martedì 10 maggio 2016

Le alternative concrete ed i loro limiti

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Le alternative concrete proliferano. Permettono di sperimentare dei nuovi modi di produrre, di consumare, di vivere. Ma queste soluzioni locali non sono in grado di dare una risposta a quello che è il disastro globale.

Fra la "Nuit Debout" e le "ZAD (Zones à défendre), gli ecologisti alternativi viaggiano col vento in poppa. Dagli autonomi radicali ai piccoli borghesi, ciascuno ha la sua soluzione locale: esperienze alternative che tentano di sfuggire il capitalismo produttivistica e la società dei consumi. Questo nuovo modo di vita non si accontenta di criticare la società di mercato ma propone innanzitutto dei progetti positivi. Il giornalista Éric Dupin, fine conoscitore dei misteri del Partito socialista, nel suo libro " Les défricheurs" ("I pionieri") abbandona il mondo delle istituzioni per tuffarsi in questo mondo di esperienze alternative.
"Cambiare vita qui ed ora, senza attendere un domani che tarda troppo ad arrivare, senza più credere alle promesse della politica: questa, sorprendentemente, è la bussola dei cittadini di un'altra Francia", scrive Dupin. Degli individui che tentano di vivere ai margini dei valori dominanti della società: produttivismo, consumismo, concorrenza. Vengono sperimentati nuovi modi di vivere, di consumare e di produrre.
Questa nebulosa appare essere particolarmente plurale. Ci sono dei "Decrescenti" che esprimono un rifiuto della società di mercato, nel mentre che l'economia sociale e solidale si integra pienamente nel capitalismo liberale. La piccola borghesia intellettuale prova malessere in una società vuota di senso. I "creativi culturali" esprimono nuovi valori. "Privilegiando la cooperazione rispetto alla competizione, l'essere rispetto all'apparire, la conoscenza di sé rispetto al dominio degli altri", spiega Dupin. Dai "marginali" ai "bobos", malgrado le loro differenze persone diverse convergono su un approccio comune. "Hanno in comune il rifiutare, seppure ad un grado diverso, un sistema oppressivo e manipolatore. E di esplorare, in maniera pragmatica, altri modi di vita, nuovi modi di lavorare". Ad unire tutti questi approcci, sia ecologisti che autogestionari, è la figura di Pierre Rabhi.
Pur assumendo un'empatia sincera con queste alternativa, Dupin mantiene uno sguardo critico rispetto ai loro limiti evidenti: queste esperienze locali possono sfociare in un ripiegamento su sé stessi, che ignora e disprezza il mondo esterno. "Questo localismo li porta a vivere nel loro proprio universo e ad abbandonare la comunicazione con l'esterno", constata Dupin.

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Comunità alternative
"La Nef de fous" (La nave dei folli) viene fondata nel 1974. All'origine, questa comunità raggruppa degli ecologisti libertari. Secondo il suo fondatore, bisogna che si diffondano degli spazi autogestiti che permettano la soddisfazione dei bisogni elementari. Ma questo obiettivo che la caratterizzava è stato ormai abbandonato.
Anche la fattoria autogestita de la Roya, à Cravirola, si impegna a coltivare quel che serve a nutrire i suoi abitanti. "L'autogestione non abolisce le differenze di competenza", precisa Dupin. L'azienda viene gestita da una sola persona, anche se si presume che le decisioni vengano prese da tutti. La fattoria attira soprattutto dei giovani che vogliono riappropriarsi del loro quotidiano, ma senza alcuna speranza di cambiare il mondo. Ma un tale rifiuto della separazione fra lavoro e tempo libero si traduce soprattutto nell'assenza di riposo.
Gli ambienti alternativi si sviluppano nella completa illegalità, e questo provoca conflitti con le amministrazioni comunali e con le autorità.
Questo modo di vita alternativa appare come una scelta, ma anche come una conseguenza della disoccupazione di massa e del lavoro opprimente. Alcuni sognano un modo di vita conformista. "Ovviamente il mio obiettivo è quello di farmi una famiglia e comprare una casa" - così, nel libro, testimonia Alexander.
Gli ecovillagi si propongono di far rivivere dei luoghi abbandonati. Scuole alternative e corsi per lo sviluppo personale, cercano di inventare un mondo parallelo al capitalismo. Ma l'aumento dei prezzi dei terreni rende meno accessibile l'utopia. Gli "ecoluoghi" privilegiano la qualità del legame sociale e pretendono di avere un carattere esemplare. Questa "semplicità volontaria" cerca di rompere con l'individualismo mercantile per promuovere la gioia di vivere. Ma quest'approccio riflette soprattutto un certo elitarismo. "Al fine di una loro riuscita, alcuni abitanti degli ecovillaggi possono essere portati a credere di costituire una sorta di piccolo popolo di eletti, i soli ad aver compreso le sfide del nostro tempo e ad aver avuto il coraggio di dare le risposte giuste", afferma Dupin. Gli abitanti degli ecoluoghi appartengono a delle categorie sociali privilegiate e vivere con pochi soldi appare soprattutto come una scelta. Riflettono il disprezzo della piccola borghesia intellettuale per le classi popolari. Inoltre, queste oasi sembrano isolate dal mondo e i loro abitanti rimangono nella loro piccola bolla.
Gli ecomilitanti privilegiano un impegno concreto e pratico, promuovono lo sviluppo di energie alternative, dell'agroecologia senza fertilizzanti e senza pesticidi, dell'ecocostruzione, dello scambio di sementi o di orti condivisi. Quest'approccio mira a migliorare la qualità della vita e permette una convivialità. "Queste pratiche ecologiche sono intimamente legate al desiderio di una migliore qualità delle relazioni sociali", osserva Dupin.
Gli alter-imprenditori non ricercano il profitto o il successo sociale, essi mettono il loro dinamismo al servizio del bene comune, permettono lo sviluppo di energie alternative, delle ecocostruzioni o del vino biologico. Ma questi alter-imprenditori partecipano anche al "capitalismo verde" che permette di fare profitti a partire dall'ecologia. "Il sistema economico, nella sua forza e nella sua globalità, è esperto nell'arte del riciclaggio e del recupero delle aspirazioni inizialmente più sovversive", sottolinea Dupin. Le imprese alternative appaiono come un settore dell'economia e non si oppongono al capitalismo produttivistica.

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Economia cooperativa
L'agricoltura ecologica è in forte crescita. Vecchi contadini utilizzano nuove pratiche. Inoltre, la gioventù urbana si stabilisce in campagna per sperimentare un'agricoltura ecologica. Ma sembra che a questo tipo di agricoltura siano legate numerose difficoltà, soprattutto con gli insetti e con l'aumento del tempo che serve per far crescere i prodotti. Tuttavia, questo tipo di agricoltura conosce un importante successo, e privilegia prodotti migliori e qualità della vita.
Si sviluppano forme creative di solidarietà. Tali esperienze permettono di introdurre maggior convivialità nelle relazioni umane. I "Sistemi di scambio locale" propongono delle monete alternative e degli scambi di servizi. Il che permette di fare dei nuovi incontri. Anche se questo tipo di moneta privata basata sul tempo non si presenta come una soluzione nei confronti della crisi economica. Ad esempio, Daniel, che ha creato il sistema di scambio locale di Paname, non nutre alcuna illusione a tal proposito: "Perché ci sia un cambiamento nella società, serve una risposta globale".
I negozi solidali di generi alimentari e gli orti condivisi si basano anche sulla qualità delle relazioni umane in un contesto conviviale. Una certa diversità sociale caratterizza i partecipanti a queste alternative. Anche se, nei quartieri popolari, gli orti condivisi vengono percepiti come una "cosa da bobos". È vero che molti quadri della classe media appaiono essere particolarmente attivi in queste iniziative.
Ma anche questa "solidarietà concreta" presenta delle ambiguità. Nel contesto della crisi, quest'economia dell'intraprendenza si mescola alla propaganda confindustriale e della destra. "Può servire a confermare una delle ideologie alla base del mondo attuale: tutti possono intraprendere e creare le loro imprese", analizza il sociologo Bruno Frère. Però queste esperienze possono anche collegarsi alle pratiche di mutuo appoggio del movimento operaio. "Potrebbe anche arrivare il giorno in cui la solidarietà non verrà più relegate ai margini di un'economia che schiaccia la cooperazione sotto la concorrenza", spera Eric Dupin.

Le "scuole alternative" si rivolgono ai numerosi bambini che non si adattano alle regole della scuola pubblica. Vengono incoraggiati nuovi valori: la cooperazione anziché la concorrenza, l'equilibrio fra lavoro manuale ed intellettuale, apprendimento attivo e non istruzione passiva, responsabilità al posto dell'obbedienza. Ma queste scuole alternative appaiono essere poco numerose in Francia, a causa di un loro prezzo elevato, intorno ai €4.000, sono soprattutto rivolte ai bambini della piccola borghesia intellettuale.
Ad esempio, ne "La Ferme des enfants", i principi libertari della scuola di Summerhill vengono un po' aggiustati. I bambino non sono totalmente liberi di scegliere le loro attività. Il piacere di apprendere e la libertà vengono progressivamente sottomessi all'obbligo a lavorare. In un'altra scuola, nella Savoia, viene privilegiato lo "sviluppo fisico, artistico, linguistico". In seguito, l'apprendimento è guidato dalla "osservazione, il sentimento e l'arte".
Le scuole alternative non sono rivolte ai bambini che hanno difficoltà scolari, soprattutto nei quartieri popolari, ma comprendono soprattutto dei bambini che provengono da famiglie privilegiate sul piano sociale e culturale. Le scuole alternative sono quindi oggetto di una chiusura elitaria. "Il programma educativo rivela in questo modo di avere delle difficoltà a cambiare la società per mezzo di iniziative sparse, per quanto rimarchevoli possano essere. Le isole scolastiche liberate non sommergeranno l'enorme rete dell'educazione nazionale", afferma Dupin.

Le cooperative e le imprese autogestite, per quanto simpatiche, mostrano numerose difficoltà. La segheria Ambiance Bois ne è un esempio rilevatore: malgrado le decisioni prese collettivamente, perdura una gerarchia informale. Ci sono persone che decidono. La polivalenza non è affatto totale, ciascuno si specializza in un lavoro. Sul piano economico , le cooperative devono far fronte alla concorrenza. Pertanto, l'autogestione funziona soltanto su una scala limitata. Esistono numerose costrizioni. Il lavoro rimane duro a livello fisico, soprattutto per la schiena. Inoltre, l'autogestione esige ancora più energia e responsabilità.
Col tempo, le imprese incontrano sempre più difficoltà a mantenere un funzionamento autogestito. Si impone la routine e la concorrenza obbliga ad una normalizzazione dell'impresa. Si impongono delle gerarchie informali. "Le dure leggi della sociologia dell'organizzazione ed il gioco crudele delle competenze si fanno carico di distribuire il potere in maniera ineguale", analizza Dupin. Anche se queste imprese non ricercano il massimo profitto, si inscrivono sempre in una logica di mercato e devono mostrarsi efficaci per resistere alla concorrenza.

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Capitalismo autogestito
In questo movimento di coltivatori, la figura chiave rimane Pierre Rabhi, il quale si propone di creare delle oasi alternative che devono servire da esempio. Fa riferimento al colibrì, l'uccello che tenta di spegnere un incendio per mezzo di qualche goccia d'acqua. Malgrado la mancanza di efficacia, si dichiara fiero di "fare la sua parte". I coltivatori non sempre rientrano in questo medesimo approccio. Per esempio, si rifugiano in delle AMAP (Association pour le maintien d'une agriculture paysanne), senza preoccuparsi dell'apocalisse nucleare. "Ammetto che questa morale dell'intenzione un po' mi preoccupa. Essa ha di certo la virtù e la forza dell'esempio, ma la sua indifferenza riguardo all'efficacia finale rimane un po' inquietante", commenta Eric Dupin. La filosofia contadina si rifugia in una saggezza tradizionale del ritorno alla terra ed ai valori tradizionali. Predica la moltiplicazione delle conversioni individuali, ma elude la questione dei mezzi politici.
La decrescita reinventa la critica della società della merce. Le ineguaglianze sociali, l'assenza di benessere e di convivialità vengono criticate. La crescita si basa su un'accumulazione di ricchezza e su un costante aumento della produzione. La decrescita permette di trattare nuovamente la felicità come una questione politica. Ma questo movimento ha poche prospettive reali.
Contro lo stress, l'indifferenza e l'anonimato che regna nell'universo urbano, i"decrescitori" sembrano sognare un ritorno al villaggio tradizionale. Ma nei villaggi, la sorveglianza, le gelosie e le rivalità sono altrettanto presenti della convivialità. Appare importante creare delle nuove relazioni umane che non siano fondate sulla logica della merce. "Meno beni, più legami", sembra essere il miglior slogan dei decrescitori.
La strategia postmoderna sembra rivelare i suoi limiti. La moltiplicazione, l'imitazione e la diffusione progressiva di alternative sembra poco probabile. Queste esperienze sembra siano sostenute da un settore particolare della popolazione: la piccola borghesia intellettuale. Il mondo dei pionieri non è rappresentativo dell'insieme della popolazione. "Si caratterizza per un profilo sociologico molto particolare: delle persone, spesso appartenenti alle classi medie, non necessariamente danarosi ma dotati di un alto livello culturale", osserva Dupin.
La politica come mobilitazione dell'insieme della società deve reinventarsi. Il militantismo ripetitivo appare stravagante ed impotente. La sperimentazione e la creatività non può provenire dai partiti. "Poiché il militantismo tradizionale, portatore di verità rivelate e richiedente obbedienza automatica, è incapace di rispondere alle aspirazioni di coloro che vogliono cambiare la società del 20° secolo", sottolinea Dupin.

Ma, anche se queste esperienze alternative rimangono condannate alla marginalità, possono però creare un nuovo immaginario. Il rifiuto della società della merce e della separazione può anche assumere altre forme. "L'aspirazione al ben vivere ed il rifiuto di una società agonizzante sono delle leve potenti per far scivolare le nuove generazioni verso altri modi di vita e di lavoro", stima Dupin. Un movimento può articolare la trasformazione personale e la trasformazione sociale. Ma Eric Dupin rifiuta la prospettiva di una rottura con la società delle merci e si unisce all'impostura della "transizione cittadinista". Arriva perfino a riferirsi all'idea di un "movimento conviviale" proposto da Patrick Viveret, un farabutto liberale dotato di un opportunismo intellettuale che dovrebbe renderlo più credibile.
Alla fine, questa poltiglia ideologica serve soltanto a camuffare e a nascondere la conflittualità sociale, la sola che permette il cambiamento politico.


fonte: Zones subversives - Chroniques critiques

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