domenica 24 settembre 2017

Contro-fuoco

contro

Contro-realismo
- di Robert Kurz -

I conflitti sociali sono sempre anche una lotta intorno ai concetti, a causa del "potere di definizione" della forma secondo la quale i problemi devono essere affrontati. Si potrebbe anche dire che i problemi vengono definiti, quasi naturalmente, secondo i criteri della logica del sistema dominante. Ed in questo modo i concetti assumono il colore corrispondente, come fa il camaleonte. Non esiste un divieto espresso o una censura, poiché il meccanismo di costruzione dei concetti ed il processo di definizione procedono entrambi seguendo una forma molto più sottile. Una forma determinata del discorso si manifesta in un determinato modo e, all'improvviso, tutti incominciano a parlare la stessa lingua, manifestando apparentemente una profonda medesima convinzione. È soprattutto sul piano economico, che si istituisce, per quanto attiene alla ricerca scientifica, nei media e nella classe politica, una regolamentazione generale del discorso, "un discorso del consenso", il quale funziona in maniera ancora più rigida dal momento che non è stato fissato a livello amministrativo.

Questa situazione si basa sul fatto che la scienza, i media e la politica non potrebbero funzionare in maniera così stupida ed automatica così come avviene con la mano invisibile del mercato. Essi istituiscono il lato "soggettivo" in relazione alle leggi "oggettive" del sistema. La conformità agli imperativi capitalisti non è perciò mai data di per sé, ma deve essere sempre prodotta in un processo discorsivo. Una funzione essenziale di tale discorso consiste nel disporre i partecipanti, gli uni contro gli altri, in base al "bollettino metereologico" capitalista, al quale devono essere adattate tutte le relazioni sociali e culturali. Ed è proprio per questo che serve una regolamentazione del discorso. In questo senso, scienza, media e classe politica costituiscono una sorta di cartello che assicura che nessuno esca dai binari. Viene istituito un quadro generale in cui, se da un lato, la clientela stessa rimane impigliata nella chiacchiera del marketing, dall'altro lato, rimane aggrappata al freno.

La semantica del controllo ideologico è dominata da coloro che detengono il potere fondamentale di definire che cosa sia la "realtà" e, di conseguenza, la "Realpolitik" (la politica realista). Il cartello semantico oggi dominante ha elevato a principio di realtà le esigenze dell'amministrazione capitalista della crisi ed ha ridefinito, in maniera corrispondente, il concetto di riforma. Il vecchio "pathos" del riformismo, sociale ed emancipatore, così come si era costituito nel discorso dello sviluppo storico della contrattazione collettiva, dello "Stato sociale" e del servizio pubblico, viene ora, proprio al contrario, strumentalizzato ai fini della contro-riforma. Le campagne di privatizzazione e di restrizioni sociali vengono subordinate allo slogan: "noi siamo la modernità". Tanto più è privato ed a buon mercato, tanto più è meglio.

Tutti si preoccupano di fare le "riforme" contro "l'eterno passato". Viene proposto il compromesso per quel che riguarda la "conformazione della società" Per esempio: si riduce la spesa del 5 o del 10%? Dev'essere chiuso l'ospedale o l'asilo? Devono essere eliminate le cure per i malati di cancro o per i disabili? Si aumenta dell'1% un qualsiasi beneficio ma si triplicano le spese ida un'altra parte? "Miglioramenti per le persone", è il modo in cui viene chiamato ora il minor grado di deterioramento al quale, con un gesto riformatore, si può scendere. La lotta politica riguarda solo quello che serve per sapere chi è che ha maggior abilità nel vendere i nuovi tagli che sono sempre più duri. La sinistra politica è minacciata di "essere ridotta a diventare insignificante" se non fa delle "riforme convincenti". La "volontà dell'elettorato" - in questo modo si intravvede la semantica del controllo - rigurgita di "realismo" e di "maturità dei cittadini", proprio nel momento in cui è avida di bassi salari, di distruzione del sistema di sicurezza sociale e di privatizzazioni.

Questa regolamentazione dominante del discorso è ormai esaurita in quanto annuncio di un progresso imminente, noiosamente ripetuto da molti anni. Se le cose continueranno così, la parola "riformista", prima rispettabile, rischia di convertirsi in una volgare insulto, con cui l'uomo comune definirà un cattivo vicino o un cane cattivo. Il lavaggio del cervello non sempre funziona. Il potere dominante della definizione della realtà può essere spezzato per mezzo di un forte contro-realismo. In questo senso, un'ampia campagna su vasta scala contro i progetto di salari bassi, assai più che una semplice politica sociale nei limiti dell'aritmetica politica, sarebbe una "Kulturkampf" (lotta culturale), un'offensiva di civiltà. Una contro "Realipolitik", che ponga implacabilmente in discussione tutte le ramificazioni, i meandri e le complicità dell'amministrazione repressiva della sicurezza sociale e del lavoro, avrebbe probabilmente successo a livello di massa.

Ciò equivale, in primo luogo, ad una seria lotta per la manutenzione dei servizi pubblici come parte di uno "standard" minimo di vita. Le persone sono talmente stufe delle ferrovie per azioni, delle poste per azioni, e della minaccia dell'acqua per azioni, così come di una assistenza medica di seconda classe e del sistema di (non) istruzione a basso costo. Il "controfuoco" (Pierre Bourdieu) non dev'essere l'eterno ritorno al passato della tradizione burocratica statale. Si può anche ipotizzare un concetto di servizio pubblico sotto forma di società senza fini di lucro auto-amministrate che sarebbero responsabili della gestione delle infrastrutture. L'orientamento verso un valore di uso pubblico non sarebbe al di là della forma del valore, ma sarebbe un momento di trasformazione emancipatrice.

Se il capitalismo non riesce a mantenere il livello di civiltà, allora non dev'essere "accettato" con riverenza. Al contrario, si deve trarre la conclusione che il capitalismo, da parte sua, "accetta" sempre meno gli esseri umani. La necessità di forme di rappresentazione organizzata dei socialmente esclusi dalla cittadinanza non verrà facilmente risolta come avvenne con i rifugiati della Seconda Guerra Mondiale, assorbiti dal "miracolo economico", ma, al contrario, continueranno ad aumentare, e non solo nella Germania dell'Est. L'aritmetica del cartello semantico e politico dominante non può dare loro voce, può solo portare la loro voce verso gli ingranaggi di risentimento nazionalista e razzista. Diciamoci la verità: non si tratta di annunciare la fede nello Stato, ma la responsabilità personale. Una responsabilità nel senso non burocratico di un contro-movimento sociale autonomo, e che non sia nel senso di una fede nel mercato fortemente autoritaria e felicemente rassegnata.

- Robert Kurz - Pubblicato su Neues Deutschland, nell'ottobre 2010 -

Fonte: EXIT!

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