembre 2017

Almeno un fatto...

dostoev

Il romanzo d'azzardo e l'errore di Dostoevskji
- di Piergiorgio Odifreddi -

Fëdor Dostoevskij soffriva di epilessia. Si racconta che abbia avuto il primo attacco l’8 giugno 1839, a diciott’anni, quando ricevette la notizia che il padre era stato ucciso dai propri contadini, esasperati dai suoi maltrattamenti. Non ci sono testimonianze serie al proposito, ma questo non impedì a Sigmund Freud di ricamarci sopra comunque, alla sua solita maniera, nel saggio Dostoevskij e il parricidio (1927). Le prime crisi accertate di epilessia lo scrittore le ebbe in seguito al trauma di una finta fucilazione, alla quale fu sottoposto il 23 dicembre 1849. La pena capitale per sedizione era infatti stata commutata dallo Zar nei lavori forzati, poi descritti nelle Memorie dalla casa dei morti (1862), ma la notizia venne comunicata ai condannati solo dopo una macabra messinscena, che lasciò un segno indelebile su molti di loro. Nonostante la rimozione di Freud, che declassava l’epilessia di Dostoevskij a un sintomo isterico, la malattia era non solo fisiologica, ma ereditaria: l’aveva anche il figlio Aleksej, che ne morì a soli tre anni. Ma lo scrittore non viveva le crisi in maniera puramente negativa: al contrario, le paragonava a esperienze mistiche, e dichiarò che non le avrebbe scambiate per nessun’altra gioia al mondo. Oltre che in questa prima  malattia, fisiologica, Dostoevskij sperimentò il doppio vincolo dell’esaltazione mista al dolore anche in una seconda malattia, psicologica: il vizio del gioco, al quale egli dedicò il romanzo Il giocatore, e Freud la seconda parte del proprio saggio. In Dostoevskij mio marito (1916) la moglie Anna descrive con molta comprensione lo stress materiale che il gioco causava al marito e alla famiglia, ma anche lo stimolo intellettuale che egli sapeva trarre dall’indigenza e dalla sofferenza per scrivere le sue “opere malate”, come le definì Tolstoj.
D’altronde, la signora Dostoevskaja sapeva fin dagli inizi che razza di uomo il destino le aveva assegnato come compagno di vita. Era stata infatti assunta il 3 ottobre 1866 come stenografa per lo scrittore, che doveva immediatamente consegnare un nuovo romanzo a un editore che gli aveva anticipato dei soldi per pagare i debiti, ipotecando i diritti delle sue opere passate e future. Il 4 ottobre la ventenne ragazza entrò in servizio, alla fine del mese il libro era finito, nei primi giorni del 1867 era in libreria e il 15 febbraio i due erano già sposati.
Manco a dirlo, l’instant book era l’autobiografico Il giocatore. La storia si svolgeva in una fittizia Roulettenburg, ispirata alle reali Wiesbaden e Baden-Baden: due città di terme e casinò, per il risanamento del corpo e la perdizione dell’anima del jet-set ottocentesco.  Il  Dostoevskij scapolo c’era andato nell’autunno del 1863, dilapidando quasi tutto il suo patrimonio: ad accompagnarlo c’era allora la studentessa  Apollinaria Suslova, che divenne la Polina del Giocatore (oltre che Katerina di Delitto e castigo, Nastasja dell’Idiota, Lizaveta dei Demoni e Grushenka dei Fratelli Karamazov). Il Dostoevskij sposato tornò a Wiesbaden e Baden-Baden con la moglie  nell’estate del 1867, perdendo di nuovo alla grande, come racconta Leonid Cypkin in Estate a Baden-Baden (1982). Il viaggio di nozze dello scrittore e della stenografa durò quattro anni, durante i quali lui scrisse due libri, L’idiota (1869) e I demoni (1871), e lei partorì due figlie, la prima morta a soli tre mesi. Ma, almeno stando ai ricordi della moglie, dopo la folle estate del 1867 Dostoevskij giocò solo sporadicamente, e smise del tutto quando essi tornarono in Russia nel 1871. Certo era destinato a indebitarsi, giocando, visto che credeva in un metodo infallibile per vincere: lo scrive lui nel Giocatore, e lo conferma la moglie nei ricordi, precisando entrambi che il metodo richiedeva però il possesso di un grosso capitale. Ma un ingegnere come Dostoesvkij, laureato nel 1843 alla Scuola Militare del Genio di San Pietroburgo, avrebbe dovuto sapere che “grosso” significa in realtà “illimitato”, e che nemmeno l’uomo più ricco del mondo ha un tale capitale a disposizione.
 
Il metodo è semplicemente la cosiddetta martingala: un termine introdotto in Francia nel Settecento, per indicare il tentativo di battere la fortuna in un gioco d’azzardo sfruttando le regole a proprio vantaggio. Ad esempio, poiché giocando “rouge et noir” alla roulette si vince il doppio della posta quando esce ciò su cui si è puntato, e si perde la posta altrimenti, il trucco consiste nel raddoppiare a ogni tiro la posta fino a quando si vince. Lo stesso succede giocando “manque et passe”, cioè la prima o la seconda metà dei numeri da 1 a 36. Naturalmente, in entrambi i casi si può essere sicuri di vincere solo avendo a disposizione un capitale e un tempo infiniti. I giocatori del Giocatore  puntano affannosamente in entrambe, ma non possono evitare di notare che a volte esce anche lo zero. Le regole del casinò sono dunque truccate a favore del banco, perché le probabilità nel “rouge et noir”, così come nel “manque et passe”, non sono 18/36 ma 18/37 (e 18/38 con il doppio zero). In un gioco onesto la vincita dovrebbe essere un po’ più del doppio, perché la probabilità di vincere è un po’ meno di metà, e una strategia ideale di vincita dovrebbe prevedere un po’ più del raddoppio della posta a ogni tiro.
In ogni caso Aleksej, l’autobiografico protagonista del romanzo, ammette apertamente di non calcolare quando gioca, ma spesso si abbandona alla tipica superstizione dei giocatori d’azzardo: di credere, cioè, che la storia delle puntate precedenti abbia un effetto sul seguito, come accade appunto nei romanzi o nelle telenovele. Nella realtà, invece, ogni puntata è una storia a sé stante, che segue le leggi della probabilità senza preoccuparsi di ciò che è già successo. Ad esempio, anche se uscisse il rosso cento volte di seguito, non per questo la probabilità che esca il nero la centounesima sarebbe maggiore di quanto è stata in ciascuna puntata precedente. Si sa comunque che i giochi d’azzardo costituiscono una tassazione sulla stupidità, e i protagonisti del Giocatore sono effettivamente uno più stupido dell’altro: primo fra tutti Aleksej, che sperpera la sua grossa vincita finale facendosi spennare a Parigi in poche settimane dalla escort Blanche. Ma almeno lui non ha rimorsi, a differenza dei protagonisti dei romanzi poliziesco-esistenzialisti di Dostoevskij, così poco considerati dai grandi scrittori russi, da Tolstoj a Bunin a Nabokov. Quest’ultimo, in particolare, insegnava a non prendere sul serio le opinioni espresse nei romanzi, meno che mai dai predicatori come Dostoevskij, e a concentrarsi sui fatti descritti. Avrebbe dunque apprezzato di sapere che vari indizi del Giocatore permettono di ricostruire i cambi delle varie monete europee citate nel romanzo. Il generale, la nonna e Aleksej cambiano   infatti 120 rubli con 100  talleri, 4 federici e 3 fiorini, 13.000 fiorini con 8.000 rubli, 420 federici con 4.000 fiorini  e 20 federici, e 25.000 fiorini con 50.000 franchi. Il sistema di quattro equazioni e cinque incognite permette di ricavare i cambi di quattro delle monete in funzione della quinta, scoprendo ad esempio che il fiorino valeva 2 franchi, il tallero 3,04 franchi, il rublo  3,25 franchi e il federico d’oro 20 franchi. Il che dimostra che persino in un romanzo di Dostoevskij a volte si può trovare almeno un fatto.

- Piergiorgio Odifreddi - Pubblicato su Repubblica del 12 giugno 2017 -

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