martedì 12 gennaio 2016

Non serve a niente!

Fare del pane, costruire una casa, insegnare, coltivare pomodori, guidare un autobus, prendersi cura di un animale domestico, vendere biglietti per il cinema, scrivere una poesia, installare componenti elettronici... A prima vista, queste attività sembrano rispondere ad una funzione ben precisa: soddisfare ai bisogni di una società  con l'intento di assicurare un reddito alle persone che le svolgono.
E tuttavia, possiamo affermare che queste attività non servono a niente.
Per essere più precisi, possiamo dire che nel contesto del regno della società delle merci, queste attività diventano un'altra cosa rispetto alla loro funzione primaria. Quest'altra cosa oltre ad aggiungersi come una seconda natura, diviene la natura stessa dell'attività. E' così che l'attività si trasforma in lavoro ed acquisisce uno statuto generale nel processo capitalista di produzione di valore.
Il capitalismo è precisamente questa non-società che impiega gli individui per dei compiti il cui vero scopo è qualcosa di diverso da quello che sembra a prima vista.
E'chiaro che il lavoro serve solamente per la produzione di valore, categoria astratta, un feticcio fabbricato dagli uomini ma che conduce la sua propria esistenza autonoma senza che nessuno possa influenzare la sua logica ed il suo sviluppo.
Le attività umane non sono state sempre lavoro. L'interazione dell'uomo con la natura e degli uomini fra di loro non è avvenuta sempre attraverso il pretesto di trasformare una somma di denaro in più denaro. Questo è un fatto relativamente recente. Nelle società precapitaliste, poteva accadere che esse venissero messe al servizio di categorie feticcio, religiose o assurde ma non si trattava mai di un modello per tutte le attività e non si erano mai raggruppate tutte le attività degli uomini sotto un'unica denominazione.

Lavoro astratto & lavoro concreto
Il lavoro, come ha detto Karl Marx, ha una duplice natura, è sia concreto che astratto. Ed è duplice nello stesso momento, nella stessa temporalità. Esso è concreto in quanto produce sempre qualche cosa di concreto a partire dal concreto ed è allo stesso tempo astratto in quanto rappresenta il lavoro in generale, un semplice dispendio di energia misurabile in durata sulla scala del tempo astratto, il tempo degli orologi cui tutti noi siamo sottomessi. L'aspetto astratto del lavoro non crea quindi dei beni né dei servizi ma crea una forma sociale che si chiama valore. Il valore è tempo di lavoro umano cristallizzato nella forma della merce. E' tale categoria che permette di misurare e perciò di dar luogo allo scambio di merci, ed è per mezzo di questa categoria che diventa forma sociale. Il valore non ha niente di naturale - è un modo puramente sociale di considerare i prodotti.
La duplicità del lavoro si ritrova nella merce: il valore d'uso da una parte ed il valore, o valore di scambio, dall'altra, che rappresentano rispettivamente il lato concreto e quello astratto.
Ne risulta quindi che l'attività umana sotto il capitalismo è più complessa di quanto appaia. Sembra perfino avere una forma specifica che si allontana da ciò che pretende di essere in un primo momento.
"Questa duplice natura della merce e del lavoro che la produce, non si esprime affatto in una coesistenza pacifica, ma comporta una violenta contraddizione. Il lavoro astratto non è la somma dei lavori concreti, non è un'astrazione mentale. Una bomba o un giocattolo possono avere dei valori d'uso assai diversi ma, se si è reso necessario lo stesso tempo per fabbricare gli oggetti in questione ed i loro componenti, come valori si equivalgono."
Allorché il valore domina la produzione - cioè a dire quando i prodotti prendono abitualmente e massicciamente la forma sociale della merce - la produzione non è quindi più basata sulla soddisfazione dei bisogni preesistenti. Ora, l'unica finalità della produzione è diventato il valore: si tratta di ottenere la maggior quantità possibile di valore, e dunque di denaro.
E questo ha delle conseguenze drammatiche in quanto, se il sistema capitalista di produzione ha bisogno di più bombe che di giocattoli per creare valore, lo farà, e questa non è affatto una questione morale, dovuta ai cattivi capitali, ma è il risultato della logica propria a questo sistema, vale a dire una logica che è al di là del controllo da parte degli attori del sistema che, per riprendere Debord, sono piuttosto degli spettatori.
Il lavoro non è quindi una costante antropologica come spesso sentiamo dire, ma abbiamo piuttosto a che fare con una mutazione antropologica, una costruzione sociale nuova che determina come mai prima tutta la vita degli individui, su una scala totale. Nel capitalismo, il lavoro astratto è diventato il legame sociale, il fine della società, e non più il mezzo in vista di altri fini.
Così come la merce non deve più essere confusa con un bene, parallelamente il lavoro non deve più essere confuso con l'attività umana.
Possiamo sentire risuonare dai nostri pulpiti e nelle nostre teste l'alienazione e la violenza che il lavoro rappresenta. Per cui, la nostra indignazione rimane spesso solo ad un determinato livello ed abbiamo perfino la tendenza ad attribuire a noi stessi la responsabilità della nostra infelicità.
Prendere coscienza della particolarità storica della categoria del lavoro, comprendere che si tratta di un'invenzione della società della merce, ci permette di trasformare questa indignazione nella possibilità di agire e di trasformare il nostro rapporto con il mondo.
Di riappropriarci delle nostre esistenze.

fonte:  Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme

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