martedì 13 giugno 2017

Una canzone di addio

kempter

Il testo che segue, è stato scritto con l'intenzione di introdurre nella storiografia accademica le fondamentali idee teoriche e storiche di Robert Kurz, e renderle feconde nelle ricerche a venire. È evidente che l'apporto, da parte della critica del valore e della critica della scissione-valore, deve superare ostacoli significativi nella comunità scientifica. Dopo tutto, le cosiddette linee di una nuova teoria critica si sono sviluppate seguendo forme accademiche convenzionali, e la scienza della storia, in qualche modo orientata dalla teoria sociale, già nel decennio 1970 si è slegata dal discorso marxista e si è rivolta al post-strutturalismo. Di conseguenza, fra la critica della dissociazione-valore e la scienza della storia - così come con le scienze sociali in generale - vige fino ad oggi la completa assenza di relazione.
Gli sforzi per la pubblicazione di quest'articolo su una rivista specializzata di scienza della storia sono stati coronati da successo solo in parte: una versione assai ridotta alla fine è stata pubblicata, sulla rivista WerkstattGeschichte nº 72, 2016, pp. 65-76, col titolo di: Robert Kurz, la "critica del valore" e la teoria sociale radicale ovvero Karl Marx è ancora rilevante per la storia?

L'importanza della critica del valore e della critica della dissociazione-valore per la scienza della storia
- Sulla persistente rilevanza di Karl Marx -
di Klaus Kempter

Dopo che il "socialismo realmente esistente" è improvvisamente perito nel 1989-1991, la visione del mondo del materialismo storico, del marxismo-leninismo, e non solo, sembrava fosse definitivamente entrata nel museo delle idee perdute. Anche le numerosi idee deviate di Karl Marx, improvvisamente sono state considerate obsolete nei circoli socialdemocratici, socialisti di sinistra o marxisti eterodossi, perfino per i membri di tali gruppi, come la fede biblica nella creazione di fronte alla rivoluzione darwiniana. Nel campo delle scienze sociali, dove c'era stata una tradizione di "marxismo occidentale" in realtà marginale, seppure rispettata, assai poco influenzata dalla politica quotidiana - si pensi alla Scuola di Francoforte ed ai suoi derivati, ma anche alla ricezione del pensiero di Antonio Gramsci - gli "approcci" che facevano riferimento a Karl Marx scomparvero quasi completamente dal discorso. È ovvio che continua ad esserci un certo numero di filosofi, scienziati sociali, geografi ed antropologhi - ed attuali maîtres penseurs come Alain Badiou e Slavoj Žižek - che vedono in Marx un pensatore ancora fecondo. [*1]
Nella scienza della storia accademica, il confronto con le idee di Marx non appariva solo marginale, ma del tutto scomparso. Se prima c'erano storici rinomati che si riconoscevano esplicitamente nella tradizione marxista, oggi è difficile incontrare qualcuno che riconosca ai concetti di Marx quanto meno un potenziale di stimolo. Eric Hobsbawm, che fino alla fine della sua lunga vita si è considerato un marxista - quando anche nelle sue dichiarazioni politiche si avvicinava sempre più ad un riformismo socialdemocratico di apparenza poco radicale - non vede alcun successore, e per questo il teorico del sistema mondiale Immanuel Wallerstein dovrà essere probabilmente l'ultimo rappresentante, ben noto nella storiografia, di una tradizione scientifica quasi del tutto sprofondata.
Nella migliore delle ipotesi, negli studi post-coloniali, esistono ancora vestigia del vecchio marxismo storiografico: dibattiti sull'egemonia gramsciana, concetti come quelli di "subalterno", l'introduzione di concetti che si occupano ancora di razzismo, di sessismo e di colonizzati - così come i teoremi di "impero" e di "moltitudine" del post-operaismo e la maggior parte dei contributi teorici post-marxisti in generale - rappresentano sviluppi e sdogmatizzazioni del discorso delle classi. Tuttavia, con la loro apertura di un campo visuale rivolto meramente agli studi geografici, sociologici e di scienza culturale e con l'incuria decisamente anti-economicista riguardo alle categorie fondamentali di Marx finivano per privarsi di un potenziale teorico possibilmente decisivo.
L'instabilità permanente e lo sviluppo critico dell'economia mondiale che persiste dal 2008, ha collocato nuovamente Marx e la sua critica del capitalismo nell'agenda del dibattito politico e giornalistico. Diverse pubblicazioni parlano da allora del Padre della Chiesa della critica del capitalismo e si domandano se aveva ragione e, se così fosse, esattamente perché e dove. [*2)
Negli Stati Uniti, centro del sistema mondiale, giovani intellettuali hanno lanciato riviste radicali come The Jacobin, oppure N+1, in cui fanno uso di strumenti concettuali marxiani [*3]. Ha fatto furore in un manifesto attivista di ispirazione marxista, L'Insurrezione che viene, ed un altro che fa filosofia sul "superamento accelerazionista" del capitalismo [*4].
In ogni caso, l'utilizzo, ora senza preconcetti, della parola, prima stimolante, "capitalismo" permette, forse, di sperare in una rinascita di Marx. Ma la scienza della storia sembra non essere influenzata da tutto questo. Perché?
Sorge spontaneo un sospetto ovvio: forse queste idee di Marx, che hanno funzionato da orientamento nella precedente ricerca storica marxista, sono passate di moda, o forse erano persino inadatte da sempre. Ad esempio, l'idea secondo cui la cosiddetta base economica delle società esistenti debba essere sempre il punto di partenza della sua penetrazione storiografica; il dogma per cui tutta la storia sarebbe la storia delle lotte di classe, a partire dal quale, per andare sul terreno della storia reale, si dovrebbero sempre guardare interessi materiali divergenti e conflittuali, non lasciandosi distrarre dai riflessioni puramente ideologici sulla cultura e l'ideologia; l'idea secondo cui lo Stato moderno non sarebbe nient'altro che il comitato di gestione di affari della classe borghese, tutti questi presupposti, che si trovano alla base della storiografia marxista nelle sue varianti più grossolane ed anche in alcune delle più sottili, del tutto scomparse dal dibattito ideologico, ed a ragione.
Ma questo vecchio marxismo - ed anche qualcuno di quelli nuovi - non è tutto Marx. Nella gigantesca miniera del pensiero di Marx, scavando sufficientemente a fondo, si trovano vene che valgono la pena dello sforzo. Le considerazioni che seguono sono un appello a farsi carico di questo sforzo, per dare un nuovo impulso alla storiografia, e prendere così le distanze sia dalla riserve dell'accademia convenzionale contro la storiografia basata sulla teoria sociale, sia dall'avversione postmoderna per le grandi narrazioni che diventa sempre più sterile. Per comprendere il mondo di oggi e la sua evoluzione, nel corso che va da due e mezzo fino a cinque secoli di modernità capitalista, a seconda dell'approccio, il ricorso a Marx continua ad essere essenziale - naturalmente non al Marx trans-storico della lotta di classe, del Manifesto Comunista e del progresso sociale inarrestabile, seppure sotto forma di sviluppo dialettico; ma al Marx che ha analizzato le società "nelle quali domina il modo di produzione capitalista" [*5], ossia, il teorico del meccanismo sociale fondamentale della valorizzazione del valore, del processo cieco del capitale come "soggetto automatico" del mondo moderno. Qui, si propone che la scienza della storia si occupi non del marxismo, nemmeno di quello "occidentale", ma del relativamente sconosciuto Marx "esoterico", come lo ha inteso il teorico e storico Robert Kurz, poco letto nei circoli accademici, e che si metta alla prova per sapere se il lavoro di Kurz ispirato da Marx può dare un profondo contributo alla comprensione della storia moderna [*6].

Robert Kurz e la critica del valore
Robert Kurz (1943-2012) è stato uno dei molti attivisti che nel "decennio rosso", dopo la rivolta studentesca occidentale del 1968, si unì ad una delle sette radicali di sinistra allora sorte, tentando nel corso di vari anni di dare inizio alla rivoluzione nei "centri capitalisti". Alla fine degli anni Settanta, egli ruppe con quello che più tardi chiamerà "politicismo", per impadronirsi delle basi teoriche della pratica politica di sinistra, insieme ad un gruppo di persone con la stessa idea. Nel decennio seguente, questo circolo teorico di Norimberga si è occupato di Marx e del marxismo, e questo specialmente sotto il segno della teoria della crisi. Dal 1986, Kurz insieme ad alcuni compagni di lotta pubblica l'organo teorico  Marxistische Kritik. Nel 1990, la rivista adotta il nome di Krisis - programmaticamente, non solo per il focus tematico identificato, ma anche come uscita dal marxismo, non implicando in questo, però, nessun addio a Marx. Kurz è stato il principale autore di Krisis fino alla scissione della redazione nel 2004 ed alla fondazione della nuova rivista teorica Exit! Crisi e critica della società della merce. Il suo saggio del 1986, La crisi del valore di scambio [*7], è il documento fondante di una nuova teoria critica, che il gruppo di Norimberga chiamerà "critica del valore" con riferimento alle categorie di base marxiane. Dall'inizio degli anni novanta, Kurz ha pubblicato varie monografie maggiori e minori, fra le quali soprattutto "Il libro nero del capitalismo"(1999) ha avuto ampia diffusione. Con il crescente livello di notorietà, si allargano le sue opportunità di pubblicazione. A partire dalla metà degli anni novanta ha scritto per il giornale brasiliano Folha de São Paulo, ed a partire dal 2002 ha avuto una rubrica di politica economica sul giornale Neues Deutschland, pubblicando articoli sul settimanale Freitag. Kurz ha cercato di anche di intervenire come oratore e conferenziere, naturalmente quasi esclusivamente nei circoli politici di sinistra. La sua vita era parecchio distante dai forum accademici, dove solitamente si suggerisce, processa e continua a svilupparsi la "scienza". Per questo l'opera di Kurz gioca assai poco un ruolo nelle discussioni dei circoli eruditi, così come negli ambiti accademici consueti. I testi scientifici accademici e le opere professorali a 360°. oggi vengono sviluppati senza fare alcun riferimento a Kurz - anche quando si tratta di questioni da lui affrontante nel dettaglio ed in maniera assai stimolante. Recentemente, tuttavia, alcuni dei suoi saggi sono stati pubblicati in lingua inglese, insieme a quelli di altri "critici del valore", in una raccolta di testi fondamentali della critica del valore [*8]. Sarà il futuro a mostrare se questo può promuovere la ricezione internazionale, e non solo da parte dei tardo-marxisti e dei post-marxisti. Le conclusioni di Kurz - formulate evitando intenzionalmente la "preoccupazione e l'equilibrio" della prosa accademica [*9] - sono troppo originali e rilevanti, soprattutto per quanto riguarda lo studio della storia, per essere lasciate ai circoli politici di sinistra.
Il punto di partenza di Kurz è stato senza dubbio eminentemente politico: la preoccupazione contemporanea per la crisi delle società industriali negli anni sessanta ed ottanta, nella formulazione del discorso accademico, per Kurz indicava l'esaurimento definitivo delle energie del modo di produzione capitalista. Tale esaurimento si ripercuote sulla storia mondiale, in primo luogo come collasso del "socialismo da caserma" dell'Unione Sovietica e dei suoi Stati satellite.

Il collasso della modernizzazione e la storicità del capitalismo
Il fatto che Kurz ed i critici del valore di Norimberga, così come i rappresentanti loro contemporanei della teoria della convergenza "borghese", non vedono alcuna differenza "categoriale" fra le società industriali dell'economia di mercato occidentale ed il socialismo di Stato dell'Est, può essere stato inizialmente dovuto alle origini nel maoismo, ma dopo è stato anche spiegato in dettaglio. Nel suo primo libro del 1991, Il collasso della modernizzazione, Kurz ha spiegato - prima di sottomettere ad un'analisi le debolezze sistemiche del "mercato pianificato" del socialismo reale - quello che riteneva che fosse il ruolo storico dei regimi di produzione sovietici e dell'Est europa, a partire dal 1917 o dal 1945 [*10]. Facendo riferimento ai pensatori dell'inizio della modernità, come Fichte e Tocqueville, ha attribuito al socialismo di Stato la funzione storica di compensare, nelle società ritardatarie della periferia capitalista, il ritardo nella riproduzione economica per mezzo del comando statale sull'economia. Come osserva Kurz, Fichte aveva già delineato, nel suo libro Lo stato commerciale chiuso (1800), una produzione di merci pianificata dallo Stato, ponendo così una base ideologica fondamentale al famoso statalismo tedesco (e non solo) in termini di teoria e politica economica. Secondo Kurz, il contributo di Tocqueville, come analista degli avvenimenti rivoluzionari nella Francia dell'Ancien Régime e della Rivoluzione, ha evidenziato, in modo non sentimentale né idealista, che il mutamento delle forme politiche di governo dalla monarchia alla repubblica parlamentare è stato secondario rispetto all'imposizione dello Stato moderno in generale, e che la rivoluzione francese è stata una lotta, non tanto per i diritti civili e la sovranità popolare. ma soprattutto per la proprietà dello Stato nazionale e del mercato già creato dall'assolutismo e dalla sua collocazione al servizio degli obiettivi capitalisti privati. La Rivoluzione Russa di Ottobre ed il susseguente stabilirsi dei cosiddetti Stati ed economie socialiste erano, secondo Kurz, dentro questa tradizione di quella che era senza dubbio la "modernizzazione in ritardo" statalmente controllata. Pertanto, non rappresentavano in alcun modo un tentativo di estrarre le conseguenze della critica radicale di Marx sulla produzione capitalista di merci, ma al contrario assumevano in primo luogo l'implementazione di tale modo di produzione, sotto la gestione statale anziché sotto la gestione privata.

E quando questo "capitalismo dell'Est" sotto il controllo dello Stato collassa alla fine del decennio 1980, Kurz e i suoi colleghi non ne sono stati né sorpresi né rattristati. Al contrario. avevano già descritto da anni l'inconsistenza del socialismo da caserma, l'assurdità dei suoi mercati pianificati e delle sue relazioni di concorrenza "secondaria". [*11]
Ma la visione di Kurz, contro lo spirito del tempo dell'inizio degli anni 1990, respingeva simultaneamente il fatto che il collasso del socialismo del blocco dell'Est potesse in qualche modo significare la vittoria storica-mondiale della democrazia e dell'economia di mercato e la "fine della storia" diagnosticata da Francis Fukuyama. [*12] Il trionfalismo dell'Occidente gli appariva del tutto spropositato. I vecchi centri della modernizzazione non avevano vinto; avevano semplicemente continuato ad esistere, dopo il collasso della periferia meno sviluppata. La crisi generale del capitalismo, di cui in realtà era stata vittima la concorrenza dell'Est, aveva anch'essa ricevuto un colpo, come Kurz aveva cercato di mostrare già nel suo primo articolo empirico-teorico fondamentale del 1986.
In cosa consiste questa crisi del capitalismo, che non è una normale crisi ciclica e neppure una di quelle rare crisi che hanno messo storicamente in pericolo la sua esistenza almeno una volta - all'inizio degli anni 1930 -, ma che indica il raggiungimento del "limite interno" assoluto del modo di produzione capitalista? Robert Kurz e la critica del valore fanno qui alcune osservazioni abbastanza irregolari su Marx, come quelle a proposito del cosiddetto "Frammento sulle macchine" del vasto manoscritto sulla critica dell'economia politica scritto nel 1857-1858 e pubblicato per la prima volta solo alla fine degli anni 1930 col titolo di Grundrisse: "È il capitale stesso ad essere la contraddizione in processo, perché cerca di ridurre il tempo di lavoro come unica misura e fonte di ricchezza", [*13] per stabilire la base della sua ipotesi che, a partire da un determinato livello di aumento della produttività, la sola potenza creatrice di valore, la forza lavoro umana, viene rimossa dal processo di produzione su scala talmente elevata che il modo di produzione nel suo insieme non può continuare ad esistere. Questo limite interno, secondo l'analisi della critica del valore, è stato raggiunto a partire dagli anni 1970 e 1980, con l'utilizzo della tecnologia informatica, dell'automazione, dell'informatizzazione e della digitalizzazione, cioè, con la terza rivoluzione industriale, la rivoluzione microelettronica. Da allora, il moderno regime di produzione si trova in un inesorabile declino [*14].

Partendo sa questa diagnosi della crisi contemporanea e seguendo la corrispondente indicazione di Marx, Kurz sottomette ad un esame, nel corso del decennio del 1990, non solo il capitalismo attualmente esistente - includendo in questo vari scritti polemici, ad esempio quelli sul problema della riunificazione tedesca [*15] - ma l'intero contesto storico. Ha intrapreso così il tentativo (che distingue fondamentalmente la sua narrazione da tutte le interpretazioni storiche accademiche, così come da quelle extra-universitarie e da quelle del "marxismo residuale") di scrivere tutta la storia del capitalismo a fronte della sua fine imminente - come storia per così dire "dal di fuori", con uno sguardo meno freddo o neutro, ma uno sguardo dalla distanza. È partito pertanto dal presupposto che alla fine lo sguardo sull'economia di mercato capitalista implica che questa abbia anche un inizio storicamente identificabile, una "storia della costituzione" ed una "storia dell'imposizione", ed un successivo sviluppo progressivo "in processo", che non riposa su sé stesso per l'eternità, come costante, sebbene vada intesi in evoluzione, ma ontologicamente solidificato.
In questo modo si è rivolto contro le idee astoriche ed anti-storiche generalizzate che parlano di stati di equilibrio e di processi ciclici dell'economia di mercato. Quello che è ovvio, e pertanto noto a tutti, dentro e fuori le scienze economiche, che l'economia moderna porta al continuo aumento di produzione di beni, a maggior stock di capitale, innovazione tecnologica, espansione della cerchia dei consumatori, ecc., ma tutto questo normalmente non porta a considerare in maniera storico-evolutiva gli eventi economici.
Invece, i vari analisti dell'economia moderna rimangono prigionieri di un pensiero circolare astorico, che ha segnato la scienza economica fin dai suoi inizi. Ripetutamente, vengono forzate analogie mediche, meccaniche o cosmologiche per constatare l'eterno ritorno del sempre uguale (di fronte alla miracolosamente aumentata ricchezza di beni) e dipingere idilli di mercato. Nell'economia politica accademica, solo Schumpeter ha costituito un'eccezione rispetto ai principali teorici con la sua "Teoria dello sviluppo economico", l'idea spesso citata della "distruzione creativa" e dello sviluppo del processo di innovazione ed imitazione. Tuttavia, l'adattamento che si può vedere in lui e in altri che parlano delle "onde lunghe" di Kondratieff va a finire anche nelle idee dei cicli, anche se di dimensioni assai maggiori di quelle utilizzate nella teoria ciclica a breve termine.
Contro le idee statiche dell'equilibrio e dei cicli della scienza economica, di provenienza tanto neoclassica quanto keynesiana, ma anche proveniente dal marxismo, sotto forma di crisi di sovraccumulazione e ripulitura continuamente ricorrenti, sebbene "su scala più elevata", o della tesi secondo la quale "il capitale" tende alla guerra, per distruggere la ricchezza che esiste sotto forma di merci e di impianti produttivi e poi cominciare di nuovo con l'accumulazione; contro tali idee, fin dagli anni 1980, Kurz ha intrapreso lo sforzo di esporre la teoria della crisi, che emerge in molti punti dell'opera di Marx senza però essere esposta in maniera sistematica, e che rimane alla fine frammentaria - un tentativo i cui risultati non possono essere qui apprezzati. Egli divenne simultaneamente uno storico del capitalismo ed un eminente pensatore della storia.

La storia del capitalismo I: Costituzione ed imposizione dell'economia di mercato industriale
Quando Kurz alla fine degli anni 1990 ha pubblicato la sua principale opera storiografica, Il Libro nero del capitalismo. con il sottotitolo "Una canzone di addio dell'economia di mercato" [*16], il suo modo di esposizione era il risultato della conclusione che "i processi strutturali ciechi e le riflessioni apologetiche, insieme costituiscono il processo storico reale" [*17]. Il Libro Nero come "esposizione integrata delle tre rivoluzioni industriali descrive così, da un lato, i processi strutturali in parte quasi naturali ed in parte politicamente implementati a partire dalla fine del XVIII secolo: lo sviluppo delle grandi industrie in Inghilterra e nei paesi che seguono dell'Europa occidentale, legato alla coercizione terrorista che fin dall'inizio è stata esercitata sulla massa della popolazione contadina per essere addestrata come manodopera del processo di valorizzazione del capitale astratto - qui Kurz condivide, in forma originale e sviluppandola, l'esposizione di Marx e Foucault della "accumulazione originale" [*18].
Dall'altro lato, egli torna all'osservazione e alla concettualizzazione ideologica di queste mutazioni e documenta per esteso il ruolo affermativo della filosofia dell'età moderna - il pensiero illuminista, l'idealismo tedesco, l'utilitarismo inglese, ecc. - ai fini della genesi e dell'implementazione del capitalismo, dell'economia di mercato, della modernità. Kurz fa uso degli scritti della filosofia borghese e del pensiero economico degli inizi - ad esempio, di Mandeville e Adam Smith, ma anche di Kant - per mostrare che, a partire da un movimento di pensiero di emancipazione, che aspira alla libertà individuale, all'uguaglianza e alla fraternità fra tutte le persone, non si può parlare di una "storia occidentale della civiltà". Al contrario, il modello, in un fronte contro il dominio delle istanze premoderne religiosamente fondate, è stato quello della concorrenza dell'economia di mercato, ivi incluso il soggetto universale senza qualità che interessa tutte le manifestazioni della vita. Kurz presenta in tal modo una versione sorprendentemente "idealistica" della storia del capitalismo: la descrizione della realizzazione del pensiero illuminista, che, naturalmente, non ha in sé niente di ideale, ma - in modo estremo come in de Sade, appartenente anch'egli agli illuministi, ma anche come nel liberal-democratico Jeremy Bentham e nel suo Panopticon - è essenzialmente una "utopia nera": un pensiero della preparazione e della formazione alla lotta di tutto contro tutti dell'economia di mercato. Il pensiero illuminista era al servizio di un completo disciplinamento delle persone, con l'obiettivo "di portare al più alto grado l'inimicizia fra i singoli, la guerra infame della concorrenza" [*19], come scriveva Friedrich Engels, figlio di un industriale.

Già nel Libro Nero del 1999, e in maniera molto più dettagliata nella sua ultima monografia Denaro senza Valore (2012), Kurz ha descritto la sostituzione, del regime di produzione delle società agrarie pre-capitalistiche incentrate sulla religione, con la modernizzazione produttrice di merci: egli non lo ha visto come un processo evolutivo, così come, nonostante i riferimenti fatti da Marx al carattere violento della "accumulazione originale", è stato assai spesso concepito anche negli scritti marxisti, non lo ha visto come mutamento nel suo insieme pacifico dalla nobiltà feudale alla borghesia urbana dei commercianti e dei fabbricanti. Al contrario, sia l'economia domestica rurale che il corporativismo urbano, in realtà statico, ma che garantivano l'equilibrio sociale, sono stati distrutti attivamente dalle istanze statali assolutiste. Con l'abolizione dei vecchi regolamenti e con la creazione delle relazioni di mercato su larga scale, è stata installata la concorrenza universale, impedendo, fra le altre cose, che le innovazioni tecniche dell'inizio dell'era industriale venissero utilizzate a beneficio del benessere generale e per facilitare il lavoro. Invece, vennero utilizzate come mezzo di produzione di ricchezza astratta, nonché per tenere legati all'apparato industriale i senza terra ed i diseredati [*20].
La miseria in massa dell'nidustrializzazione iniziale è stata descritta all'epoca, per esempio da Friedrich Engels, nel suo rapporto sulla Situazione della classe operaia in Inghilterra (1845), e da Marx ne Il Capitale (1867), sulla base dei rapporti di ispezione nelle fabbriche inglesi; tuttavia vale la pena leggere le potenti descrizioni dei "mulini satanici"(William Blake) capitalisti nel libro nero di Kurz. La storiografia accademica occidentale, nella sua parte predominante vista dalla prospettiva della società di consumo sviluppatesi alla fine del XX secolo, attribuiva la miseria sociale ed il pauperismo dell'inizio del XIX secolo non all'industrializzazione capitalista, ma proprio al suo ritardo rispetto alla crescita della popolazione che l'aveva preceduta, e che comprendeva le situazioni di miseria dell'industrializzazione come una triste fase di transizione, più o meno inevitabile, dell'economia di mercato sulla strada per il "capitalismo buono" egualitario dello Stato-provvidenza. Nella narrazione di Robert Kurz, entrambi i discorsi di giustificazione vengono respinti: da un lato, la miseria non era pre-capitalista, dovuta alle condizioni tradizionali primitive medievali, al contrario: alla fine del medioevo, le condizioni di vita delle persone comuni erano assai migliore di quelle nei tempi successivi. Ciò era vero tanto per le necessità materiali, quanto per le opportunità di poter determinare il proprio tempo ed il proprio quotidiano, e perciò è stata l'imposizione del capitalismo e non la crescita della popolazione, come spiega la "impresa scientifica accademicamente devota dello Stato" nella "argomentazione maltusiana", che ha gettato gran parte della popolazione europea nella catastrofe sociale [*21].

Dall'altro lato, lo stesso capitalismo tardivo, anche nelle regioni del benessere del Nord America e dell'Europa occidentale, non è stata un'epoca idilliaca, al contrario, per Kurz è stata un'utopia negativa, arrivata ad un obiettivo provvisorio, quello di una macchina sociale che ha elevato a fine in sé il regime del lavoro astratto, vale a dire, dell'attività orientata non alle "cose utili" concrete, ma all'aumento della ricchezza monetaria. Il fatto per cui il tardo capitalismo, almeno per qualche decennio, durante la "breve estate siberiana del miracolo economico" dopo la seconda guerra mondiale, ha portato una certa ricchezza ad una parte della popolazione mondiale, non può compensare l'impoverimento di massa nel XIX secolo né la distruzione delle economie di sussistenza del cosiddetto terzo mondo. E di certo, il breve periodo di prosperità non poteva ingannare circa gli altri alti costi della modernizzazione: il fatto che l'umanità, inizialmente con una coercizione brutale, in seguito, sempre di più, attraverso meccanismi di internalizzazione e di auto-disciplinamento - praticato, ad esempio, nella formazione taylorista dell'industrializzazione accelerata - è stata portata a sottomettersi al regime automatico del "lavoro", all'assurdo dispendio di "cervello, muscoli, nervi, mano, ecc."(Marx) [*22] con il fine del mero "realizzare profitto".
Con la critica del lavoro in quanto tale, in quanto un derivato dell'attività non libera e torturante degli schiavi, Kurz si allontana quanto più possibile non solo dall'economia politica convenzionale della "mano invisibile" e dell'armonia prestabilita del mercato, ma anche dall'ideologia sia del movimento operaio riformista dei sindacati e dei socialdemocratici come dal comunismo rivoluzionario di tutte le "scuole", siano esse di dominio leninista, trotskista, stalinista, gramsciano o comunista riformista. Tutte queste posizioni marxiste e socialiste hanno in comune, nella prospettiva della fondamentale critica del valore di Kurz, il fatto che si muovono dentro il paradigma del "valore" e del "lavoro astratto". riferendosi a quest'ultimo affermativamente ed orgogliosamente, e combattono solo dal punto di vista del lavoro - vivo - il punto di vista del capitale (morto). Il marxismo del movimento operaio, così chiamato da Kurz, pretendeva di stabilire il dominio del lavoro e "cacciare gli oziosi", come veniva detto nella "Internazionale", anziché vedere l'emancipazione nella liberazione dal lavoro e nell'ottenere l'ozio, come raccomanda Kurz, seguendo una corrente assai minoritaria della sinistra.

Lo stesso Marx non è sfuggito al contesto di questa rivalutazione della categoria del lavoro, che sotto certi aspetti poteva essere invocata dal suo genero Paul Lafargue (Il diritto all'ozio). Anche l'antenato della critica del valore si lasciò andare ripetutamente agli elogi per il lavoro, e contro l'ozio, come aveva già fatto nel Manifesto Comunista del 1848, o nella sua polemica contro i nemici borghesi della Comune di Parigi, in Guerra Civile in Francia (1871). Di conseguenza, Robert Kurz distingue sul piano teorico fra questo Marx "essoterico", della modernizzazione, proveniente dal liberalismo e dal pensiero illuminista, cui tutti i comunismi di partito fanno riferimento in maniera positiva, ed il Marx "esoterico" [*23], radicalmente critico della modernità, che non ha tematizzato la ritenzione del plusvalore da parte dei presunti "dominante", bensì l'assurdo funzionamento della società moderna in generale, che rinchiude tutte le persone, anche i "ricchi" e gli "sfruttatori", in un involucro di relazioni "feticiste", duro come l'acciaio, dove non sono altro che materiale per l'autovalorizzazione del valore.
Nel Libro Nero del capitalismo. Kurz mette in atto una divisione simile, in correnti categoriali ed immanenti, fra i movimenti di resistenza e protesta contro il capitalismo. Il più nuovo è stato il movimento operaio socialista - sia di disposizione rivoluzionaria che riformista - che era emerso dalle unioni operaie di impronta liberale nel XIX secolo, ad aveva offerto, nella Comune di Parigi acclamata da Marx, un modello per i successivi sollevamenti rivoluzionari. Secondo Kurz, esso ha costituito la corrente volta alla modernizzazione, e alla fine ha partecipato in maniera costruttiva, in una dialettica immanente, alla formazione del capitalismo democratico sviluppatosi.
Il movimento radicale più vecchio, con il quale Kurz ha stabilito un contatto in maniera enfatica, è stato quello delle rivolte popolari contro l'imposizione del lavoro astratto, a partire dal XVI secolo. Le guerre dei contadini, le rivolte sociali durante la Rivoluzione Francese del 1789 - che, paradossalmente, hanno contribuito alla vittoria della "ragione" capitalista - la distruzione delle macchine dai parte dei luddisti inglesi, la rivolta dei telai della Slesia nel 1844 e le rivolte delle classi più basse durante la rivoluzione europea del 1848 hanno rappresentato i veri movimenti emancipatori nella storia del capitalismo. In nessun modo, Kurz interpreta tutto questo romanticamente, come espressione di moralità superiore del semplice povero. Egli era consapevole del fatto che gli impulsi ribelli avrebbero potuto assai facilmente essere deviati su percorsi reazionari, perfino antisemiti. Tuttavia, hanno mostrato il potenziale di qualcosa di completamente differente: un rifiuto fondamentale della logica irrazionale della modernità, cui il marxismo convenzionale, in quanto erede del liberalismo illuminista, non avrebbe mai potuto dedicarsi [*24]. Questi movimenti di opposizione sono stati perduti nel corso della storia dell'ascensione del capitalismo, con l'imposizione definitiva del sistema industriale. Quel che è rimasto è stato il movimento operaio socialista e marxista, il quale, anche nelle sue varianti politicamente radicali, come quella di Rosa Luxemburg, è rimasto prigioniero delle categorie della modernizzazione capitalista.

La storia del capitalismo II: crisi. guerre, barbarie
L'ortodossia marxista in generale ha tradotto la contraddizione espressa da Marx tra forze produttive e relazioni di produzione in un'interpretazione semplicistica: la contraddizione fra produzione sociale ed appropriazione privata. Ha visto la lotta di classe per il prodotto del lavoro come se fosse la caratteristica essenziale della storia della crisi capitalista, ed ha trovato nel proletariato l'agente del progresso storico, il "becchino" del capitalismo.
Per la critica del valore di Kurz, come abbiamo visto, il contesto storico non si produce su questo piano "sociologico", ma avviene nelle categorie del soggetto storico identificato da Marx, e non è un attore umano, bensì una macchina sociale incosciente: il meccanismo della valorizzazione del valore, guidato dalla concorrenza. Da questo punto di vista, le crisi non sono semplicemente effetto della cattiva distribuzione e della concentrazione delle risorse, delle lotte per la distribuzione o per i conflitti per il potere politico. Ma sono il risultato della contraddizione in processo di cui si è detto prima, fra la necessità di utilizzare sempre più lavoro vivo, in quanto esso è l'unico produttore del valore, e la coercizione, risultante dalla concorrenza sul mercato, per eliminare tale lavoro attraverso la razionalizzazione del processo di produzione. Con l'aumento del livello di capitalizzazione della società, tali crisi sviluppano un effetto sempre più marcato. Di solito trovano una via d'uscita nell'espansione della produzione e del commercio, nell'introduzione di nuovi prodotti e nello sviluppo di nuovi mercati.
Tuttavia, questa soluzione finisce, per così dire, per congestionarsi ripetutamente, non si aprono tutte quelle nuove aree dov'è possibile l'espansione, temporaneamente non sorge alcun settore innovativo di produzione, in grado di attrarre a sé grandi quantità di capitale monetario ed il corrispondente grande impiego di lavoro. La conseguenza potrebbe essere quella di deviare il capitale monetario verso i mercati finanziari, con crolli in borsa e successivi periodi di stagnazione prolungata, come avvenuto dopo le "grandi crisi" a partire dal 1873, con la successiva depressione profonda e duratura, così come gli ampi collassi delle economie nazionali, con la susseguente depressione, profonda e duratura, come quella avvenuta negli anni della crisi economica mondiale dopo il venerdì nero del 1929.

La via d'uscita dalla Grande depressione venne trovata con la seconda guerra mondiale. Il boom del dopoguerra, l'età dell'oro  (Eric Hobsbawm), i gloriosi Trenta (Jean Fourastié) durati fino alla metà degli anni 1970, spesso sono stati attribuiti al processo di ricostruzione e di recupero che è dovuto seguire alle distruzioni della guerra. Tuttavia, Robert Kurz identifica la base del miracolo economico mondiale nelle nuove linee di prodotti che oggi hanno conquistato il mercato: gli elettrodomestici della linea bianca (frigoriferi, lavatrici, ecc.) e di quella bruna (televisori, eccc.) per le cucini e per i salotti della massa dei consumatori, ma soprattutto l'automobilizazione diffusa delle società industriali. La produzione in massa fordista-taylorista e l'espansione del consumo di massa, con l'automobile come prodotto leader, rappresentano il marchio della lunga seconda rivoluzione industriale, alla fine della quale il capitalismo, due secoli dopo l'inizio della sua fase industriale, aveva alla fine distrutto ed assorbito completamente il vecchio mondo pre-capitalista e non-capitalista [*25].
Nel cammino verso quest'età dell'oro, tuttavia, le società capitaliste hanno provocato i più grandi disastri della storia dell'umanità, le due guerre mondiali e milioni di uccisioni di massa, fra cui in particolare lo sterminio degli ebrei europei. Per Kurz, questi cataclismi non sono stati degli sviluppi politici indipendenti, al di là della logica capitalista; essi non erano dei fatti inevitabili, ma non erano nemmeno risultati improbabili del processo del moderno modo di produzione. Non rappresentano in nessun modo una deviazione dalla politica o dalle idee della "Storia dell'Occidente", ma sono state una conseguenza sia del cieco processo della valorizzazione del capitale, sia anche dello sviluppo ideologico del pensiero illuminista e del liberalismo, che è stato sempre un pensiero dentro le categorie della concorrenza, e pertanto di isolamento, di deprezzamento e di gerarchizzazione. Al contrario delle solite grandi narrazioni, Kurz ha considerato la "biologizzazione della società mondiale" [*26], il darwinismo sociale ed il razzismo nella seconda metà del XIX secolo, non come un'aberrazione dello spirito occidentale rivolto alla libertà, all'uguaglianza e all'emancipazione, ma come i suoi successori legittimi.

Per Kurz, un caso particolare di pensiero anti-umano radicato nell'illuminismo è stato anche l'antisemitismo, la cui conseguenza pratica, la Shoah, rimane in ultima analisi inspiegabile per il marxismo, esso stesso profondamente prigioniero dell'illuminismo. del razionalismo e della narrazione del progresso, come avviene per il pensiero affermativo liberal-democratico ed idealista, che a partire dalla sua aporia ha cercato rifugio in formule come il "percorso speciale" tedesco, la "singolarità" e lo "scontrò fra civiltà". In genere, da parte dei rappresentanti della tesi della rottura della civiltà, non viene contestato che la storia di questa civiltà abbia portato con sé immensi crimini, ad esempio nelle colonie. Tuttavia, facendo notare che lo sterminio dei nativi americani, o lo sfruttamento della popolazione nera nel cuore delle tenebre congolesi, seguiva una razionalità fra mezzi e fini mossa da interessi materiali, essi accentuano, da una parte, una differenza categoriale relativamente allo sterminio nazionalsocialista degli ebrei europei, che emerge come puro fine in sé, separato da qualsiasi collegamento razionale. Dall'altro lato, si suggerisce che i crimini "normali" della modernità capitalista sarebbero in ultima analisi in opposizione rispetto ad una razionalità etica superiore della civilizzazione occidentale, e che pertanto la tendenza a tali crimini verrebbe sempre più rimossa, finendo possibilmente per sparire, nel corso del processo storico. La guerra degli Stati Uniti contro la Germania nazionalsocialista, da questo punto di vista ha confermato l'opposizione diametrale fra le civiltà capitaliste "normali" ed il caso particolare tedesco, anti-occidentale, anti-democratico, ed in un certo qual modo perfino "anticapitalista".
Tuttavia, Kurz ha anche insistito sul fatto che il nazionalsocialismo tedesco è stato caratterizzato da una "barbarie singolare" e risultante da una storia nazionale speciale. Ma non è separata dal contesto generale della civiltà moderna. Sebbene corrisponda alle particolarità dello sviluppo nazionale - che è stato più statalista  e, dal punto di vista ideologico, anche più culturalista e biologista rispetto all'Inghilterra o agli Stati Uniti, per esempio - il nazionalsocialismo è stato parte integrante della storia della modernizzazione: la "versione tedesca della trasformazione a livello dello sviluppo fordista" [*27]. Il fatto che in questa fase di transizione e di crisi l'antisemitismo si sia fatto strada anche nell'America capitalista liberale, così come nell'Unione Sovietica capitalista di Stato - ora come abominio del capitale finanziario "rapace", ora come risentimento contro l'intellettualismo astratto - indica che qui non si trattava soltanto di particolarità nazionali. Altri indizi di tendenza all'imbarbarimento sempre inerenti alla civiltà moderna, ma soprattutto nell'era fordista della società del lavoro che diventava totale, vengono visti da Kurz nell'invenzione del campo di concentramento alla fine del XIX secolo da parte delle potenze coloniali e nell'adozione di questa forma moderna di amministrazione delle persone nel sistema del Gulag sovietico. Anche l'esclusione della "vita indegna di essere vissuta", vale a dire, di quelle persone che non potrebbero dare profitto nel processo di valorizzazione del capitale, o che perturbano attivamente tale processo, e la psichiatrizzazione conseguente dei dissidenti politici, o la sterilizzazione forzata delle persone con disabilità, sono state perciò considerate come conseguenze della logica della valorizzazione della modernità, sia essa etichettata come democratica, socialista o fascista. "I nazisti", conclude Kurz, " non provenivano da un altro pianeta, essi erano carne della carne della storia della modernizzazione" [*28].

La caratterizzazione nazionalsocialista degli ebrei come anti-razza è stata conseguenza della loro posizione secolare in quanto stranieri per eccellenza nella storia europea. Allo stesso tempo, rappresentava il risultato dell'identificazione degli ebrei con il denaro, il capitali astratto straniero, che era considerato un principio contrario al buon capitale industriale concreto, creatore di valore. Secondo Kurz, che per questo si basa sugli studi del sociologo canadese Moishe Postone, gli ebrei incarnano nel pensiero nazionalsocialista quei poteri moderni che provocano crisi e catastrofi sociali, che modellano anonimamente lo sviluppo delle società alle spalle dei soggetti, senza nessuna direzione reale. [*29] E Auschwitz "prodotto autentico della civiltà occidentale" [*30], ha rappresentato, in una nuova formulazione incisiva, una "fabbrica negativa" capitalisticamente anticapitalista per "distruggere valore" [*31].
Lo sterminio degli ebrei della Germania come risultato della storia nazionale specifica, ma anche come conseguenza di una follia generale della civiltà moderna, una "pulsione di morte" del capitale che aveva già scaricato la sua furia nelle case di lavoro dell'inizio dell'età moderna, così come nei massacri della colonizzazione: soprattutto nel contesto della discussione tedesca, questa posizione poteva essere dislocata con leggerezza verso la vicinanza di un revisionismo storico che opera per mezzo di equiparazioni relativizzanti. Nonostante tali tentativi di renderli tabù, è più che tempo di analizzare con serietà il nesso di causalità menzionato da Kurz e la conseguente storicizzazione e demistificazione dell'Olocausto nella scienza della storia accademica. Lo sconsiderato discorso sulla "rottura della civiltà" - una medaglietta fornita dallo studioso per le vuote frasi di preoccupazione nei discorsi-memoriali dei politici - è diventato quindi inutile; la costernazione di fronte alle uccisioni in massa tedesche verrebbe così mantenuta [*32].
La "pulsione di morte del capitale" non è stata definitivamente soddisfatta con il crepuscolo degli dei nazionalsocialisti tedeschi. Negli anni dorati dopo la fine dell'era delle guerre mondiali, tuttavia, la barbarie aperta è stata messa in secondo piano. È vero che per questo periodo Kurz menziona anche , al contrario di quanto fanno i keynesiani e i vecchi socialdemocratici nostalgici del "buon capitalismo" [*33], soprattutto i danni legati alla transizione di successo all'automobilizzazione, al fordismo ed al consumo di massa - egli ha visto la vittoria della totalità dell'economia di mercato, della soggettività giuridica astratta e della democrazia - ma erano qualitativamente differenti dalle configurazioni precedenti, così come da quelle seguenti.

Gli anni dopo il boom rappresentano un tempo di crisi generale, e né le strategie che sono state usate contro il fondersi della sostanza del lavoro, vale a dire, la finanziarizzazione, l'aumento dell'accumulazione del capitale puramente fittizio - come lo aveva chiamato Marx nel terzo volume del Capitale -, da una parte, né la "globalizzazione" della cosiddetta decomposizione delle catene di produzione e del loro raggruppamento secondo i vantaggi dei costi offerti da una mercato mondiale aperto, dall'altra, sono state capaci di invertire questa tendenza. Nella sua monografia, "Il Capitale Mondiale", Kurz ha mostrato che ormai non potrebbe più avere nessun nuovo grande slancio di accumulazione di valore nel contesto della terza rivoluzione industriale della microelettronica; si trattava solo di delocalizzare verso una periferia di miseria globale, che diventa sempre più grande, la tendenza del lavoro a diventare superfluo [*34].
Con questo, la barbarie è tornata ovviamente ad alzare la testa in molti luoghi. Nel libro "La Guerra per l'Ordine Mondiale" [*35], Kurz ha analizzato i cosiddetti interventi militari umanitari dell'Occidente - Iraq, Jugoslavia, Afghanistan - come tentativi di mantenere sotto controllo con forze superiori i mostri prodotti dalla modernità capitalista, le dittature della modernizzazione nazionalista fallita ed i loro prodotti di decomposizione sotto forma di bande, ora islamiche, ora etno-nazionaliste, ora criminali (droga), ed in questo modo, da un lato, garantire l'accesso alle materie prime e, dall'altro lato. canalizzare il flusso di rifugiati necessariamente risultante dal deterioramento della periferia. Il quadro dipinto da Kurz, della società mondiale nel lungo momento della sua possibile distruzione - Stati falliti, privatizzazioni delle istanze di violenza, aumento dei signori della guerra, inselvaggimento, anomia, "economia del saccheggio" - mostra il ritorno di diverse manifestazioni dell'infanzia del capitalismo e dello Stato moderno, della guerra dell'inizio dell'età moderna di tutti contro tutti. Nel suo ultimo libro, pubblicato nel 2012, il lungo saggio "Denaro senza Valore", Kurz ha fatto un passo indietro nel tempo, all'epoca dell'industrializzazione iniziale descritta nel "Libro Nero", rivolgendosi intensamente alla fase iniziale della modernizzazione. Il suo interesse è stato di nuovo principalmente di natura teorica - il sottotitolo "Linee generali per la trasformazione della critica dell'economia politica" mostra la sua volontà di correggere Marx e superarlo - dal momento che le argomentazioni sono di nuovo sature di empirismo storico [*36].

La storia del capitalismo III: una nuova prospettiva sulla sua genesi
Già nel titolo del suo saggio, Kurz stabilisce il legame fra l'attuale epoca del capitalismo, da lui diagnosticata come di decadenza, e la sua storia iniziale: Se Denaro senza Valore significa oggi, a causa dello scioglimento della sostanza del lavoro, per cui anche la forma generale del valore, il denaro, perde la sua sostanza, e se diventa senza valore, questa formula significa, per la preistoria del capitalismo, che di fatto aveva nelle nicchie della riproduzione materiale qualcosa che più tardi sarebbe apparso simile al denaro, ma che non aveva ancora la funzione di sostegno al "valore". Con ciò, Kurz si è rivolto sia contro le storie del denaro che argomentano in termini antropologici e naturali o trans-storici, sia contro l'idea marxista tradizionale, alimentata dallo stesso Marx, secondo cui il capitalismo iniziale avrebbe potuto fare ricorso da secoli ad un forma sviluppata di denaro. Il denaro nelle società precapitaliste era, come egli ha creduto di poter mostrare facendo riferimento al teorico eterodosso del denaro Bernhard Laum ed al medievalista Jacques Le Goff, non un mezzo di scambio, ma una "oggettualità di sacrificio" sacrale simbolica.
Questa oggettualità ha raggiunto la pre-modernità come "scoperta storica". La differenza decisiva fra mondo moderno e società precapitaliste, secondo Kurz, viene di regola percepita in maniera solo superficialmente fenomenologica, sia dalla scienza della storia che dal marxismo. Il carattere, "strano, differente" di questi mondi non capitalisti risiedeva, secondo lui, nel fatto che non esistevano le categorie di base della socializzazione odierna: non esisteva né denaro moderno, né "valore", né merci, né scambio di merci, e neppure "economia". Anche un pensatore non convenzionale come Karl Polanyi, che aveva visto una trasformazione fondamentale della socializzazione nel fatto che l'economia nella modernità era stata svincolata dal contesto sociale globale che la circonda [*37], non era stato in grado di riconoscere che la rottura era stata molto più profonda, e che lo stesso termine "economia" era anacronistico per le società pre-moderne.
Karl Marx aveva realmente scoperto, come storico della fase iniziale del capitalismo, che era avvenuto un rivoluzionamento fondamentale fra il vecchio mondo e l'inizio dell'era moderna, e che tale rivoluzionamento era stato un atto violento ("grondante sangue e sporcizia" [*38], ma aveva concepito la "cosiddetta accumulazione originale" semplicemente come separazione dei produttori dai loro mezzi di produzione, come espropriazione della proprietà della terra dei contadini da parte dei nobili signori, come espulsione dei contadini liberi e persecuzione delle masse di contadini impoveriti risultanti dalla distruzione del vecchio ordine nell'Inghilterra pre-industriale. La sua narrazione descrive come è stata creata una massa di persone senza proprietà, obbligata al lavoro salariato, come pre-requisito essenziale del capitalismo, ma non mostra com'è sorto il capitalismo stesso, il ciclo di valorizzazione. Kurz Ha cercato di riempire quest'eminente lacuna storiografica nell'esposizione di Marx, descrivendo la trasformazione funzionale del denaro: Com'è nato, a partire dalla scoperta storica, dall'antica offerta sacrale sacrificale, l'equivalente generale, l'espressione per il nucleo del sistema economico capitalista, il valore?

Kurz identifica il meccanismo decisivo, ed anche questo distingue la sua visione tanto dal marxismo quanto dalla storiografia accademica convenzionale, non nello sviluppo degli interessi lucrativi privati, nell'espansione del commercio o della "usura" del capitale, ma nella combinazione di un'esplosione di sviluppo tecnologico con i processi di formazione dello Stato dell'inizio della modernità. [*39] In questo modo, il punto di partenza di quello che in futuro avrebbe determinato la produzione di lavoro fu la cosiddetta rivoluzione militare (Geoffrey Parker), l'implementazione delle armi da fuoco - cannoni e moschetti - e delle corrispondenti fortificazioni difensive, così come l'equipaggiamento dei grandi eserciti permanenti dei mercenari. Gli Stati territoriali in formazione all'inizio dell'età moderna si videro costretti a mantenere in Europa un'estremamente dispendiosa corsa agli armamenti. A tal fine, vennero aumentate le imposte, si crearono mercati, e non solo: si creò per la prima volta la circolazione delle merci e del denaro, per potere così ottenere i mezzi necessari alla costruzione di un'infrastruttura militare, un "complesso militare proto-industriale" senza precedenti. Lo Stato dei cannoni, delle imposte e della burocrazia, in un certo qual modo equi-primordiale insieme all'economia monetaria, impose la conversione delle antiche imposte, tributi, servizi e "offerte" feudali in pagamenti monetari. In una fase successiva, la macchina di ottenimento di denaro si slegò dalla sua finalità originale e cominciò a dominare la produzione di tutti i beni d'uso, e ad imporre a questi oggetti la forma di merce conforme al mercato. Così è venuto al mondo, secondo lo schizzo storico di Kurz, il capitale come valore che valorizza sé stesso. Gli orrori descritti da Marx e Foucault circa l'espropriazione e lo sradicamento di gran parte della popolazione e circa il maltrattamento, nelle prigioni, in case di lavoro e manicomi, di grandi parti della popolazione eccedente sono state conseguenza di questo originare denaro da valorizzare, come parte della rivoluzione militare che essi non avevano ancora tematizzato.
In maniera sanguinosa e repressiva - come lo si può vedere dalla caccia alle "streghe", che è durata secoli - ha avuto luogo un secondo fondamentale processo equi-primordiale dell'inizio della modernità, che è stato affrontato adeguatamente, né concettualmente, né in maniera storiografica-descrittiva, nel marxismo tradizionale: la produzione di relazioni asimmetriche di genere che accompagnano i secoli successivi, la "dissociazione" di un dominio di riproduzione sociale, caratterizzato come femminile, della relazione di valore capitalista che veniva a stabilirsi. Nel corso degli anni 1990, il gruppo Krisis si era avvicinato all'approccio femminista ed aveva contestato la mera continuità delle relazioni patriarcali tradizionali nell'età moderna per mezzo del teorema della "dissociazione" sviluppato da  Roswitha Scholz – la dissociazione sessuale è stata una forma nuova, specificamente moderna, di rendere le donne sottomesse.
Inoltre, era stato constato che qui non si tratta di una "contraddizione secondaria" del capitalismo, o di un "sottosistema" sociale, ma di un ordinamento fondamentale della società moderna, sullo stesso piano categoriale della relazione di valore [*40]. Il capitalismo poteva pertanto essere tradotto in patriarcato produttore di merci.

Il Marx esoterico, Robert Kurz e la storia: un paradigma per la storiografia in epoca capitalista?
La nostra epoca postmoderna è pluralista, anti-teorica. avversa alle grandi narrazioni, rivolta al particolare, differente, micro-storica e comprensibile in una maniera narrativa divertita. Tempi duri per una concezione ambiziosa della storia moderna, teoricamente coerente, che privilegia il sistemico contro l'individuale, l'oggettivo contro il soggettivo, che assai spesso considera i supposti "attori" come delle mere "maschere di carattere".
Proprio nell'attuale contesto della crisi economica sociale, culturale e politica globale, che dalla crisi economica del 2008 difficilmente può essere negata, forse si presenta tuttavia ancora una volta l'opportunità di poter tener conto della totalità, e non sciogliere il tutto in differenziazioni dettagliate. Se tentiamo, per una volta nella storia contemporanea, di partire dall'ipotesi - che ora non è più completamente assurda - secondo la quale le diverse manifestazioni della crisi si trovano tutte in una connessione interna, allora non siamo troppo lontano da un approccio - che è anch'esso un tentativo - di sperimentare davvero per la prima volta le categorie della totalità del Marx "esoterico", e che riguardano davvero tutta la storia delle "società in cui domina il modo di produzione capitalista". Robert Kurz lo ha fatto con una plausibilità sempre ammirabilmente maggiore. Per concludere, facciamo riferimento alle potenzialità per lo studio della scienza della storia del suo pensiero "critico del valore", per superare le conoscenze isolate fin qui esposte.

In primo luogo, i fondamenti teorico-sociali di tale storiografia. È vero che scuole precedenti, in particolare storico-sociali, hanno delle pretese simili - dando ovviamente la preferenza all'evidente eclettismo presente nella teoria della modernizzazione, contro qualsiasi monismo che faccia riferimento a Marx - ma da allora è avvenuto a livello teorico, da un lato, nella sequenza della svolta linguistica, della nuova storia culturale, ecc., una pluralizzazione terminologico-concettuale. Entrambe le cose offrono un vantaggio. La cosa può non essere soddisfacente sul lungo periodo, soprattutto di fronte alle nuove crisi sociali e, pertanto, anche all'interno della scienza.
In secondo luogo, il decisivo "storicismo" della critica del valore dovrebbe essere attraente per gli storici. Al contrario delle scienze sociali moderne, in particolare l'economia e la sociologia. è consapevole della necessità di un approccio storico ai fenomeni sociali, assumendo che non ci si può immergere due volte nello stesso fiume, almeno nelle relazioni capitaliste moderne, poiché il capitalismo è sempre progresso, espansione (o caduta), ammasso e accumulo, in modo che non ci sono cicli, né ritorno a determinati punti. A questo si aggiunge - contro la gretta filosofia marxista della storia - che avviene una profonda rottura fra le società pre-capitaliste agrarie, religiosamente determinate, e la modernità capitalista. Ne consegue anche il fatto che solo nella modernità si sviluppa realmente e concettualmente la storicità dei fenomeni: non c'erano né "economia" né "politica", in quanto tali, pertanto, prima dell'inizio della modernizzazione.
In terzo luogo, va ricordato il potere dello sviluppo strutturale, cioè anche in senso molto più radicale rispetto a quanto avveniva nella storia sociale e strutturale precedente: la vecchia esperienza, che già irritava l'Illuminismo, secondo cui la storia non obbedisce alla volontà umana, ma esegue degli sviluppo "dietro le spalle" dei soggetti, che non vengono pianificati da nessuno e dai quali tutti rimangono sorpresi; che uno "spirito del mondo" determina dialetticamente il destino degli esseri umano (Hegel), che una "mano invisibile" del mercato (A.Smith) governa il corso del mondo e, quindi, sarebbe meglio che non venisse disturbata, in quanto noi "veniamo vissuti" [*41]. Tutto questo non spinge Kurz a tornare a riferirsi agli interessi in conflitti ed alla loro soluzione nella lotta, ma semmai al regno del "soggetto automatico" descritto da Marx, che di fatto viene creato dalle persone - involontariamente, senza pianificarlo -, assumendo la vita stessa come un feticcio che tutto costringe con la sua logica interna ineluttabile e quasi naturale.

In quarto luogo, questo approccio offre un'alternativa alle esistenti grandi narrazioni della modernità che hanno successo sotto l'etichetta di "Occidente". Secondo queste narrazioni popolari fra il pubblico, il progetto dell'Occidente è una storia di progresso lungamente combattuta, ma alla fine vittoriosa, nella quale la libertà, l'uguaglianza, la fraternità, la sovranità popolare, i diritti umani e lo Stato di Diritto prevalgono contro idee di ordinamento contrario, ed anche le contestazioni interne autoritarie, anti-illuministe ed anti-democratiche vengono a loro volta sconfitte. La storia dell'Occidente, che bisognerebbe scrivere sulla base della nuova lettura fatta da Kurz a partire dalle conclusioni di Marx, è del tutto diversa: la storia dell'imposizione della logica del valore in tutti gli spazi ed interstizi disponibili del mondo, e della graduale impasse delle forze motrici immanenti al capitale. Bisognerebbe descrivere lo sviluppo della democrazia e del diritto moderno nel quadro della totalità determinata dal valore.
In quinto luogo, una teoria di Marx trasformata nei termini della critica del valore permette di scartare alcune delle balle ereditate dal marxismo, dogmatiche ed inibenti il libero flusso del pensiero, ed aprire un approccio alla storia di fatto ispirata dallo spirito universale di Marx, ma non dogmatica. Il ritorno dell'analisi delle relazioni di classe e della lotta di classe, infruttuosa e assai spesso dottrinalmente violenta, il focus unilaterale sulla disuguaglianza sociale [*42], la storiografia del marxismo basata su questo e molte volte altamente politicista riferita al partito in termini convenzionali verrebbero, in ogni caso, esclusi in una storiografia orientata al Marx "esoterico".
E infine, in sesto luogo, con la lettura di Marx fatta da Kurz può essere scritta la storia globale. Già il giovane Marx non aveva alcun dubbio sul fatto che il capitale - da intendersi come valore astratto che valorizza sé stesso e non sociologisticamente come classe capitalista con interessi materiali - nei suoi processi non si ferma davanti ai limiti interni sociali o psichici, né di fronte ai limiti esterni, geografici; e che nella modernità questo processo rappresenta il potere storico decisamente offensivo, che in ultima analisi non può essere contenuto per mezzo di particolari tradizioni. Pertanto, la storia è, nella modernità a priori, storia universale: in quanto storia del mercato mondiale e della società mondiale - in nessun modo crescita armoniosa tutt'insieme. Una storia globale, che a ragione si oppone alla narrazione orientata secondo "L'occidente e il resto" [*43] non dovrebbe respingere tutte le grandi esposizioni teoricamente fondate. La storia del valore che valorizza sé stesso su scala globale, del soggetto automatico che butta nella spazzatura tutti i limiti naturali e politici, offre allo stesso tempo, con i suoi deficit, un'alternativa alla teoria del sistema-mondo di ispirazione marxista di Immanuel Wallerstein, non da ultimo la sua mancanza di comprensione del contesto categoriale fondamentale del capitalismo [*44].
Una scienza della storia che sia ricettiva in termini di critica sociale e in termini teorici, può trovare nelle opere di Robert Kurz una molteplicità di suggerimenti. Dovrebbe approfittare dell'offerta.

- Klaus Kempter - pubblicato su Exit!

fonte: EXIT!

NOTE:

[*1] - Si vedano, ad esempio, i testi della collettanea di  Rahel Jaeggi/Daniel Loick (Hg.), Nach Marx. Philosophie, Kritik, Praxis [Depois de Marx. Filosofia, crítica, práxis], Berlin 2013, il libro dei sociologhi di Jena, Klaus Dörre/Stephan Lessenich/Hartmut Rosa, Soziologie – Kapitalismus – Kritik. Eine Debatte [Sociologia – Capitalismo – Crítica. Um debate], Frankfurt a. M. 2009, o le opere di David Harvey e Mike Davis.

[*2] - come esempio di una letteratura in crescendo: Terry Eagleton, Why Marx was right, New Haven – London 2011; Fritz Reheis, Wo Marx Recht hat, Darmstadt 2012. Una più recente estesa biografia di Marx, al contrario, si colloca totalmente nel XIX secolo e rifiuta esplicitamente i riferimenti attuali:  Jonathan Sperber, Karl Marx. Sein Leben und sein Jahrhundert, München 2013.

[*3] - Vedi anche Benjamin Kunkel, Utopie oder Untergang. Ein Wegweiser für die gegenwärtige Krise, Berlin 2014.

[*4] - Comité invisible, L’insurrection qui vient, Paris 2007; Nick Srnicek/Alex Williams,  http://criticallegalthinking.com/2013/05/14/accelerate-manifesto-for-an-accelerationist-politics/

[*5] -  Karl Marx, Das Kapital. Kritik der Politischen Ökonomie, Bd. 1

[*6] - Si tratta qui, in un certo qual modo, del ritorno "del marxismo a Marx", di una lettura più ambiziosa, annunciata da Matthias Middell, Marxistische Geschichtswissenschaft, in Joachim Eibach/Günther Lottes (Hg.), Kompass der Geschichtswissenschaft. Ein Handbuch, Göttingen 22006, p. 69-82

[*7] - Robert Kurz, Die Krise des Tauschwerts. Produktivkraft Wissenschaft, produktive Arbeit und kapitalistische Reproduktion in: Marxistische Kritik, Nr. 1 (1986), p. 7-48.

[*8] -  Marxism and the Critique of Value, hg. v. Neil Larsen et al., Chicago - Alberta 2014. vedi anche: http://www.mediationsjournal.org/toc/27_1

[*9] - Robert Kurz, Blutige Vernunft. Essays zur emanzipatorischen Kritik des Kapitalismus und ihrer westlichen Werte, Bad Honnef 2004, p. 91.

[*10] - Robert Kurz, Der Kollaps der Modernisierung. Vom Zusammenbruch des Kasernensozialismus zur Krise der Weltökonomie, Frankfurt a. M. 1991.

[*11] - Vedi ad esempio, Robert Kurz, Sozialistisches Ziel und neue Arbeiterbewegung. Zur Kritik der sowjetischen Produktionsweise, in: Gemeinsame Beilage, Jg. 1, 30.11.1984, p. 5-7

[*12] - Francis Fukuyama, The End of History and the Last Man, New York 1992.

[*13] - Karl Marx, Grundrisse der Kritik der Politischen Ökonomie (Rohentwurf 1857-1858), Berlin (Ost) 1974, S. 593.

[*14] - Una più recente teoria del collasso, discussa seriamente in ambito accademico, diversamente da quella di Robert Kurz, proviene da  Wolfgang Streeck (How Will Capitalism End?, in: New Left Review, May/June 87/2014, S. 35-64) e si basa essenzialmente sulla connessione di gravi fenomeni di crisi isolati e sulla loro estrapolazione nel futuro.

[*15] - Nel libro: Kurz, Honeckers Rache. Zur politischen Ökonomie des wiedervereinigten Deutschlands, Berlin 1991

[*16] - Prima edizione Frankfurt a. M. 1999, qui citato nella sua edizione estesa del 2009.

[*17] - Kurz, Blutige Vernunft, p. 111.

[*18] - Marx, Das Kapital, Bd. 1, Kap. 24: Die sogenannte ursprüngliche Akkumulation; Michel Foucault, Überwachen und Strafen. Die Geburt des Gefängnisses.

[*19] -  Friedrich Engels, Umrisse zu einer Kritik der Nationalökonomie

[*20] - Kurz, Schwarzbuch Kapitalismus

[*21] - Ivi, p. 174

[*22] - Marx/Engels, Werke, Bd. 23, p. 58.

[*23] - In dettaglio su questo: Robert Kurz, Marx lesen. Die wichtigsten Texte von Karl Marx für das 21. Jahrhundert, Frankfurt a. M. 22007, S. 13-48.

[*24] -  Kurz, Schwarzbuch Kapitalismus, p. 174-187.

[*25] - Si veda un testo più vecchio della fase di transizione di Kurx dall'attivismo politico all'esistenza teorica: Robert Kurz, Auf der Suche nach dem verlorenen sozialistischen Ziel. Manifest für die Erneuerung revolutionärer Theorie, Erlangen 1988, p. 23.

[*26] - Kurz, Schwarzbuch Kapitalismus, S. 293.

[*27] - Robert Kurz, Die antideutsche Ideologie. Vom Antifaschismus zum Krisenimperialismus: Kritik des neuesten linksdeutschen Sektenwesens in seinen theoretischen Propheten, Münster 2003, 86. Kurz, in questa diagnosi, si riferiva al sociologo liberale Ralf Dahrendorf, Gesellschaft und Demokratie in Deutschland, München 1965.

[*28] - Kurz, Schwarzbuch Kapitalismus, p. 508.

[*29] - Moishe Postone, Antisemitismus und Nationalsozialismus, Deutschland, die Linke und der Nationalsozialismus. Politische Interventionen, Freiburg i. Br. 2005, p. 165-194.

[*30] - Kurz cita qui, concordando, Enzo Traverso, Moderne und Gewalt. Eine europäische Genealogie des Nazi-Terrors, Köln 2003, p. 155.

[*31] -  Kurz, Schwarzbuch Kapitalismus, p. 498-516.

[*32] -  Saul Friedländer, Den Holocaust beschreiben. Auf dem Weg zu einer integrierten Geschichte, Göttingen 2007, p. 96ss.

[*33] - Si veda ad esempio: Tony Judt, Dem Land geht es schlecht. Ein Traktat über unsere Unzufriedenheit, München 2011.

[*34] - Robert Kurz, Das Weltkapital. Globalisierung und innere Schranken des modernen warenproduzierenden Systems, Berlin 2005.

[*35] - Robert Kurz, Weltordnungskrieg. Das Ende der Souveränität und die Wandlungen des Imperialismus im Zeitalter der Globalisierung, Bad Honnef 2003.

[*36] - Kurz, Geld ohne Wert. Grundrisse zu einer Transformation der Kritik der politischen Ökonomie, Bad Honnef 2012.

[*37] -  Karl Polanyi, The Great Transformation.

[*38] - Marx/Engels, Werke, Bd. 23, Das Kapital, p. 788.

[*39] - Su quanto segue, vedi:  Kurz, Geld ohne Wert, Kap. 6.

[*40] - Roswitha Scholz, Das Geschlecht des Kapitalismus. Feministische Theorien und die postmoderne Metamorphose des Kapitals, Bad Honnef 2000; ; Der Wert ist der Mann, in: Krisis. Beiträge zur Kritik der Warengesellschaft 12 (1992), p. 19-52, Kurz, Geld ohne Wert, p. 132-134; Geschlechtsfetischismus. Anmerkungen zur Logik von Männlichkeit und Weiblichkeit,  in: Krisis 12, p. 117-169.

[*41] -  Heinz Dieter Kittsteiner, Wir werden gelebt. Formprobleme der Moderne

[*42] - Che il capitalismo produca disuguaglianza, del resto non viene contestato dalla critica della dissociazione-valore, ma essa può spiegarlo. Si veda, ad esempio: Roswitha Scholz, Überflüssig sein und „Mittelschichtsangst“, EXIT!, Krise und Kritik der Warengesellschaft 5, p. 58-104.

[*43] - Si veda, ad esempio: Niall Ferguson, Civilization. The West and the Rest, London 2011.

[*44] - Vedi: Cornelius Torp, Die Weltsystemtheorie Immanuel Wallersteins. Eine kritische Analyse, in: Jahrbuch für Wirtschaftsgeschichte 1998/1, p. 217-241, aqui p.. 231ss.

1 commento:

Unknown ha detto...

Questo Kurz mi piace davvero!