venerdì 18 agosto 2017

Oblio, andata e ritorno

balzac

La scena si svolge a Besançon, descritta come una cittadina militare bigotta e clericale. Vi si è installato da poco un giovane avvocato, Savaron de Savarus, che prepara minuziosamente la propria carriera in politica. Di lui si innamora una nobile giovinetta, Rosalie de Watteville, la cui importante famiglia, dominata dalla baronessa sua madre, sta preparando per lei un brillante matrimonio. Albert Savarus nasconde un segreto e ha l’imprudenza di scrivere un racconto, L’ambizioso per amore (interamente incastonato da Balzac dentro il testo principale), che narra della passione disperata di un Rodolphe per Francesca principessa romana. Una storia in cui si legge in trasparenza la vicenda stessa di Albert, profondamente innamorato di una aristocratica italiana. Rosalie, leggendo il romanzo, decifra l’enigma dell’uomo innamorato di un’altra, e da quel momento non trascura nessuna abietta azione abbastanza ingegnosa da rovinarne ogni disegno che possa allontanarlo da lei.
Albert Savarussi presta a molte interpretazioni e di vario genere, biografico, letterario, psicologico. Balzac con il racconto nel romanzo che fa comporre al suo eroe gioca allusivamente con stili e mode a lui estranei. L’altro personaggio femminile, la piccola Rosalie, si rivela sorprendentemente abile e finisce, con la sua perversione, per accattivarsi le simpatie di chi legge. In questo modo riesce una sovrapposizione di diversi piani di realtà, che distanzia dal semplice realismo e trasmette vertigini decisamente moderne. La vicenda riflette la biografia amorosa del grande scrittore: come Albert Savarus trasfigura nella finzione narrativa il proprio amore disilluso, così Honoré proietta nel romanzo il travaglio della relazione con la nobile dama che solo vicino alla morte diventerà sua moglie.

(dal risvolto di: Honoré de Balzac: Albert Savarus, Sellerio)

Gioco a incastri e autobiografia con il feuilleton
- di Pasquale Di Palmo -

Scrivere su Balzac è come trovarsi di fronte a un’immensa cattedrale e doverne interpretare le diverse peculiarità di ordine stilistico e architettonico. Ora sfugge la conformazione di un pinnacolo ora il ghigno sinistro di un gargoyle. Impresa degna di Sisifo qualora si consideri che la Commedia umana doveva originariamente comporsi di 137 romanzi, progetto che si arenò a quota 91. Gli sforzi prodigati per assolvere un simile, spropositato compito (la Recherche proustiana, al riguardo, può essere considerata una specie di bignamino), porteranno l’autore a togliere il disturbo a poco più di cinquant’anni, dopo una vita spesa all’insegna dello spreco (di talento e risorse).
In tale ambito si deve considerare che Balzac aveva contratto, sin dalla prima giovinezza, debiti che non sarebbe mai riuscito a onorare (in barba al suo nome, Honoré), e che la scrittura rappresentava la sua unica fonte di reddito. Libri su libri, composti freneticamente con il proposito di coniugare difficili situazioni contingenti a un progetto che in sé accorpa qualcosa di disumano, di «pantagruelico» (il riferimento al personaggio rabelaisiano non è casuale: si considerino al riguardo gli splendidi Contes drolatiques) con la raffigurazione di oltre 2000 personaggi. Situazione complicata dal fatto che l’ambizione di Balzac era smisurata: la sua stessa esistenza sembra improntata unicamente all’obiettivo di un’impossibile scalata sociale, Leitmotiv, questo, della sua opera.
La prospettiva di un cambiamento si manifestò quando il futuro autore del Père Goriot ricevette una lettera da Odessa, scritta nell’ottobre 1831, da un’ammiratrice che si firmava L’Étrangère, appellativo adoperato dalla contessa polacca Ewelina Rzewuska, maritata con un uomo molto più anziano di lei, Venceslas Hanski. La storia è nota: Balzac allaccerà una tumultuosa relazione con Madame Hanska e si adopererà in ogni modo per convolare a giuste (o ingiuste) nozze, soprattutto dopo la scomparsa dell’attempato consorte. Riuscirà nell’intento solo qualche mese prima di morire, ormai distrutto dagli sforzi, con esiti patetici che non sfigurerebbero in un suo plot narrativo.
Scritto di getto in poche settimane
Questo intreccio di carattere autobiografico è ventilato nella trama di Albert Savarus (Sellerio «La memoria», pp. 240, € 13,00), tradotto per la prima volta in italiano da Francesco Monciatti e curato da Pierluigi Pellini sulla base del testo della Pléiade gallimardiana che riproduce il «Furne corretto». Il romanzo, originariamente uscito in feuilleton nel 1842 (qualche settimana prima di Les Mystères de Paris di Eugène Sue) e l’anno successivo edito in volume con il titolo Rosalie, fu scritto di getto nell’arco di qualche settimana. Doveva, secondo gli intendimenti dell’autore, confluire nel progetto articolato delle «Scene della vita privata» che forma il primo dei sei gruppi degli «Studi di costume», parte iniziale della Commedia umana (le altre due sono gli «Studi filosofici» e gli «Studi analitici»). Il romanzo, dallo spiccato orientamento psicologico, ebbe una discreta fortuna quando uscì ma cadde presto nel dimenticatoio, oscurato da quelli che vengono unanimemente considerati i capolavori di Balzac.
Nella postfazione Pellini ricostruisce le vicissitudini legate alla stesura del testo, mettendo in relazione la sua genesi alla liaison dangereuse con Madame Hanska, il cui «progettato matrimonio era da quasi dieci anni, e continuava ad essere (sia pure, forse, con qualche titubanza), uno dei cardini di una strategia esistenziale in cui l’ambizione letteraria non appare mai disgiunta da un’incrollabile volontà di ottenere a ogni costo un riconoscimento mondano e il benessere economico». Non è un caso che l’epilogo con la nobildonna polacca, sfociato appunto nel sacramento del matrimonio che, ipso facto, rimpiazza quello dell’estrema unzione, sia pronosticato in un passo di Albert Savarus: «Raggiungere lo scopo e spirare, come il corridore dell’antichità! Vedere il successo e la morte arrivare insieme alla soglia della porta! Ottenere la donna amata nel momento in cui l’amore si estingue! Non aver più la facoltà di godere quando si è conquistato il diritto alla felicità!».
Nel clima asfittico e bigotto di una città di provincia come Besançon, in cui sono ambientati alcuni fatidici passaggi di Jean Sorel nel Rosso e il Nero di Stendhal, prendono vita le macchinazioni di Rosalie, il personaggio più riuscito del romanzo, che si innamora perdutamente di Albert Savarus. Questo giovane e brillante avvocato, sorta di alter ego idealizzato del romanziere, vorrebbe regolarizzare, a sua volta, il proprio rapporto con una nobile italiana sposata a un anziano. La stessa teodicea che incombe su Rosalie, punita per i suoi intrighi in maniera così rocambolesca nell’explicit del romanzo (durante un viaggio sulla Loira esplode la caldaia del battello a vapore sfigurandola e facendole perdere un braccio e una gamba) risente di certi feuilleton dalla morale «spicciola» in voga in quegli anni. Nella sua pervicacia, nella sua ostinazione, Rosalie rappresenta il tentativo di opporsi, seppur in maniera crudele, al disegno innervato in un tessuto sociale che antepone il rigore delle apparenze al desiderio.
In tal senso va letto anche il racconto L’ambizioso per amore, scritto nella finzione romanzesca da Albert Savarus e ambientato nel 1823, in piena Restaurazione, sullo sfondo del paesaggio idillico dei laghi svizzeri. Si tratta di un intarsio, di una vera e propria mise en abyme atta a corroborare le tesi dell’autore (Pellini parla di un testo che «sarà precisamente una “lezione” per Madame Hanska») che si carica «non solo di un’ipertrofica intertestualità romantico-stendhaliana, ma anche di un’insistita allusività autobiografica», come suggerisce ancora il curatore. Sembra un gioco di scatole cinesi: nel racconto è adombrata la vicenda metaforica di Albert Savarus e Francesca che, a sua volta, riecheggia quella autentica tra Balzac e Madame Hanska. Si ha così un rispecchiamento di motivi (e variazioni) sentimentali declinato con ambiguità all’ennesima potenza: Rodolphe e Francesca Colonna (racconto) rappresentano Albert Savarus e Francesca Soderini (romanzo) che a loro volta configurano Balzac e Madame Hanska. La dinamica delle variabili diventa pressoché infinita, soprattutto se caratterizzata dall’emblematicità dei patronimici.
Numerose incongruenze
All’interno della narrazione sono presenti numerose incongruenze che caratterizzano la maniera di scrivere dell’autore di Tours che, a causa della fretta sottesa alle varie scadenze editoriali, non sottoponeva i testi a una revisione accurata. Un esempio? A pag. 16 leggiamo: «God save the King, l’inno nazionale dell’Inghilterra, è una musica composta da Lulli per i cori di Esther o di Athalie». Passiamo alla nota del curatore: «Come spesso capita, l’erudizione esibita da Balzac nella Commedia umana è frettolosamente imprecisa, se non farlocca. La musica dell’inno nazionale inglese è un arrangiamento, eseguito nel 1745 da Charles Burney, di un’antica melodia il cui autore è sconosciuto; e i cori delle due tragedie di Racine sono posteriori alla morte di Jean-Baptiste Lully (1632-1687). Esther è del 1689, di due anni più tarda Athalie. Le relative musiche di scena sono state composte da Jean-Baptiste Moreau (1656-1733)».
Pur nella sua «marginalità» rispetto ad altre opere più conosciute, Albert Savarus si configura come un romanzo estremamente balzachiano, dove il «creatore del moderno realismo» ricordato da Auerbach si rapporta al «visionario appassionato» di cui parla Baudelaire. L’avversione manifestata in vita da Sainte-Beuve (in realtà corrisposta dall’autore delle Illusioni perdute) costituisce una sorta di viatico a quello che si potrebbe considerare un autobiografismo ante litteram che sembra precorrere le intermittences du cœur di proustiana memoria. In fondo l’aveva ben capito Roland Barthes: «Balzac è il romanzo fatto uomo».

- Pasquale Di Palmo - Pubblicato su Alias del 14 maggio 2017 -

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