martedì 20 dicembre 2016

I cattivi. E i buoni?

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La perfidia del capitale finanziario
- di Robert Kurz -

Quando il teorico socialdemocratico Rudolf Hilferding pubblicò nel 1910 la sua principale opera, Il Capitale Finanziario, egli stesso non era cosciente della perfidia di questo termine. Per lui non si trattava di una critica ideologica, ma solamente di un'analisi del processo capitalista di riproduzione sotto delle (a quel tempo) nuove circostanze. Al centro della sua indagine si trovava il ruolo del cosiddetto capitale che rende interessi, ovvero la "sovrastruttura del credito" (Marx). Com'è noto, accanto al capitale industriale e commerciale esiste il capitale creditizio (descritto da Marx in particolare nel 3° Libro del Capitale).
Tutto il capitale è in primo luogo capitale denaro, ossia, denaro non speso nel consumo, ma "investito" in forma capitalistica. La forma di questi investimenti è tuttavia differente. Il capitale industriale e commerciale (anche nelle imprese di servizi) viene investito in forza lavoro, edifici, macchinari, ecc. affinché si valorizzi attraverso la produzione o la distribuzione di merci. L'utilizzo della forza lavoro aggiunge plusvalore al capitale denaro originario, e questo plusvalore viene realizzato per mezzo della vendita dei prodotti sul mercato. Il capitale creditizio è, da parte sua, capitale denaro che non si valorizza per mezzo della produzione di merci, ma che viene prestato al "prezzo" di interesse.
In realtà si tratta solo di una forma derivata di plusvalore, in quanto gli interessi (e naturalmente, il rimborso) del capitale denaro prestato può essere ricevuto solo se la domanda che richiede il credito, generalmente un capitale industriale o commerciale, utilizza questo denaro nella produzione capitalistica materiale di merci e se queste si realizzano sul mercato. Ciò significa solamente che il capitale produttivo deve condividere il "bottino", ossia il plusvalore, con il capitale del credito, o capitale che rende interessi. Il plusvalore viene diviso in profitto dell'imprenditore e in interessi, per cui alla fine l'interesse non è nient'altro che una parte che viene sottratta al profitto dell'imprenditore.

Il concetto di capitale finanziario
Uno dei risultati della ricerca di Hilferding è che ora il ruolo del capitale di credito nel corso dello sviluppo capitalista aumenta sempre più. Ciò può essere spiegato dal fatto che, con la scientifizzazione e la tecnicizzazione progressiva della produzione, i costi preliminari necessari, sotto forma di ricerca, sviluppo, macchinari, ecc., diventano sempre più elevati, ossia, un posto di lavoro redditizio diventa sempre più caro per il capitale. Questo porta a che, da un lato, il capitale individuale venga sempre più sostituito dalle società anonime; paradigmaticamente, nel 19° secolo questo avviene con la costruzione delle ferrovie. Molti azionisti utilizzano unitamente il loro denaro, di modo che i costi preliminari possano essere pagati; ma non si tratta di meri azionisti, in quanto la direzione reale dell'impresa viene assunta da una gestione contrattata. Inoltre, queste grandi società, sulla base della loro solvibilità, possono anche ottenere quantità di credito sostanzialmente maggiori rispetto ai capitali individuali, ed in tal modo aumentano conseguentemente la forza produttiva.
Il capitale di credito, che non consiste nella parte di capitale denaro messo da parte per non essere utilizzato come capitale produttivo, ma nell'economia di tutta la società, si concentra tuttavia nel sistema bancario. Naturalmente, con la crescente importanza del credito cresce anche l'importanza delle banche. Nella stessa misura in cui il capitale produttivo (cioè, quello che estrae realmente plusvalore) si socializza sempre più attraverso le azioni e diventa dipendente dal credito, le banche perdono il loro precedente ruolo passivo di fornitori di denaro e partecipano attivamente alla direzione del capitale produttivo, sia come proprietari di capitale in azioni, che come controllori del credito massicciamente concesso.
Il capitale denaro amministrato dalle banche assume così un doppio carattere: per i proprietari dei depositi bancari, ecc. "si mantiene nella forma del denaro, che viene utilizzato come capitale denaro che rende interessi" (Hilferding, Il capitale finanziario). Tuttavia, dal momento che gli investimenti bancari non vengono amministrati passivamente, ma si applicano realmente alla sfera della produzione sotto il controllo delle banche, di fatto "la maggior parte... del capitale investito dalle banche viene trasformato in capitale industriale, produttivo... fissato nel processo di produzione" (Hilferding, ivi). È "capitale corrente nelle banche e in uso nell'industria" (ivi). Hilferding chiama capitale finanziario questo capitale bancario che ha il duplice carattere di capitale che rende interesse (per i depositanti) e di capitale produttivo (sotto il controllo delle banche).

Preconcetti popolari, mistificazioni piccolo-borghesi ed antisemitismo
Con la crescente importanza del credito e delle banche, nasce una specifica piccolo-borghese "critica del capitalismo", che si concentra di per sé sul capitale-denaro che rende interessi e può così portare avanti un'avversione molto più antica contro la "imposizione di interessi" che si trova radicata nella maggioranza delle grandi religioni (nel cristianesimo, così come nell'ebraismo e nell'islam). Marx ha osservato che nel "pregiudizio popolare" il capitale che rende interessi viene considerato come il capitale reale, in quanto apparentemente gli è inerente la qualità mistica di creare più denaro a partire dal denaro (in economia politica ogni ricavo regolare viene considerato anche come un "interesse" del capitale denaro, di modo che in linea di principio non viene fatta distinzione fra i diversi tipi di rendimento e di forme del capitale). In quella pretesa espressione "critica" il capitalismo appare come una semplice organizzazione di usurai prestatori di denari, che sfruttano quella parte di umanità che produce.
Se il capitale che rende interessi non fosse altro che questo, come pensava più o meno Proudhon, allora non ci sarebbe capitalismo. Basterebbe introdurre un "denaro-lavoro" non mutuabile e che non possa dare interessi. Anche in seguito e fino ad oggi, la ripetuta utopia del denaro di Silvio Gesell si pone sulla medesima linea: Gesell voleva introdurre una "valuta riducibile", che perde costantemente valore, nel caso non venga spesa in un tempo prestabilito in mezzi di produzione o in consumo. In tal modo si impedirebbe la tesorizzazione del denaro e la sua trasformazione in capitale che rende interessi.

Questa ideologia mette a testa in giù le circostanze reali. Il capitale che rende interessi non è capitale autentico, ma solamente una sottofunzione secondaria, derivata dal capitale. Già nell'antichità, avvenivano occasionalmente prestiti di denaro e crisi del debito, ma solo ai margini di una riproduzione agraria che non era in alcun modo basata sostanzialmente sul denaro. Il moderno modo capitalista di produzione non è nato dal capitale che rende interessi, ma dalla fame di denaro della macchina militare proto-moderna ("l'economia politica delle armi da fuoco") che, con l'obiettivo di finanziare la produzione di cannoni, l'organizzazione degli eserciti, ecc., ha monetarizzato i tributi feudali, e attraverso la violenza della colonizzazione interna ed esterna (piantagioni basate sul lavoro degli schiavi, centri di detenzione e di lavoro, manifatture nazionali, ecc.) ha trasformato la popolazione in "materiale" del "lavoro astratto" (Marx) per la valorizzazione del denaro. La logica di questa macchina "produttiva" di denaro, emancipata alla fine dal suo obiettivo originale, era quella di "privatizzarsi" e trasformarsi nel contesto sistemico così come lo conosciamo e lo interiorizziamo oggi.
Il sistema di valorizzazione del denaro contiene l'imperativo della crescita incessante. Il fine in sé originale (sempre più denaro per la macchina insaziabile della "rivoluzione militare" proto-moderna) si è trasformato nell'auto-finalità sistemica astratta di fare sempre più denaro dal denaro, attraverso il processo di valorizzazione economica imprenditoriale. La riproduzione fisica e culturale della società è soltanto un'appendice di tale processo del fine in sé stesso. La quantità delle merci (che, essendo indifferente il contenuto, diventano sempre più distruttive, e la produzione originale di cannoni era già un punto di partenza distruttivo) deve crescere sempre più; non secondo le necessità, ma solo nella misura in cui "rappresenta" l'auto-finalità della valorizzazione del denaro.
Di conseguenza, dato che ciascun stato di avanzamento della produzione capitalista ha costituito soltanto un punto di partenza per una crescita addizionale, la riproduzione capitalista su scala costantemente aumentata deve muovere una massa totale sempre maggiore. Ad esempio, essendo sufficiente ad un livello ancora relativamente basso la produzione di, diciamo, mille frigoriferi (o qualsiasi altra merce), per ottenere una crescita dell'1%, ad un punto di partenza più elevato, per raggiungere la stessa crescita percentuale sarà allora necessaria la produzione di diecimila, centomila, un milione di frigoriferi.

Quel che si applica all'insieme della società appare anche sul piano dell'economia imprenditoriale, come il fatto che i crescenti costi preliminari possono essere coperti sempre meno con i profitti ottenuti, senza fare sempre più ricorso al denaro risparmiato. Pertanto non si tratta del fatto che il capitale che rende interessi arriva da fuori come un vampiro a succhiare puramente e semplicemente la base produttiva ma, esattamente al contrario, senza il sistema del credito la produzione capitalista sempre crescente si fermerebbe.
Questa costellazione sembra invertire la prospettiva di una produzione di nicchia piccolo-borghese, che cerca di mantenersi sul mercato totale (che rappresenta solamente la sfera della realizzazione del capitale, in cui il plusvalore deve riconvertirsi nella forma del denaro). Nel 19° secolo esisteva ancora una piccola borghesia classica di provenienza artigianale, che sarebbe stata progressivamente spazzata via dalle grandi imprese capitaliste; ma sono sempre rimaste forme di piccola produzione secondaria di nicchia, ed altre ne sono sorte (servizi di ogni specie, di gastronomia, ivi inclusi i negozi che vendono cibo per cani, piccole imprese di software...).
Le piccole imprese hanno normalmente così tanto poco capitale che in generale per poter produrre devono indebitarsi sul larga scala. Dopo il pagamento degli interessi e degli ammortamenti rimane ben poco per il loro profitto. In una situazione del genere è facile che si stabilisca la sensazione per cui ormai "si lavora solo per le banche". Si dimentica che non si sarebbe potuto cominciare senza le banche o che si sarebbe stati rapidamente sopraffatti sul mercato. L'idea secondo la quale senza il "vampiresco" capitale che rende interessi si potrebbe avere in breve la prosperità del "lavoro produttivo" onesto, è pura ideologia basata sulla mentalità della piccola impresa. Non è per caso che le utopie piccolo-borghesi alla moda del denaro di Proudhon o di Gesell considerano solo le imprese artigianali familiare, la piccola produzione secondaria di servizi, ecc., mentre la grande produzione socializzata capitalisticamente ed i suoi aggregati infrastrutturali rimangono fuori dall'orizzonte di questo anticapitalismo ridotto e pieno di risentimento.
Quest'ideologia rivolta soltanto contro il capitale che rende interessi, anziché contro il modo di produzione capitalista, è stata fin dall'inizio attraversata dal moderno antisemitismo. L'antigiudaismo motivato religiosamente fin dal cosiddetto Medioevo cristiano si è trasformato, con l'avvento della riproduzione socializzata attraverso la monetarizzazione, nella proto-moderna "economia politica delle armi da fuoco" e nell'origine del moderno sistema produttore di merci. Sebbene la proibizione degli interessi esistesse anche nella religione ebraica, nel Medioevo gli ebrei vennero costretti ad esercitare attività nella sfera (marginale) della circolazione, in certi casi anche come prestatori di denaro, a causa della moralistica esclusione dagli uffici legati alla produzione. Hanno sofferto pertanto una doppia discriminazione, in quanto sono stati anche demonizzati come sfruttatori ed usurai, a causa di questo modo di vita cui si sono visti costretti.
Nella prima tremenda ondata di monetarizzazione storica (cioè, dell'installazione del principio di valorizzazione), tale assegnazione poté essere strumentalizzata a vantaggio della costituzione ideologica. Lutero non è stato solamente un propagandista dei massacri dei contadini, ma ha anche creato l'antisemitismo moderno, con un espresso riferimento al capitale che rende interessi. La filosofia illuminista, come erede del protestantesimo, alla sua base ha adottato in una certa misura anche il sentimento antisemita. Con l'aiuto delle teorie pseudo-scientifiche del razzismo, nacque una irrazionale "teoria del capitalismo" che ebbe un'ampia diffusione fra l'intellighenzia del 19° secolo; la maggior parte dei socialisti utopici dell''inizio di quel secolo, e più tardi persone come Proudhon (e anche Bakunin) erano apertamente antisemiti. E questa sindrome antisemita legata alla falsa riduzione del concetto di capitale a capitale che rende interessi ha affondato le sue radici sociali soprattutto proprio negli strati piccolo-borghesi dell'epoca. In questo contesto, sono stati creati e condensati i cliché antisemiti che continuano a venire attuati fino ad oggi: anonimato del mercato mondiale come "cospirazione ebraica", dominio occulto della società, dei media, ecc. attraverso dei "colossi finanziari ebraici"  ("Rothschild"), indebolimento del sentimento nazionale da parte della "intellighenzia ebraica senza radici", ecc..

Il capitale finanziario ed il marxismo tradizionale
Marx ha criticato spietatamente la "teoria del capitalismo" ridotta e ha messo in ridicolo Proudhon. Il movimento operaio marxista ha preso chiaramente le distanze dall'ideologia piccolo-borghese e dalla sua malversazione del concetto di capitale. L'oggetto della critica era il capitale produttivo socialmente concentrato ad alto livello, e pertanto il modo di produzione capitalista in quanto tale. E ciò sulla base dell'esperienza degli operai di fabbrica, che comprendevano perfettamente che la logica capitalista, che dovevano sopportare nel corso delle loro vite, era quella del processo produttivo di valorizzazione e non quella di un vampiresco potere esterno del capitale che rende interessi.
In ogni caso anche la critica del capitalismo da parte del marxismo del movimento operaio è rimasta ridotta, sebbene in un modo diverso da quello della piccola-borghesia. Contrariamente a quello che era il cuore della teoria marxiana, le forme sociali del principio di valorizzazione (lavoro astratto, forma del valore, "economia imprenditoriale", forma del denaro come forma generale della riproduzione, mediazione del mercato, regolazione statale, ecc.) venivano comprese come fondamenti ontologici sovra-storici della socializzazione, e non come cose da superare. La critica non era realmente diretta contro la logica del fine in sé stesso del sistema ormai interiorizzato nelle sue forme, ma (sotto questo aspetto, molto alla maniera della critica piccolo-borghese) contro il gruppo sociologicamente determinato ("classe") dei beneficiari e dei rappresentanti. Non era il capitale, in quanto forma di riproduzione "oggettivata", ma i capitalisti, in quanto portatori della volontà sociale di sfruttamento soggettivamente intesa, che apparivano essere il male. Ma, contrariamente all'ideologia piccolo-borghese, sono gli stessi padroni delle fabbriche del capitale produttivo ad essere considerati
come tali, essendo i padroni del capitale che rende interessi soltanto una frazione periferica della "classe capitalista".

Quello che il movimento operaio chiamava socialismo in realtà era solo un'idea di "capitalismo organizzato" senza capitalisti, che erano considerati i proprietari giuridici del capitale produttivo. Gli operai di fabbrica da un lato aspiravano al riconoscimento giuridico, come soggetti integrali e autonomi del processo di valorizzazione (diritto di voto, diritto di sindacalizzazione, diritto al lavoro, status di impresa, ecc.); mentre, dall'altro lato il "plusvalore ottenuto" doveva essere distribuito secondo giustizia fra i lavoratori (secondo Lassalle), oppure secondo giustizia amministrata dai rappresentanti della "classe operaia" arrivati al potere dello Stato (secondo i marxisti del movimento operaio). Si trattava proprio di quello che Marx aveva sempre definito "illusione giuridica", ossia, il concetto ideologico per cui la logica della valorizzazione del capitale, ontologizzata e intatta in quanto tale, nel suo contesto di forma e nel suo carattere distruttivo del fine in sé, poteva essere trasformata in una società diversa, in qualche modo ridefinita come amica dell'umanità, attraverso una semplice mutazione delle relazioni giuridiche di proprietà e delle relazioni politiche di potere a favore dei lavoratori.

Alla falsa ontologia del marxismo del movimento operaio appartiene anche la pretesa astrazione naturale del "lavoro", vale a dire il "lavoro astratto", secondo Marx la sostanza del capitale. Ma la conseguente etica "protestante" del lavoro del marxismo tradizionale si differenzia ancora una volta dall'etica paternalistica dei piccoli-borghesi, imprese familiari, locandieri, artigiani, piccoli commercianti, ecc.. Si trattava di un un'etica del lavoro più "oggettivata" e astratta, nel contesto delle grandi strutture e processi funzionali scientificizzati molto più aggregati. Di certo era conseguenza dell'impulso primario contro "i redditi non provenienti dal lavoro" ("non c'è posto per gli oziosi"), così come proveniva dai piccolo-borghesi; ma era diretto anche contro i proprietari giuridici dei mezzi di produzione oggettivamente socializzati, anziché solamente contro gli "squali del denaro" del capital che rende interessi, ed in tale contesto in un rapporto completamente diverso con il ruolo crescente del credito.
Di certo, anche Engels fece coro con il proprio tempo, nel Anti-Duhring, con il falso attacco a "quelli che ritagliavano i buoni sconto" del capitale per azioni, e nel linguaggio dell'agitazione il marxismo del movimento operaio si è unito molto volte, in maniera preoccupante, alla musica piccolo-borghese contro le banche, i magnati della finanza, ecc.; ma, in fondo, dopo tutto si trattava di un rapporto totalmente differente con il ruolo della "sovrastruttura del credito". Dall'altro lato veniva ancora attaccato il ruolo, che si pretendeva soggettivo, della proprietà giuridica; la stessa espansione del sistema creditizio in ogni caso, e contrariamente alla piccolo-borghese "teoria del capitalismo", non veniva presentata come la causa di tutti i mali, ma al contrario come funzione di progresso e di socializzazione. Invocando Marx ed appoggiandosi alla sua analisi dello sviluppo del capitale finanziario, Hilferding ha creduto di poter constatare: "Il capitale finanziario esprime la sua tendenza a stabilire un controllo sociale sulla produzione. Si tratta tuttavia di una socializzazione nella forma dell'antagonismo; il dominio sulla produzione sociale nelle mani di un'oligarchia. La lotta per espropriare questa oligarchia costituisce l'ultima fase della lotta di classe fra la borghesia ed il proletariato. La funzione socializzante del capitale finanziario facilita in maniera straordinaria il superamento del capitalismo. Allorché il capitale finanziario avrà sotto il suo controllo i principali rami della produzione, e la società presa in mano dal suo corpo cosciente di esecuzione, sarà sufficiente che lo Stato conquistato dal proletariato si impadronisca del capitale finanziario per poter disporre immediatamente dei principali rami della produzione" (Hilferding, op.cit.). Hilferding parla qui a nome del marxismo del movimento operaio nel suo insieme (anche se c'erano delle differenze per quel che atteneva al potere proletario ed al concetto di Stato). La conseguenza formale riguardo al capitale finanziario è in ogni caso diametralmente opposta a quella dei piccoli-borghesi; dal momento che l'oggetto della critica è il capitale finanziario, e non solo il capitale che rende interessi, si tratta di amplificare ulteriormente l'effetto socializzante del capitale finanziario ed affidarsi al "controllo operaio", anziché immaginare una società di piccole imprese libere dalla "schiavitù degli interessi". Ma questo programma del marxismo del movimento operaio rimaneva ancora limitato all'illusione giuridica ed all'ontologia capitalistica del sistema produttore di merci. Quanto meno, l'antisemitismo non ha potuto far carriera nel movimento operaio classico, nonostante alcuni focolai periferici in tal senso (come l'influenza temporanea dell'antisemita Duhring). Esso appariva come una tipica deviazione piccolo-borghese che in ogni caso veniva del tutto sottovalutato. Si riteneva che quella mania sarebbe evaporata insieme agli strati piccolo-borghesi nella crescente socializzazione e "proletarizzazione" nel grande capitalismo.

Lavoro, credito e crisi
Ma questa previsione ottimistica doveva però rivelarsi infondata. Hilferding, in perfetto accordo con le illusioni giuridiche del movimento operaio, considerava il problema del capitale finanziario solo rispetto alle categorie del potere di disposizione e di influenza politico-economica dei gruppi sociali ("classi", frazioni del capitale): "La dipendenza dell'industria rispetto alle banche... è conseguenza del regime di proprietà" (op.cit.). Il problema della crisi appare solo come problema di importanza subordinata. Certo, Hilferding descrive il meccanismo della sovraccumulazione facendo ricorso a Marx, ma lo fa tuttavia solo sul piano dei cicli congiunturali: sovrainvestimento durante la prosperità, emergere di sovraccapacità, ulteriormente aumentata per mezzo delle bolle finanziarie di speculazione attraverso le azioni ed il "capitale fittizio" che da questo si sviluppa (ad esempio, Hilferding designa come "profitto fondante" la crisi seguita alla rivoluzione industriale tedesca avvenuta dopo il 1871), fino a quando avviene la contrazione nella depressione, scoppia la bolla finanziaria, vengono annullate le sovraccapacità e può così cominciare un nuovo ciclo su una base allargata.
In ogni caso, Hilferding voleva vedere una tendenza all'indebolimento delle crisi, grazie alla crescente importanza del capitale finanziario. Egli affermava che il capitale finanziario, in quanto "sviluppo del potere della banche sull'industria", agiva nel senso di "rendere difficile l'emergere di crisi bancarie" (op.cit.). Allo stesso tempo, avviene che "la concentrazione crescente ha reso le imprese industriali più resistenti agli effetti della crisi o alla completa bancarotta. Tale resistenza aumenta con le forme di organizzazione delle società anonime, che simultaneamente... aumenta in maniera straordinaria l'influenza delle banche sull'industria" (op.cit.). Diminuirebbe perfino il rischio di bolle finanziarie: "Con il crescente potere delle banche, i movimenti speculativi sono sempre più controllati dalle banche stesse... con l'importanza della Borsa diminuisce ancora più velocemente il suo ruolo in quanto causa dell'aggravarsi della crisi... Le psicosi di massa, prodotte dalla speculazione all'inizio dell'era capitalista, in quei tempi felici in cui ogni speculatore pensava di essere un dio che dal niente creava un mondo, a quanto pare se ne sono andate e ormai non torneranno più" (op.cit.).

Tuttavia, questa è stata una previsione gravemente sbagliata. L'ingenua teoria di Hilferding sull'addomesticamento delle crisi attraverso una mega-socializzazione finanziario-capitalista degli agglomerati bancari e industriali, si basava naturalmente sul riduzionismo politico-giuridico del mondo secondo le idee del marxismo del movimento operaio. Si trattava soprattutto del fatto che se la "trasformazione socialista" fosse stata realizzata in maniera altamente organizzata sul piano del lavoro astratto, della forma generale del denaro, della "produzione pianificata delle merci", ecc., attraverso il controllo politico del "partito operaio" sul potere socializzante del capitale finanziario avanzato, quello di cui meno c'era bisogno era una teoria nella quale il capitale finanziario potesse apparire come sintomo di aggravamento della crisi, anziché come sintomo del suo dominio. Hilferding preferiva scambiare i suoi desideri per realtà.
Inoltre il marxismo del movimento operaio non era per niente bravo neanche nella teoria della crisi. Cosa che si spiega facilmente, se si pongono il concetto e le funzioni del capitale finanziario in relazione allo sviluppo del lavoro astratto,che è la sostanza del capitale, e si fa derivare la teoria della crisi da questa relazione. Il valore economico del prodotto, che contiene il plusvalore come fine in sé del capitale, secondo Marx non è altro che un quantum feticizzato di lavoro astratto. Tuttavia, lo sviluppo delle forze produttive ottenuto dalla pressione della concorrenza diminuisce costantemente la quantità di lavoro per prodotto. Vale a dire, ciascun prodotto rappresenta sempre meno valore, e pertanto sempre meno plusvalore (nonostante le possibili modificazioni interne nella relazione fra valore dei costi di produzione e plusvalore).
Avviene così che non solo il processo di valorizzazione deve produrre e realizzare sul mercato una massa sempre maggiore di prodotti sulla base del plusvalore già ottenuto, ma che questo problema si aggrava ulteriormente per il fatto che, dall'altra parte, una massa data di prodotti può solo rappresentare sempre meno valore, o plusvalore, da cui esclusivamente dipende in senso capitalista. Perciò basta proiettare storicamente una crescita costante su una base inalterata di valore per evidenziarne la sua impossibilità logica, come è stato ripetutamente dimostrato. Ma postulare una crescita costante con il valore dei prodotti costantemente ridotto fino ad una dose ormai solo omeopatica, è da folli. Come conseguenza ultima e assurda, avverrebbe che tutto l'universo sarebbe disseminato di merci, solo per amore del plusvalore, sebbene queste merci diventano "sempre più senza valore" dal punto di vista puramente economico.

Al di là di tutti i cicli congiunturali ha luogo un processo secolare di svalorizzazione, attraverso lo sviluppo delle forze produttive. Ne consegue che esiste una dimensione più profonda della crisi che va al di là delle semplici fluttuazioni cicliche. Dietro la sovraccumulazione ciclica si nasconde la sovraccumulazione strutturale, attraverso la quale vengono raggiunti i limiti interni oggettivi del modo di produzione. L'importanza crescente strutturale della sovrastruttura del credito finanziario è la forma con cui il sistema reagisce al processo reale di svalorizzazione che avanza passo dopo passo. Il credito su larga scala significa solo anticipo del valore o del plusvalore non ancora prodotto, che viene dislocato in un futuro sempre più distante. È la capitalizzazione delle aspettative. Questo processo culmina con bolle finanziarie sempre più avanzate, essenzialmente attraverso l'aumento speculativo del valore delle azioni (cioè, del prezzo dei semplici titoli di proprietà) e del "capitale finanziario" (Marx) ad esse associato. Il rovescio della medaglia del processo secolare di svalorizzazione è la mancanza del potere sociale di acquisto, per realizzare il valore, cioè, il plusvalore (entrambi fittizi, solo in quanto aspettative future). Di conseguenza, nel 20° secolo è cominciata la "capitalizzazione del futuro" nella forma di credito privato al consumo.
In misura sempre più crescente, investimento e consumo non vengono più finanziati per mezzo di processi reali di produzione, passati, ma attraverso processi fittizi, futuri. Tutto questo può essere prolungato, mentre la produzione reale di valore continua ad un livello sufficiente, di modo che rimanga almeno la luce accesa. In questo modo può temporaneamente sembrare che ci sia un assorbimento della crisi, nel senso di Hilferding di cui sopra, dal momento che il ciclo reale viene finanziato, in maniera finanziario-capitalistica, alla testa. Però, in una dimensione più profonda, continua a maturare un enorme peggioramento della crisi. Di colpo si spezza la fragile catena finanziario-capitalista che lega il passato al futuro. Hilferding, così come l'insieme del marxismo del movimento operaio, non poteva né voleva vedere questa relazione, in quanto una simile constatazione avrebbe scatenato una crisi di identità ideologica. Poiché il processo secolare di svalorizzazione delle merci corrisponde ad una svalorizzazione della forza lavoro e ad un rendersi obsoleto del lavoro astratto. In questo modo la sacra ontologia del lavoro viene messa in discussione in termini fondamentali, insieme alla forma del sistema produttore di merci; e questo semplicemente non poteva essere.
L'ingenua concezione di Hilferding della mediazione finanziario-capitalista delle crisi sarebbe stata messa in ridicolo in modo più crudele nei vent'anni successivi alla pubblicazione della sua opera. In flagrante contraddizione con le sue previsioni, si era formata dalla fine degli anni 1920 in poi la più grande bolla finanziaria di tutti i tempi, che diede luogo a dei fallimenti bancari senza precedenti ed alla devastante crisi economica mondiale. Ma le previsioni del marxismo tradizionale topparono anche da un altro punto di vista. Lungi dall'assopirsi poco a poco, in quest'epoca di crisi l'antisemitismo cominciò ad inondare progressivamente il mondo intero, ed in Germania divenne dottrina di Stato ai fini di un assassinio di massa. Come è stato possibile?

Funzioni del capitale, credito statale e piccola borghesia secondaria
Il processo secolare di svalorizzazione, provvisoriamente culminato nella crisi economica mondiale, aveva portato a raggruppamenti sociali anche dal punto di vista sociologico. Nella stessa misura in cui lo sviluppo delle forze produttive svuotava di sostanza del valore i prodotti, veniva anche minata la posizione sociale del "proletariato unico creatore di valore" e del relativo concetto. Non solo perché avevano avuto luogo altri momenti di creazione del valore (come è stato affermato successivamente sempre più dalle teorie del valore fino ad Habermas), ma anche perché la forma feticistica del valore diventava obsoleta insieme alla sua sostanza di lavoro, e pertanto la stessa "creazione di valore" cominciava a rivelarsi un fine in sé e senza alcun senso. Indubbiamente, su scala mondiale aumentava sempre più il proletariato industriale creatore di plusvalore e quindi aumentava la sostanza del valore, ma ora questo non avveniva nella misura necessaria alla crescita, la quale doveva essere in gran parte alimentata attraverso l'anticipo della futura sostanza del valore, per mezzo del credito e del "capitale fittizio". In un tale contesto, si ampliavano già nella prima metà del 20° secolo le categorie sociali del capitale fino ad allora marginali, che ormai non si lasciavano più inquadrare in quello che era stato fino ad allora il vigente "schema delle classi".

Nel 19° secolo, il mondo delle classi e della lotta di classe (come involucro irriflesso del sistema produttore di merci e del lavoro astratto) aveva ancora in una certa misura uno scopo: i proprietari di capitale, ed i loro funzionari, affrontavano la classe operaia creatrice di valore, ossia di plusvalore, la piccola borghesia classica con mezzi di produzione propri vagava ancora come terza categoria, ma sembrava essere già in decadenza. E lo Stato era lo "Stato di classe della borghesia" - una concezione sociologisticamente ridotta, che ovviamente si trovava molto indietro rispetto agli inizi incompiuti della teoria marxiana dello Stato, dove lo Stato era considerato una "comunità astratta": pertanto come una forma politica comune di tutti i soggetti del lavoro astratto e del valore, così come d'altronde il denaro è la forma economica comune.

La teoria sociale del marxismo del movimento operaio, tessuta in maniera così semplice, sarebbe stata esasperata nel 20° secolo. Sviluppo delle forze produttive, svalorizzazione secolare, ascesa del capitale finanziario, insieme ai processi di socializzazione a tutto questo legati, promuovono massicce categorie di attività che dipendono dal salario, che non sono (o che lo sono solo in piccola misura) creatrici di plusvalore, e che sono alimentate dal capitale finanziario.
Da un lato, le funzioni di capitale sono state sempre più socializzate nel contesto delle grandi società anonime; non solo la gestione contrattata, ma una molteplicità di funzioni che originariamente venivano esercitate propriamente dal "soggetto capitalista". Già Marx parlava di "ufficiali e sottoufficiali del capitale", ma allora si trattava ancora di funzioni di direzione e controllo, senza carattere di massa. Ora però, per mantenere l'immagine, venivano formati su grande scala anche dei "soldati semplici" delle funzioni del capitale, soprattutto negli apparati sviluppati delle grandi società anonime: formalmente dipendenti dal salario, come i "lavoratori produttivi", ma senza essere (o quasi) creatori di plusvalore, piuttosto costi generali o "faux frais" (Marx) della produzione altamente socializzata, e pertanto in linea di principio da essere finanziati per mezzo del plusvalore, ossia, da pesare sui profitti anziché contribuirvi. Una ragione in più per l'espansione del capitale finanziario e per la formazione del "capitale fittizio", che trasferisce questo costi il più possibile nel futuro.
Dall'altro lato, il grado sempre più elevato di concentrazione capitalista ha richiesto, similmente alla socializzazione delle funzioni del capitale, anche un'espansione delle funzioni dello Stato. La crescente amministrazione delle persone sotto tutti i punti di vista, ad esempio la nascita di un'amministrazione sociale e del lavoro estesa a livello nazionale, la necessità di estese infrastrutture nella forma di servizi pubblici, l'industrializzazione dell'apparato militare, ecc., non solo ha fatto aumentare sempre più la quota di Stato nel prodotto sociale sempre più scarso in termini di valore, ma ha prodotto anche in parallelo con le moltitudini di eserciti di funzionari del capitale dipendenti dal salario, identiche moltitudini di funzionari di Stato dipendenti dal salario ma anche non creatori di plusvalore. Così come il finanziamento dei primi deve essere alimentato in linea di principio dal plusvalore, anche il finanziamento degli ultimi in linea di principio deve avvenire a partire dalla copertura delle imposte (ritirate dai profitti e dai salari). Di fatto, tuttavia, lo Stato si vede costretto fin dall'inizio a finanziare il proprio apparato in espansione per mezzo dell'indebitamento, sempre attraverso il capitale finanziario, quindi attraverso l'anticipo sempre più crescente delle sue future entrate fiscali. Secondo Marx, si tratta di "capitale fittizio" di per sé, dal momento che il credito preso in carico dallo Stato non fluisce verso le imprese del capitale produttivo, ma solo verso il consumo statale improduttivo dal punto di vista capitalista.

La trasformazione delle categorie sociali nel contesto della crescente socializzazione capitalista veniva percepita perfettamente dal marxismo del movimento operaio, ad esempio nella nota polemica Bernstein alla fine del 19° secolo, quindi alcuni anni prima che apparisse l'opera di Hilferding sul capitale finanziario. Ma proprio a causa della teoria ridotta del capitalismo, il problema si presentava solo come sociologico e politico, della classe o dell'organizzazione: arrivava solo al grado di appartenenza alla classe operaia della cosiddetta "nuova classe media" nella forma di dipendenza dal salario, e venivano discusse in questo contesto le diverse concezioni politico-sociologiche di alleanza; il risultato è stato quella di un'infinita terribilmente noiosa letteratura marxista tradizionale su questo argomento.
Tuttavia, rimase del tutto irriflesso l'aspetto cruciale della teoria della crisi e le sue conseguenze per una trasformazione socialista. Così come era stato ormai nascosto il processo secolare di svalorizzazione, anche riguardo alla "nuova classe media" non si doveva parlare della fine annunciata del pathos della "creazione di valore". Nelle nuove condizioni e nel costante sviluppo in tale direzione, ormai non poteva più essere messa in discussione la "giusta" distribuzione o amministrazione socialista del "plusvalore", se col farlo si annunciavano i limiti interni del "modo di produzione basato sul valore" (Marx). Così come il "lavoratore produttivo" del proletariato classico creatore di plusvalore sul piano materiale doveva fabbricare sempre più prodotti distruttivi anziché beni utili e necessari, anche il lavoro di questa nuova classe media salario-dipendente, in gran misura improduttiva dal punto di vista capitalista, si riferiva in gran parte unicamente ed esclusivamente alla manutenzione del sistema, e le sue funzioni erano pertanto semplicemente superflue dal punto di vista di una società post-capitalista. Alla fine, il marxismo positivista del lavoro e del plusvalore era storicamente spacciato; ma i marxisti del movimento operaio si sarebbero tagliati la lingua piuttosto che ammettere tale situazione.

Altrettanto poco chiarita era rimasta anche la dimensione ideologica dei cambiamenti nella struttura sociale capitalista. Questi "nuovi strati intermedi" potevano essere descritti anche come una sorta di piccola borghesia secondaria; laddove la qualità piccolo-borghese non era nel senso di piccoli proprietari dei mezzi di produzione, ma piuttosto nel senso del classico funzionalismo pubblico, ora però in una delle forme di massificazione salario-dipendente delle funzioni del capitale e dello Stato, attraverso il processo di socializzazione negativa capitalista. Dal momento che il marxismo del movimento operaio in tutte le sue frazioni non sapeva fornire una spiegazione sufficiente né formulare un corrispondente programma di trasformazione sociale emancipatrice, e piuttosto rimaneva fissato nella sua interpretazione diventata obsoleta, gli strati sociali legati allo sviluppo del capitale finanziario si trasformarono in un blocco promotore dell'ideologia piccolo-borghese del 19° secolo modificata.
Con l'espansione del credito al consumo e delle correlate crisi individuali del debito, la motivazione del vecchio sentimento piccolo-borghese contro il capitale che rende interessi si è potuto estendere fino alla classe operaia del capitale produttivo; in ogni caso, nella prima metà del 20° secolo si trattava ancora di un fenomeno marginale. Tuttavia, la stessa motivazione si estese con maggior forza fra gli strati della piccola borghesia secondaria. C'è da notare che non si tratta più di indebitamento delle imprese a conduzione familiare, ma piuttosto di sentire vagamente come minaccia la dipendenza strutturale della propria esistenza dalla sovrastruttura socializzata del credito del capitale finanziario. In questo modo, la relativa ideologia ha portato a termine l'inversione di causa ed effetto, come nella classica ideologia piccolo-borghese del 19° secolo: il capitale che rende interessi, senza la cui espansione si sarebbero già rivelati da tempo in maniera evidente i limiti interni della socializzazione capitalista ed il carattere obsoleto della maggioranza delle funzioni del capitale e dello Stato, veniva presentato come il motivo delle sofferenze e delle crisi nella forma del capitale, e la sua attività funzionale stessa, improduttiva dal punto di vista capitalista, è stata coperta dalla medesima etica del lavoro astratto, come era avvenuto con il lavoro produttivo del proletariato industriale.

Non si poteva omettere che l'antisemitismo, sempre associato strettamente al sentimento riduzionista contro il capitale che rende interessi, abbia avuto da un lato una fioritura insospettata, anziché assopirsi progressivamente. Accanto al marxismo del movimento operaio, che già allora reagiva al processo di sviluppo capitalista in maniera impotente e regressiva, si sono ampliati i movimenti di massa "nazionalsocialisti" impregnati di antisemitismo. Quest'ideologia ha inondato la società nella crisi economica mondiale e si è impossessata anche di una gran parte della massa dei lavoratori industriali disoccupati, sradicati dal processo di produzione creatore di valore. Il fatto che il nazionalsocialismo abbia potuto prendere il potere in Germania e spingere fino all'olocausto l'ideologia antisemita, è dovuto ad una storia specificamente tedesca; ma ha costituito un fenomeno capitalista generale, il fatto che abbia ottenuto maggior efficacia sociale ridurre (ora proporzionale ai più grandi aggregati sociali) della "teoria del capitalismo" al solo capitale finanziario, con tutti i relativi sviluppi antisemiti.

- Robert Kurz - Pubblicato sulla Rivista STREIFZÜGE, Vienna, nº 3/2003. -

fonte: EXIT!

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