martedì 18 aprile 2017

critica del tempo

wells

Un inventore mette a punto una macchina del tempo con la quale riesce a raggiungere l'anno 802 701. Vi trova un mondo diviso in due razze umane: gli Eloj, creature delicate e pacifiche che conducono una vita di svaghi, e i Morlock, esseri pallidi e ripugnanti che vivono nei sotterranei. Dopo angoscianti avventure, riuscirà ad andare ancora più lontano nel tempo, vedrà una Terra senza più tracce di uomini, abitata soltanto da crostacei con «occhi maligni» e «bocche bramose di cibo». Fantascienza, critica sociale, romanzo distopico: il capolavoro di Wells è soprattutto l'opera di un grande visionario. Michele Mari, nel ritradurlo, ha trovato pane per i suoi denti: il fantastico, l'avventura, l'horror vampiresco, lo sguardo cosmico sugli affanni del mondo. L'incontro tra lo scrittore-traduttore e uno dei suoi romanzi preferiti era destinato a produrre scintille...

(dal risvolto di copertina di Herbert G. Wells: La macchina del tempo, traduzione di Michele Mari, Einaudi pp. 126, euro 17)

«La Macchina del Tempo è del 1895, l'edizione definitiva dell'Uomo delinquente di Lombroso è del 1897: a Darwin, rapidamente divulgato, era già subentrato il darwinismo, tanto che Wells, che pure aveva fatto un discreto tirocinio prima come studente e poi come docente di biologia, arriva a concepire la regressione per una via tutta formale: se dalla scimmia è derivato l'uomo, si chiede, perché non immaginare un'ulteriore evoluzione non in avanti ma all'indietro? Perché escludere «l'idea opposta», cioè una «regressione zoologica»? Per questa via Wells giunse a ipotizzare la totale estinzione del genere umano, come inscenato appunto nella parte finale (la cosiddetta «visione ulteriore») della Macchina del Tempo. Dipendendo dal raffreddamento del Sole, la visione finale – un mondo senza esseri umani né mammiferi – ha comunque una sua pace; la cupezza della profezia wellsiana è invece tutta nel complementare destino dei ricchi e dei poveri rispettivamente come vegetali e come bruti, secondo la logica di un dissidio tutto interno all'evoluzionismo: da una parte Huxley e Wells, dall'altra un evoluzionista della prim'ora come Herbert Spencer, convinto che l'uomo avrebbe indefinitamente migliorato se stesso.» 

 (Dalla prefazione di Michele Mari)

Il futuro rovesciato di un’umanità incapace di vivere
- di Benedetto Vecchi -

La macchina del tempo dello scrittore inglese Herbert G. Wells mantiene intatto il suo fascino e la sua potenza evocatrice non del futuro che verrà ma di un presente mai troppo indagato da scrittori contemporanei. Viene ora riproposta da Einaudi in una nuova traduzione di Michele Mari (pp. 126, euro 17) dopo un’assenza di molti anni. Scritto alla fine dell’Ottocento, il romanzo rappresenta il primo tentativo di fare i conti con le conseguenze della Rivoluzione industriale, l’aumento di produttività introdotto nelle prime industrie che aveva portato alla sostituzione del lavoro umano con telai e macchine a vapore.
Assieme alla Guerra dei mondi ha avuto più di una traduzione cinematografica: pellicole sempre accompagnate da successo. Wells scrive i due romanzi alla fine dell’Ottocento; è uno scrittore dalle idee socialiste, anche se a differenza di molti altri socialisti utipistici europei non spera in una palingenetica sovversione sociale, bensì in una pragmatica e graduale politica a sostegno dei poveri, degli esclusi della rivoluzione industriale. Il suo sarà infatti un socialismo umanitario e paternalista. Rispetto la sua attività di scrittore, fu considerato poco più che un artigiano della penna, capace tutt’al più di intrattenere un pubblico popolare desideroso solo di evasione.
Nell'Inghilterra vittoriana, la narrativa di Wells fu dunque relegata ai margini della grande letteratura. Il suo destino sarà eguale a quello di tanti altri autori di fantascienza: successo di pubblico, ma ostilità da parte dei custodi delle belle lettere. Sarà così per quasi tutto il Novecento, fino ai gloriosi anni Sessanta quando una generazione di scrittori comincerà a rivendicare a questo genere narrativo la capacità di fare grande letteratura. Da quel momento in poi, la fantascienza radicalizzò la sua tensione sociale, fino a ribadire, con il cyberpunk e lo steampunk, la sua natura politica oppositiva allo status quo.
La macchina del tempo di Wells è da collocare in un contesto dove il Regno Unito era un impero economico e militare che esercitava quasi indisturbato il suo potere nel mondo. Eppure era stato scosso nelle sue fondamenta dalle rivolte dei luddisti e dalla formazione politica del movimento operaio, che faceva leva sulle consuetudini sociali e sui diritti naturali sanciti dalla common law.
È l’intreccio tra il ruolo di superpotenza e la natura di classe della società inglese che Wells affronta nella Guerra dei mondi e, appunto, nella Macchina del tempo. Nel primo romanzo, ipotizza l’invasione dell’Inghilterra da parte di alieni che vogliono distruggere con il Regno Unito l’intera civiltà umana, nel secondo concentra la sua attenzione sulle illusioni della società inglese, in un presente di abbondanza grazie al ruolo progressivo della scienza che, oltre a favorire il benessere, può sconfiggere anche il tempo, consentendo viaggi tra passato e futuro, in maniera tale da correggere lo sviluppo storico. Tema questo che ha fatto diventare il romanzo di Wells un vero e proprio classico del genere.
La storia raccontata vede un ricco borghese fantasticare sulla possibilità di costruire una macchina del tempo. Riuscirà nel suo progetto e scorrazzerà tra passato e futuro. Ma se il passato è un moloch, il futuro è l’ignoto da svelare per correggere il presente.
È su questo aspetto che il romanzo dà il meglio di se. Il futuro che Wells immagina è un mondo dove non c’è necessità di lavorare: la popolazione degli Eloj trascorre infatti le sue giornate senza quello stigma. Ma invece di incarnare l’uomo nuovo che la mattina è pescatore e la sera scrittore o pittore, ognuno è una entità vivente incapace di sviluppare pensieri profondi.
Per mangiare e vestirsi tutti attendono che qualcuno lasci cibo. Alla soddisfazione dei bisogni ci pensano infatti i Morlock, popolo mostruoso che vive sottoterra perché è lì che sono state collocate le industrie, i falanstieri. I Morlock consentono agli Eloj di svolgere la loro vita in cambio però di tributi di carne umana e corpi di donne.
Storia avvincente, certo, ma con uno spessore politico e sociale poco indagato.
Il romanzo di Wells è infatti il primo libro di successo che vede nelle macchine lo strumento di una fallace liberazione dalla necessità, alimentando una asimmetria di potere tra chi organizza la produzione e il popolo consumatore, ridotto a un agglomerato umano senza anima e passioni.
I Morlock sono i depositari dell’etica del lavoro elevato a dispositivo per legittimare rapporti sociali dove gli Eloj sono ridotti a carne da macello, scarti umani da consumare per riprodurre la stirpe dei Morlock. Il socialista umanista si arrende di fronte a ciò e si ritrae inorridito di fronte alle macchine, anche se queste consentono di viaggiare nel tempo.
Un romanzo dal forte connotato di denuncia sugli orrori della Rivoluzione industriale. Che trova una inaspettata attualità in un mondo dove l’automazione riduce uomini e donne a materia prima della produzione di ricchezza.
Difficile immaginare una via di uscita con il ritorno di un’addomesticata etica del lavoro. Difficile non immaginare un mondo dove la liberazione dalla necessità non coincida con l’organizzazione di una società dove il lavoro non venga ridotto a attività, mandando così in pezzi il regime del lavoro salariato. Ma per questo non serve una macchina del tempo, ma solo una rivoluzione.

di Benedetto Vecchi - pubblicato sul Manifesto del 4/4/2017 -

Nessun commento: