lunedì 16 ottobre 2017

Una critica radicale della politica

libro politica

La politica satura lo spazio mediatico, soprattutto in questo periodo elettorale. La riflessione critica sullo Stato continua ad essere fondamentale. Le istituzioni apparentemente neutrali e le illusioni elettoralistiche alimento il discorso della sinistra che si è ritrovata ad avere un nuovo leader in Jean-Luc Mélenchon.
Correnti intellettuali diverse, alimentano invece un pensiero emancipatore ed anticapitalista, che rompe con il feticismo dello Stato. La critica della società delle merci dev'essere accompagnata dal rifiuto delle istituzioni politiche e giuridiche. Ed il libro collettivo " Misère de la politique " dà voce a queste diverse sensibilità critiche.

Il vicolo cieco della sinistra statalista
Il "Comité érotique révolutionnaire" interviene sulla campagna presidenziale del 2017, dove, malgrado i differenti programmi elettorali, tutti i candidati propongono di continuare a rimanere nel quadro dell'ordine esistente.
«Dai liberali di sinistra, di centro e di destra, ai loro avversari keynesiani-statalisti facente parti sia della sinistra "radicale" che dell'estrema destra, si condivide l'amore per il lavoro, per la crescita economica e per il capitale nazionale», osserva il Comité érotique révolutionnaire. I governi devono accontentarsi di gestire il capitalismo, insieme, perfino, alle politiche di austerità ed ai disastri ecologici. La sinistra partecipa all'istituzionalizzazione e alla repressione dei movimenti sociali.
Negli anni 1918-1919, il governo socialdemocratico schiacciò una rivolta operaia. Nel 1936, il Fronte Popolare pose fine alla sciopero in Francia. I burocrati anarcosindacalisti della CNT spagnola collaborarono insieme agli stalinisti con la Repubblica borghese e parteciparono alla sconfitta di una rivoluzione sociale.
Nel 1971, Allende, il presidente socialista del Cile, disarmò il proletariato, piuttosto che armarlo, prima di essere egli stesso rovesciato da un colpo di stato militare. Nell'Italia degli anni del 1968 fu il Partito comunista a cercare di ingabbiare le lotte al fine di allearsi al partito conservatore.
In Francia, fu il Partito socialista a favorire la nazionalizzazione delle lotte del 1968. A partire dalla sua promessa di cambiare la vita, arriva al potere nel 1981, per poi imporre rapidamente l'austerità. In America Latina, il "socialismo del XXI secolo", incarnato dal modello chavista, si è ridotto ad essere una gestione clientelare del neoliberismo.

Lo Stato viene spesso considerato in opposizione al mercato. Ma la politica e l'economia appaiono indissociabili. Per poter ben funzionare, il capitalismo deve appoggiarsi allo Stato ed alla sua amministrazione, alla sua giustizia ed alla sua polizia. Dalle guerre colonialiste alle politiche di liberalizzazione, lo Stato favorisce l'espansione capitalista. Le imposte permettono di finanziarie delle infrastrutture indispensabili per il funzionamento dell'economia. L'utilizzo dello Stato non può essere considerato come un semplice mezzo per liberarsi del capitalismo.
A partire dalla crisi economica del 2008, gli Stati oramai si accontentano solo di gestire delle politiche di austerità. Le politiche liberiste si accompagnano ad un inasprimento della repressione e dello Stato di polizia. In un contesto di disoccupazione di massa e di miseria, lo Stato si afferma con la sua funzione di mantenimento dell'ordine. Lo Stato di diritto, che si presume dovrebbe garantire alcune libertà, si trasforma in Stato di eccezione permanente. A partire dal 2015, in Francia si è imposto lo stato di emergenza. Schedature, arresti domiciliari, divieti di manifestazione e violenze poliziesche si accompagnano a questo dispositivo. L'anti-terrorismo giustifica la repressione delle lotte sociali. Ma è proprio lo Stato di diritto che giustifica un simile Stato di eccezione.

Democrazia e società di mercato
Clément Homs analizza i collegamenti fra la politica e l'economia. Spesso lo Stato viene posto in opposizione al mercato. Ma si tratto solamente delle due facce della stessa medaglia del mondo del mercato. Le istituzioni non sono semplicemente degli strumenti neutrali. Prendere il potere dello Stato o attuare delle riforme sociali dopo essere andati al governo, appaiono essere illusorie per quel che riguarda il cambiamento della società. Dovrebbe essere perciò la politica a controllare ed a regolamentare la sfera sociale e l'economia. Ma al contrario, è la politica che dev'essere considerata «essa stessa come una specifica attività dell'attività sociale», sottolinea Clément Homs.
I rapporti sociali fra gli individui passano attraverso il lavoro ed il denaro. Gli interventi dello Stato e le politiche pubbliche servono solo a formattare gli obblighi imposti dal mondo capitalista. IL cambiamento sociale non passa affatto attraverso lo Stato, ma per mezzo di una rottura con le istituzioni, le rappresentanze, le deleghe per poter inventare delle nuove forme di interventi diretti.
Léon de Mattis propone una critica della democrazia diretta. I movimenti di Occupy sviluppano delle assemblee aperte. Le occupazioni dei luoghi permettono di affermare una democrazia immediata e senza intermediari. Tali pratiche valorizzano delle discussioni molto formalistiche. In seguito, assegnano maggior valore al prendere la parola, rispetto alle azioni. I forum di libera discussione sostituiscono le partecipazioni alle manifestazioni, sostituiscono l'organizzazione di uno sciopero e di un picchetto. Una pratica di lotta deve saper collegare i discorsi e le azioni. Il voto in assemblea, al contrario, sancisce la passività. «Si può votare uno sciopero o un'azione, la si rende reale solo facendola», sottolinea Léon de Mattis. Inoltre, le assemblee possono essere gestite da dei sindacati o da delle sette di sinistra che controllano il meccanismo di prendere la parola.
Il formalismo delle assemblee generali scimmiotta quello delle assemblee parlamentari. La società viene percepita come una collezione di individui separati. Le decisioni collettive vengono considerate come una somma di decisioni individuali. La democrazia diretta può solamente accontentarsi di vedere espressa una moltitudine di opinioni individuali in attesa di delegare il processo decisionale ad alcuni responsabili. La lotta non deve ridursi ai problemi dei modelli organizzativi. Il comunismo deve aprire delle nuove possibilità individuali e collettive di modo da permettere il regno della libertà.

L'esperienza zapatista
Jérôme Baschet propone un'alternativa allo Stato. La trasformazione sociale può uscire dalle istituzioni e non passare per la presa del potere statale. Si basa sull'esperienza neo-zapatista che esiste in Messico dal 1944. Il Chiapas si presenta come una "utopia concreta" anti-capitalista ed anti-statalista. L'autonomia consente una trasformazione dei modi di vivere. «Per autonomia, qui si intende l'intreccio indissociabile fra una prospettiva collettiva di emancipazione ed una modalità non statale della politica », precisa Jérôme Baschet. Questo approccio propone un'uscita dal mondo dell'economia ed un abbandono delle logiche di Stato.
Gli zapatisti vivono nello spazio libero del Chiapas. Valorizzano la comunità e la terra, la Madre Terra. Propongono una nuova cultura contadina in modo da permettere l'auto-sussistenza familiare e collettiva. Il massiccio recupero delle terre permette loro di costruire l'autonomia. Quest'approccio si basa allo stesso tempo sul rifiuto del lavoro salariato, degli scambi do merci e delle norme della competitività di mercato. Una tale etica privilegia la qualità della vita. Il potere si organizza attraverso delle assemblee, ma anche per mezzo di autorità elette. I mandati sono non rinnovabili e revocabili in qualsiasi momento.
L'esperienza zapatista assume la delega del potere. Non è una democrazia orizzontale che si basa sulle assemblee. Tutti gli individui non partecipano alle decisioni in maniera uguale. Inoltre, l'organizzazione politico-militare dell'EZLN dirige questa autonomia. Tuttavia, gli zapatisti rifiutano la specializzazione politica e la separazione fra governanti e governati. L'autonomia zapatista cerca di portare delle soluzioni concrete a ciascun problema specifico. Anche il modo per farlo diventa altrettanto importante dell'obiettivo dell'azione intrapresa. I zapatisti rimangono consapevoli dei loro limiti e non pretendono di ergersi a modello.

IL superamento della democrazia
Questo libro collettivo permette di rimettere in discussione l'ovvietà della politica democratica. I diversi contributi permettono di uscire dai modelli statalisti di sinistra che dominano nei movimenti sociali. La presa di potere dello Stato e delle istituzioni non consente di mettere in discussione l'ordine esistente. Lo Stato non si oppone affatto al mercato per regolarlo, ma equivale all'indispensabile stampella alla quale si appoggia il capitalismo.
Per contro, il libro assume una forma assai democratica nella sua versione "Nuit debout". I discorsi si sovrappongono senza confrontarsi veramente. I contributi di Jérôme Baschet e di Léon de Mattis sembrano in opposizione. Uno propone un modello idealizzato di democrazia diretta. L'altro denuncia il formalismo organizzativo vuoto di senso. Ma non c'è alcuna discussione incrociata che permetta di alimentare il dibattito. Il lettore può votare per uno dei due testi, oppure applaudire, a turno, i due discorsi opposti.
Questi due contributi hanno il merito di affermare delle posizioni politiche forti, ed essere quindi uno stimolo per il dibattito. Jérôme Baschet propone una prospettiva alternativa. Moltiplicare gli spazi liberi al fine di permettere un passaggio graduale alla capillarità. Ma feticizza il modello zapatista senza tener conto dei suoi limiti. La valorizzazione di questa democrazia diretta non rimette in discussione l'esistenza di dirigenti eletti. È una democrazia rappresentativa migliorata che non rimette in discussione la logica delle istituzioni. Inoltre, la morale religiosa e patriarcale, così come l'esistenza di scambi mercantili, impedisce di percepire il Chapas come un'isola di libertà al di fuori dei rapporti sociali capitalistici.
Léon de Mattis propone delle analisi pertinenti riguardo i limiti delle assemblee. Il forum di libera discussione prevale sull'organizzazione delle lotte. Ma la sua critica è fortemente ispirata alla corrente bordighista. Come dire, delle sette di sinistra denunciano l'autogestione in modo da valorizzare il modello autoritario di una minoranza che prende le decisioni. Per fortuna, Léon de Mattis critica il partito e ci tiene a prendere le distanze da questa tendenza autoritaria.
Tuttavia, appare importante non cedere alle due derive dei movimenti sociali. Il formalismo democratico vuoto di ogni prospettiva di lotta rimane un vicolo cieco. Ma la valorizzazione di ciò che è informale, e dei gruppi di azione di affinità, ci porta ugualmente in un vicolo cieco. È la deriva del settarismo e del culto della minoranza ciò che non permette di lottare al di fuori del conforto di trovarci "fra noi". Le prospettive di lotta devono essere decise collettivamente insieme a tutti i rivoltosi, e non dietro le quinte di qualche setta di sinistra "affinitaria"

Questo libro collettivo può servire ad alimentare la critica dello Stato, nonostante l'assenza di un'analisi della classe burocratica. I vari contributi sottolineano l'impasse teorica dei movimenti sociali. E consentono di mettere in moto nuove forme di lotta comunista e libertaria.

libro

fonte: Zones subversives - Chroniques critiques

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