sabato 15 luglio 2017

Terremoti

comuni

Nel quadro della disintegrazione del Regno d’Italia, tra XI e XII secolo, una nuova forma di governo collettivo – il comune – si affermò nelle città del Centro e del Nord. Sonnambuli verso un nuovo mondo considera questo processo in modo profondamente nuovo, mutando completamente la nostra lettura di una delle più importanti novità politiche e culturali del mondo medievale. Grazie al quadro articolato delle strutture sociali e di potere di tre città – Milano, Pisa e Roma – poste poi a confronto col vivace sfondo delle altre città italiane, Chris Wickham mostra come lo sviluppo di una delle prime forme di governo non regio dell’Europa medievale si sia compiuto senza che gli esponenti delle élite cittadine fossero realmente consci di creare qualcosa del tutto nuovo, muovendosi come sonnambuli, senza una chiara consapevolezza del radicale mutamento in atto.

(dal risvolto di copertina di: Chris Wickham, Sonnambuli verso un nuovo mondo, Viella)

Il sisma che fece nascere i Comuni
- di Amedeo Feniello -

Inverno 1117. Un tremendo terremoto ha appena scosso, a gennaio, l’Italia settentrionale. A Milano, si convoca una grande assemblea al Broletto, invitando le popolazioni e i vescovi di altre città della pianura Padana. Si allestiscono due palchi: in uno siede l’élite religiosa; nell’altro i consoli cittadini, attorniati da «uomini eruditi nelle leggi e nelle consuetudini», come scrive un testimone oculare, il cronista Landolfo di San Paolo. Intorno ai due palchi, si assiepa tanta gente. Una folla. Il motivo? C’è attesa. Si cerca conforto, in un momento in cui si temevano altri terremoti, crolli, morti. E si aspettano segni e miracoli che cancellino tutto quel terrore.

Però si è lì anche per altre ragioni. In un momento così drammatico si chiede giustizia. E per la prima volta, in maniera ufficiale e solenne, ci sono a garantirla soggetti diversi dagli ecclesiastici. Così gli sguardi cadono incuriositi sulle persone che siedono sull’altro palco, lontano dai chierici. Gente pressoché nuova nel paesaggio politico del 1117. Non delegati imperiali, né nobili feudali. Ma gente di città: i consoli. Che, in maniera inedita, «iniziano ad assumere il loro nuovo e futuro ruolo di governanti della città». Con una svolta decisiva per la storia italiana.

Comincia così il libro Sonnambuli verso un nuovo mondo (Viella) dello storico inglese Chris Wickham: un autore notissimo e tra i maggiori specialisti della storia italiana altomedievale. Il quale ci ha spesso abituati a letture non convenzionali sulle vicende della nostra penisola e su singoli e peculiari aspetti, basti pensare a quanto ha scritto di recente su Roma e la romanità. In questo volume, invece, riaffronta un tema classico, la nascita dei Comuni italiani: è una lettura d’insieme che sviluppa le sue argomentazioni con l’individuare innanzitutto un secolo di incubazione, compreso grossomodo tra il 1050 e il 1150, nel quale molte città italiane danno mostra di una (per molti versi) sorprendente creatività istituzionale, grazie allo sviluppo di nuove e autonome forme di governo collettivo.

Come nasce il Comune? Spinto da quali tendenze e per quale scopo? Wickham risponde a queste domande con un’analisi per gradi, assumendo come filo conduttore la vicenda di tre città, Milano, Pisa e Roma, ognuna delle quali scelse una diversa soluzione politica per approdare al Comune. Per poi concludere con il mettere in relazione questi tre casi di studio con la più articolata e fluttuante realtà italiana dell’epoca. Con una premessa: che esistono degli elementi correlati da usare per descrivere il fenome- no comunale, per comprenderne variazioni e difformità. Elementi che riassume in un idealtipo (lo definisce così lo stesso autore) di città comunale, fondata su quattro denominatori: 1) una collettività urbana autoconsapevole, in genere tenuta insieme da giuramenti, che includeva tutti gli abitanti maschi della città; 2) una serie di magistrature occupate in base a una regolare rotazione, con incarichi affidati, o convalidati, dalla collettività; 3) un’autonomia di azione dei nuovi magistrati sia sui temi riguardanti la guerra sia sulla giustizia da erogare; 4) infine, cosa che si svilupperà in seguito, la possibilità di esercitare il potere legislativo e quella di imporre la leva fiscale.

Il tema chiave del libro riguarda, a mio avviso, proprio il tema della difformità. Come mai tanti Comuni simili, ma mai nessuno uguale? Ognuno congruente con gli altri, ma al tempo stesso diverso, autonomo nelle sue prerogative e nelle sue scelte di sviluppo? La microanalisi usata da Wickham permette di esaminare le tendenze comuni in rapporto all’ampia varietà di esperienze, con una conclusione che, in sintesi, è questa: il Comune fu una reazione creativa al caos e al vuoto di potere venutosi a creare nel Regno d’Italia e nella Marca di Tuscia nel corso del- l ’ XI s e col o, c he a ve va messo i n crisi gli assetti di potere tradizional i . Occorre va una risposta forte, che arriva dalle città e dalla loro capacità di reagire alle difficoltà con un surplus di complessità, sostituendo il vuoto di potere con la formazione di istituzioni nuove e condivise che consentissero di reagire e di «organizzare le società locali in modo più formale». Con dei passaggi importanti, a cominciare dalle assemblee, «la forma principale di attività cittadina formalizzata», che compaiono, tra le prime, a Milano e a Pisa negli anni Novanta dell’XI secolo. Strutture che si formano molto prima di quanto poi si sviluppi la guida consolare e che costituiscono «la principale forma di reazione difensiva alla crisi del Regno d’Italia».

Wickham ci riporta insomma a un clima di grande sperimentazione politica, che fu ricco di una miriade di adattamenti funzionali a seconda dei problemi che via via scaturirono, con soluzioni talvolta seguite su vasta scala, in sincrono, da più città; talaltra, del tutto originali, specifiche di una singola realtà, a seconda dei casi e degli avvenimenti specifici occorsi (la politica generale, le guerre esterne, i conflitti interni, le dinamiche sociali, le aggregazioni e le disaggregazioni nella élite ecc.).

Un secolo di distruzioni creatrici e di creazioni spontanee, costruite sovente su «una serie di casualità, di strade imboccate da persone il cui sguardo era spesso voltato dalla parte opposta». Persone avviluppate spesso in una tradizione culturale ormai obsoleta visti i tempi o sedotte da un immaginario conservatore e affascinante, come quello della classicità romana, ma comunque capaci di proiettare le proprie città verso un destino politico e istituzionale innovativo. Ecco cosa furono i protagonisti dei primi nascenti Comuni, dice Wickham: non dei visionari, ma piuttosto dei sonnambuli, che si mossero a tastoni senza sapere bene che cosa stessero facendo, ma tuttavia lo fecero, spinti dalle necessità, dalle contingenze, dalla vita e — perché no? — dalla fortuna. Degli inconsapevoli artefici del cambiamento che, intanto, stavano creando un mondo nuovo intorno a loro.

- Amedeo Feniello - Pubblicato sul Corriere/La Lettura del 12 febbraio 2017 -

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