sabato 7 maggio 2016

Le ombre a mezzogiorno

benj comic

Il rapporto di Walter Benjamin con il fascismo è solitamente ricondotto ad alcuni episodi frammentari: l'intervista al fascista francese Georges Valois, la recensione a un libro curato da Ernst Jünger, alcuni riferimenti contenuti nell'"Opera d'arte" e nelle tesi "Sul concetto di storia". In realtà, dal viaggio in Italia agli ultimi giorni della sua vita, il filosofo tedesco non ha mai smesso di lavorare segretamente a una teoria del fascismo con la quale dare un significato razionale al fenomeno politico più sconvolgente della prima metà del XX secolo. Nel momento stesso in cui si impegna a correggere i fondamenti dogmatici del marxismo volgare e a fornire una propria versione del materialismo storico in funzione dell'avvento di grandi media di massa come cinema e radio, Benjamin elabora una teoria del fascismo nella quale nulla viene trascurato: dai fattori storici (le conseguenze del processo di modernizzazione e il problematico progetto dei Lumi) e strutturali (la crisi economica europea nel Primo dopoguerra), a quelli sovrastrutturali (l'estetica fascista con il suo culto della personalità creatrice e la sua prassi monumentalistica) e intrapsichici (il Duce come padre degenere desideroso di durare in un'eternità di crimini). Alla fine della sua ricostruzione, l'autore dimostra che se c'è un punto in cui questa teoria di Benjamin concorda con alcune riflessioni prodotte dal pensiero della seconda metà del XX secolo (almeno quello più sperimentale) sulle nuove forme di fascismo della tarda modernità, esso riguarda sicuramente uno degli aspetti più profondi e inquietanti dell'intera vicenda, ovvero che la comprensione di che cosa sia il fascismo non può prescindere dal riconoscere il fascista che è in noi.

(dal risvolto di copertina di Fabrizio Denunzio: La morte nera. La teoria del fascismo di Walter Benjamin, Ombre Corte)

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I demiurghi che alimentano la linfa religiosa della sovranità
- di Ubaldo Fadini -

Con questo suo recente testo – La morte nera. La teoria del fascismo di Walter Benjamin, Ombre Corte, pp. 119, euro 10 – Fabrizio Denunzio sviluppa ulteriormente un radicale ed impegnativo confronto con l’opera complessiva del filosofo berlinese di cui si può ricordare perlomeno un’altra tappa particolarmente felice concretizzata in "Quando il cinema si fa politica. Saggi su «L’opera d’arte» di Walter Benjamin", pubblicata alcuni fa dalla stessa casa editrice veronese. Ciò che risulta particolarmente chiaro dagli esiti di tale confronto è lo sforzo operato da Denunzio per fornire dei segnavia decisivi che consentano al lettore di orientarsi al meglio nei territori difficili e spesso irregolari della produzione teorica benjaminiana.
 
La massa dei risentiti
L’attenzione si concentra soprattutto su quei testi e «frammenti» di Benjamin che concorrono alla formazione di una storia dell’interesse manifestato nei confronti del fascismo. Nella prima parte del suo studio, quella più consistente (anche quantitativamente), Denunzio individua tre fasi/momenti di tale manifestazione di interesse. La prima, tra il 1924 e il 1930, delinea un modello di fascismo in termini di analisi «giornalistico-informativa», a partire dal girovagare benjaminiano, soprattutto tra la Francia e l’Italia (senza dimenticare la città di partenza: Berlino).
Tale modello coglie in definitiva il collegamento tra la legittimazione popolare del «duce», assicurata in molteplici maniere, e la presenza di un deficit intrinseco alla modernità, un vuoto che la contraddistingue nel momento in cui l’affermazione del primato della Ragione si accompagna alla abolizione di qualsiasi legame con la trascendenza (ricondotta alla misura, facilmente contestabile, della religione). È questo vuoto ad alimentare quelle dinamiche di compensazione, su base materiale, che troveranno in determinati gruppi sociali, risentiti e impoveriti (dopo la prima guerra mondiale), i soggetti facilmente predisposti all’impiego di classe (al servizio del capitalismo) contro la lotta proletaria e rivoluzionaria. È importante qui l’annotazione di Denunzio, secondo la quale emerge, in questa prima fase, un punto di vista critico di Benjamin nei confronti dell’Illuminismo come marca della modernità, che registra un eccesso di potenziamento della Ragione nel suo rapporto con la trascendenza a cui si può trovare rimedio soltanto con un riequilibrio che impedisca la strumentalizzazione dell’altro (relativo) della medesima Ragione nei modi della violenza fascista al soldo del capitale.
 
Concetti materiali
A questo modello ne segue un altro, quello del periodo 1934-36, che si qualifica non più come «giornalistico-informativo» ma «politico-combattente», nel senso di una più precisa indicazione dell’importanza anche del momento sovrastrutturale per la comprensione del fenomeno del fascismo, accanto all’ovvia considerazione del valore della dimensione strutturale, economico-materiale, con i suoi determinati rapporti di proprietà. In quest’ottica, Benjamin predispone una batteria di concetti che pretende di dar corpo ad una ragione politica di lotta al fascismo che si vuole articolata sul piano della produzione culturale, con particolare riferimento alla teoria dell’arte e alla registrazione del ruolo dei mass-media (dalla radio al cinema) nella realizzazione di una ben governabile «massa compatta» (disoccupati, reduci, impiegati: quest’ultimi raffigurati attraverso l’indagine preziosa di Siegfried Kracauer), «monumentale», come l’arte veicolata dal regime fascista, in grado di legare/integrare dentro di sé la collettività, i gruppi sociali.
Anche rispetto a questo modello, Denunzio coglie felicemente il diverso rapportarsi di Benjamin all’anima illuminista della modernità, con la sua ambivalenza (indicativa di un volto da opporre a quello fascista) che verrà «lavorata» dagli esponenti di maggior rilievo della «teoria critica», Adorno e Horkheimer: l’attenzione del filosofo berlinese si sposta in effetti dalla coppia di opposti «ragione-trascendenza» a quella «natura-tecnica», individuando in una tradizione di illuminismo «segreto», tipicamente tedesco, carico di spirito rivoluzionario, la possibilità di non considerare la tecnica soltanto come dominio ma di apprezzarne anche un uso «ludico», positivo, in una prospettiva concretamente emancipatrice.
Nell’ultima fase, emblematicamente raccolta nell’anno conclusivo dell’esistenza di Benjamin: 1940, si delinea un terzo modello di fascismo, rispetto al quale il compito teorico/politico appare quello di «salvare» il tempo, di non lasciare irrimediabilmente la modernità al suo rapporto con il fascismo, laddove il capitalismo – come capitalismo di Stato in grado di ricomprendere al suo interno l’esperienza «socialista», anche nella sua prefigurazione saint-simoniana – crea il fascismo statualizzato come dinamica di riunificazione dei poli opposti dell’eternità (il sempre-uguale) e dell’istante (la novità), una dinamica specifica della modernità disegnata in forme classiste nel trionfo fantasmagorico del feticismo della merce, che sembra prolungarsi all’infinito, in una tragica e terribile perpetuazione della propria «logica».
Appare quindi evidente come il confronto di Beniamin con la modernità, la sua particolare «esperienza» di essa, porti con sé anche un rapporto con l’Illuminismo attento a situare materialmente l’operato della Ragione, ad apprezzarne la temporalità plurima, la provvisorietà/revocabilità dei suoi assetti e delle sue configurazioni dalla parte dei soggetti interessati a non s/qualificarsi come subagenti commerciali di quel capitalismo che storicamente si è presentato (si presenta) come ciò che consegna il nostro tempo in mano al fascismo: vale a dire ad una particolare modalità (teoria) di potere da cogliere a tutti i costi – così ancora Benjamin – come il vero e proprio «nemico da combattere».

Il tiranno e il martire
La seconda parte, quella più breve, del testo di Denunzio è dedicata ad una ricostruzione socio-psicologica delle ragioni di carattere anche più «personale» dell’attenzione di Benjamin al fenomeno del fascismo, inteso come figura iper-autoritaria proiettata, per così dire, su piani di formazione individuale e collettiva, al fine di compensare quelle assenze o crisi di autorità (i «vuoti») che costituiscono e accompagnano la vicenda complessa della modernità. In tale prospettiva, la giovanile assunzione benjaminiana di figure «politiche» di sostituzione parziale di una autorità paterna avvertita come carente, viene analizzata, da Denunzio, nei suoi sviluppi e nelle sue trasformazioni, in ciò che prende corpo e si manifesta, ad esempio, in alcuni dei personaggi-chiave del libro sul dramma barocco tedesco (il sovrano: tiranno e martire, anche sulla scia della ripresa dell’idea schmittiana di «stato di eccezione») o nelle pagine straordinarie su Kafka.

- Ubaldo Fadini - Pubblicato su Il Manifesto del 26 aprile 2016 -

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