venerdì 1 luglio 2016

Il vivo e il morto

Sweden Soccer Ibrahimovic

Il duello del secolo
- di Jean-Claude Guillebaud  -

Curioso incrocio mediatico: a due settimane di distanza, i media ci hanno invitato ad avere un'idea ed al suo contrario. Giudicate voi. Su "le Monde" dell'8 giugno scorso, su due intere pagine, un prestigioso calciatore, lo svedese Zlatan Ibrahimovic, faceva un elogio talmente vibrante del neoliberismo e del "mercato globale" che il nostro collega Nicolas Beytout, al settimo cielo, gridava al genio. Ora, due settimane prima, il 26 maggio, in un articolo assai acclamato, tre economisti si erano lasciati andare ad un critica in piena regola di quello stesso neoliberismo, e questo lo avevano fatto sull'organo ufficiale del Fondo Monetario Internazionale, la rivista "Finance & Development".Hai visto mai! Titolo della loro filippica: "Il neoliberismo è sopravvalutato?" In questo testo caustico, i tre bestemmiatori non esitavano affatto a denunciare gli effetti catastrofici di certe politiche a lungo sostenute dal FMI: apertura dei mercati del capitale, austerità e privatizzazione ad oltranza. Questo scontro evidenzia una prodigiosa confusione di idee.

Diciamo che si trovano "col culo al di sopra della testa". Riflettendoci sopra, la cosa non è sorprendente. Oggi giorno ci troviamo a fare i conti con una stranezza ideologica così stupefacente che ci ripugna guardarla in faccia. Ossia: la visione del mondo che governa il neoliberismo corrisponde su un gran numero di punti a quella dei Sovietici di un tempo. Dopo la caduta del comunismo, tutto è andato come se, irrigidendosi, il vecchio capitalismo - diventato "neoliberismo" - avesse ripreso per proprio conto i dogmi più criticabili del sistema comunista sconfitto. I cinesi non si sono affatto sbagliati con lo sposare senza scrupolo alcuno il comunismo politico e l'ultra-capitalismo economico.

Un vecchio adagio giuridico ci aiuta a comprendere il fenomeno, sostenendo che, a proposito di una successione, "il morto si impadronisce del vivo nella persona del suo erede più prossimo". Le cose sono andate proprio così dopo la caduta del comunismo nel 1989. Fra i tratti del vincitore (il vivo) e quelli del vinto (il morto) la somiglianza non ha mai smesso di essere evidente, al punto che l'abbiamo davanti agli occhi. Un esempio: il sequestro dell'economia politica attuato dalla matematica, ha permesso di affermare ovunque ed in maniera perentoria che la teoria liberale è "scientifica", e quindi indiscutibile. Così facendo, viene reinventato nuovamente il dogma del "socialismo scientifico" di cui si misura retrospettivamente l'assurdità. La vulgata neoliberista, così come viene ancora insegnata nelle scuole commerciali, si fonda percio' su tale superstizione. Far credere ai futuri diplomati delle scuole che l'economia sia una "scienza" che si impone su ogni persona ragionevole. Non c'è niente di più sbagliato. L'economia politica consiste nell'utilizzare dei mezzi adeguati per realizzare un "progetto", soggettivo ed etico, vale a dire democraticamente scelto. È il contrario di una scienza.

Un altro esempio: il riferimento ossessivo alla globalizzazione ha resuscitato, sotto un altro nome, il famoso "senso della storia", cui i marxisti ci chiedevano prima di obbedire. Di conseguenza, il neoliberismo recita una mirabolante "promessa", quella della prosperità planetaria a venire. Si riprendono così, sotto un'altra forma, i termini in uso nel vecchio mondo comunista: avvenire radioso, un domani che canti ed altri scherzi del genere.

Così come avveniva ieri, queste false promesse invitano i comuni cittadini ad acconsentire ai sacrifici del presente in nome di un ipotetico futuro, che si allontana man mano che andiamo avanti. Tuttavia, i fautori del mercato totale ci ripetono che le sofferenze sociali sono il prezzo da pagare per raggiungere l'equilibrio fra i conti pubblici e la competitività, ossia la felicità. Sotto questo travestimento si nasconde uno slogan altrettanto menzognero di quello dello "avvenire radioso".

La stessa osservazione va fatta riguardo a ciò che io chiamo la perseveranza diabolica. Nel vecchio politichese marxista, si ripeteva, che se le economie dei paesi comunisti non funzionavano, questo era dovuto al fatto che non erano "abbastanza" comunisti. Oggi lo slogan è lo stesso: i fallimenti, le ingiustizie ed il cattivo funzionamento delle economie liberali si spiegherebbe a partire dal fatto che queste ultime non sarebbero "abbastanza" privatizzate e deregolamentate, ecc. Lo stesso ritornello ideologico. Quanto alla confisca del profitto da parte di una minoranza di ultra ricchi, allorché tutti gli altri sono abbandonati alla loro sorte, ciò corrisponde al fenomeno della nomenklatura che, nel vecchio mondo comunista, riservava la ricchezza ad una piccolissima minoranza di burocrati. Il morto si è impadronito del vivo!

- Jean-Claude Guillebaud - Pubblicato il 20 giugno 2016 su TÉLÉOBS -

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