venerdì 25 marzo 2016

ecfrasi

pacioni

Oggetto di discorsi, narrazioni, pratiche rituali e rappresentazioni, il corpo della vittima emerge dalle pieghe della storia e si manifesta come presenza irriducibile, come ciò che si afferma nell'atto dell'uccidere e che si nega nella coscienza collettiva. Il vertiginoso vuoto di senso in cui sprofonda la vittima è il campo di indagine sospeso fra invisibile e indicibile nel quale Celani esercita una scrittura multiforme e rapsodica, in forma di appunti, ricostruzioni, scatti fotografici. Muovendosi fra simulacri e reliquie, fra urgente attualità, episodi storici e visioni del cinema e dell'arte contemporanea, l'autore tenta di recuperare, al di là di un discorso che apparterrebbe di diritto all'ambito dell'etica, un filo che nel corso dei secoli continuamente si spezza per riannodarsi senza sosta. Poiché il destino della vittima è davvero la misura dell'umano.

(dal risvolto di copertina di Alessandro Celani: Victima. Discorso e forma dell’uccidere, Aguaplano, pp. 78, 16 foto, euro 11)

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La mattanza è riproducibile in una forma contagiosa
- di Marco Pacioni -

La magia delle immagini, nella nostra pur cosiddetta «società dell’immagine», è in genere intesa come patinatura secolarizzata che non ha a che fare con il sacro, il quale invece investirebbe culture ancora primitive, inciviltà di barbari e assassini inumani, come vengono definiti talvolta gli odierni terroristi. Eppure i loro video e fotografie delle esecuzioni sono rivolti principalmente a noi, pubblico che non dovrebbe sentirsene contagiato, per le ragioni dette prima. Ma l’infezione mimetica si diffonde, come mostrano anche le reazioni seguite all’attentato alla redazione di Charlie Hebdo lo scorso anno.
La punizione per il sacrilegio che avrebbero compiuto le vignette satiriche ci ha fatto ripiombare improvvisamente in un parossismo immaginale che sembrava non appartenere più alla nostra cultura. La mattanza, la trasmissione a ciclo continuo dei video della fuga degli assalitori, il loro grido al dio, il colpo di grazia all’agente di polizia per strada, per qualche giorno queste scene forse hanno fatto cadere la patina dell’arte e il filtro museale alle tante immagini di vittime e carnefici che affollano chiese, musei e spazi pubblici delle nostre città. Le immagini sulle quali i nostri sguardi prima passavano con l’indifferenza di uno scanner, dopo quell’attentato forse ci hanno trattenuto e interrogato per un po’, prima di smagarsi nuovamente nei simulacri familiari dell’ovvietà.
Nella situazione estrema dell’uccisione documentata, le immagini riacquisiscono – e soprattutto ci spingono a far loro acquisire – una sacralità che era ed è latentemente anche nostra. Di essa ci sentiamo nuovamente vittime perché in precedenza ne siamo stati anche noi carnefici. Vedere le vittime e gli assassini delle esecuzioni filmate, ascoltare alcuni di questi ultimi parlare perfino in un inglese che ha l’accento delle nostre contrade, ci mostra come il boomerang al quale molti di noi non vogliono sottrarsi continui a raggiungerci tutti, spingendoci a rilanciare la posta in gioco invece che a disinnescare tutto.
A questo ritorno del rimosso immaginale della violenza e dell’uccisione, alla loro forza ambivalente e tale da rendere persino difficile distinguere la vittima dal victimarius, è dedicato il libro di Alessandro Celani, Victima. Discorso e forma dell’uccidere (Aguaplano, pp. 78, 16 foto, euro 11). Quello di Celani è un itinerario che si muove tra riflessioni note di studiosi come Belting, Bredekamp, De Martino, Fanon, Girard, Vernant e riflessioni più inaspettate e sorprendentemente penetranti su questa materia come quelle di Cusano e Giordano Bruno, di Herzog e Kieslowski, di Darwin e Coarelli.
Dal rituale antico romano della devotio a Guernica di Picasso fino a Charlie Hebdo, il percorso di Victima si snoda appoggiandosi a una scrittura volutamente non neutrale, che anzi spinge l’afflato dell’ecfrasi come a tentare di liberare l’uccidere e le vittime dalla loro stessa immagine, per mostrare come quest’ultima si possa studiare anche sugli oggetti culturali nei quali essa ha preso forma senza essere atto e senza ricorrere alla parola: dipinti, sculture, ex-voto. A queste opere è dedicata la seconda sezione iconografica del libro, con le fotografie dell’autore appositamente pensate e scelte per fornire il saggio non di illustrazioni, ma di un equivalente negativo della scrittura, per rimanere al linguaggio fotografico.
Il modo stesso nel quale il libro di Celani si articola, tra testo e visualità, già suggerisce il tema antropologico e politico più notevole svolto in Victima. Quello per cui la nostra civiltà più si ritiene capace di separare nettamente l’immagine dall’atto, il sacro dal sacrilego, la santificazione dal sacrificio, più invece riannoda gli uni agli altri. Diversamente, ci mostra il saggio di Celani, gli attentati, le esecuzioni e, soprattutto, il tentativo di moltiplicarne l’effetto attraverso la riproducibilità delle immagini svelano l’incapacità e la fragilità della nostra società, abituata così tanto a guardarsi per rappresentarsi come vorrebbe essere, da non vedere quello che latentemente in essa c’è di mimetico, animistico, rituale.

- Marco Pacioni - Pubblicato sul Manifesto del 5 marzo 2016 -

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