lunedì 11 gennaio 2016

Ecco perché lottiamo!

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Una “lettera” di Albert Camus

Il tempo della vostra sconfitta si avvicina. Le scrivo da una città famosa in tutto il mondo, intenta a preparare contro di voi un domani di libertà. Essa sa bene che non è facile e che, prima, dovrà attraversare una notte ancora più nera di quella iniziata quattro anni or sono, con la vostra venuta. Le scrivo da una città spogliata di tutto, senza luce né fuoco, affamata, eppur sempre indomita. Fra poco vi scoppierà una bufera di cui non avete ancora idea. Se avremo fortuna noi due ci troveremo allora uno di fronte all’altro. Allora potremo combatterci con conoscenza di causa: io ho un’idea chiara delle sue ragioni e lei può ben immaginare le mie.

Queste notti di luglio sono leggere e nello stesso tempo gravose. Leggere sulla Senna e fra le piante, gravose nel cuore di quanti attendono l’unica alba di cui ormai abbiano desiderio. Attendo e penso a lei: ho ancora una cosa da dirle e sarà l’ultima. Voglio spiegarle come è possibile esser stati così simili e oggi esser nemici, e come avrei potuto essere al suo fianco e perché oggi fra noi tutto è finito.

Per molto tempo, ambedue abbiamo creduto che questo mondo non avesse una finalità superiore e che noi fossimo dei frustrati. In un certo senso lo credo ancora. Ma sono giunto a trarne conclusioni differenti da quelle di cui lei mi parlava un tempo e che, da tanti anni, tentate di introdurre nella Storia. Oggi dico a me stesso che se l’avessi effettivamente seguita nei suoi ragionamenti, dovrei approvare la vostra condotta attuale. E la cosa è tanto grave che è necessario che mi arresti qui, nel cuore di questa notte d’estate tanto gonfia di promesse per noi e di minacce per voi.

Lei non ha mai creduto che questo mondo avesse un senso e ne ha dedotto la concezione che tutto si equivalesse e che il bene e il male si potessero stabilire ad arbitrio. Ha creduto che, nell’assenza di ogni morale umana o divina, gli unici valori fossero quelli che governano il mondo animale, cioè la violenza e l’astuzia. Ne ha concluso che l’uomo è nulla, che si poteva sopprimere la sua anima, che, nella più insensata delle storie, il compito dell’individuo non potesse essere altro che l’avventura della potenza, e la sua morale il realismo delle conquiste.

E, in verità, io che credevo allora di pensare come lei, non trovavo quasi argomenti abbastanza consistenti da opporle, se la passione ardente per la giustizia che, in definitiva, mi sembrava tanto poco meditata quanto la più improvvisa delle passioni.
In cosa consisteva la differenza? Nel fatto che lei accettava con animo leggero la disperazione, mentre io non ho mai potuto consentirvi. Nel fatto che lei considerava ammissibile l’ingiustizia della condizione umana tanto da risolversi ad aggravarla, mentre a me pareva evidente che l’uomo doveva proclamare la giustizia per lottare contro l’eterna ingiustizia, creare un po’ di felicità per protestare contro un universo di infelicità. Lei invece si è ubriacato della sua disperazione e se ne è liberato erigendola a principio; ha acconsentito a distruggere le opere dell’uomo e a lottare contro di lui per rendere più completa la sua sostanziale miseria. Io, rifiutandomi di ammettere questa disperazione e questo mondo straziato, volevo semplicemente che gli uomini ritrovassero la solidarietà necessaria per lottare contro il loro orribile destino.

Come vede, da un medesimo principio abbiamo tratto morali differenti. Lei, lungo la strada, ha abbandonato la lucidità e ha trovato più comodo (lei avrebbe detto: indifferente) che un altro pensasse per lei e per milioni di tedeschi. Eravate stanchi di lottare contro il cielo e vi siete riposati in questa avventura estenuante nella quale vi siete scelto il compito di mutilare le anime e di annientare la terra.
Per dire tutto, avete scelto l’ingiustizia, vi siete messi dalla parte degli dei. La vostra logica era soltanto apparente.
Io, al contrario, ho scelto la giustizia per restare fedele alla terra. Continuo a credere che questo mondo non abbia una finalità superiore. Ma so che in esso qualcosa ha un senso ed è l’uomo, perché è il solo essere vivente che esige di averlo. Questo mondo dunque ha, per lo meno, la verità dell’uomo e nostro dovere è di fornire all’uomo le ragioni per lottare contro il suo stesso destino. Non v’è altra ragione che l’uomo; è dunque lui che bisogna salvare se vogliamo salvare il concetto che ci si fa della vita.

Il suo sorriso sprezzante mi dirà: “Cosa vuol dire salvare l’uomo?” Ma le rispondo, e con tutto me stesso lo grido, che salvare l’uomo significa non mutilarlo, significa concedere tutte le possibilità alla giustizia che l’uomo è il solo essere capace di concepire.
Per questo stiamo lottando. Per questo abbiamo dovuto dapprima seguirvi per la strada che non era la nostra e in fondo alla quale, alla fine, abbiamo trovato la sconfitta: perché la vostra disperazione costituiva la vostra forza.

Dal momento stesso in cui si ritrova sola, nuda, sicura di sé, spietata nella sua logica, la disperazione acquista una potenza senza misericordia. Così ci ha schiacciati mentre eravamo indecisi e avevamo ancora lo sguardo rivolto a immagini felici. Concepivamo la felicità come la conquista più grande, la conquista che si raggiunge a dispetto dello stesso destino che ci è imposto.

Ma neppure nella sconfitta il rimpianto di essa ci lasciava.
Voi, invece, avete fatto ciò che dovevate, noi siamo entrati nella Storia. E per cinque anni non è stato più possibile godere del canto degli uccelli nel fresco della sera. Si è dovuto per forza disperare.
Eravamo isolati dal mondo perché ogni aspetto del mondo richiamava tutta una folla di immagini di morte. Da cinque anni, su questa terra, non ci sono più albe senza agonie, sere senza prigioni, meriggi senza massacri. Sì, abbiamo dovuto seguirvi. Ma il difficile della nostra impresa consisteva nel seguirvi scendendo in guerra, senza mai dimenticare la felicità. Così, in mezzo ai clamori e alla violenza tentavamo di conservare nel cuore il ricordo di un mare placido, di una collina indimenticabile, il sorriso di un volto caro. Era, infatti, la nostra arma migliore, quella che mai riporremo. Perché se un giorno la perdessimo, allora saremmo morti come voi.
Semplicemente, oggi sappiamo che le armi della felicità esigono, per essere forgiate, molto tempo e troppo sangue.

Abbiamo dovuto accettare la vostra filosofia, adattarci a somigliarvi un poco. Avevate scelto l’eroismo indiscriminato perché è il solo valore che resti in un mondo che ha perduto il suo significato. Avendo scelto l’eroismo per voi, l’avete scelto per tutti ed anche per noi.
Siamo stati costretti a imitarvi per non morire. Ma ci siamo accorti allora che la nostra superiorità su di voi consisteva nell’avere una direzione. Ora che tutto sta per finire, possiamo dirvi cosa abbiamo imparato e cioè che l’eroismo è ben poca cosa, più difficile è la felicità.

Ormai tutto deve esserle chiaro, così il fatto che siamo nemici. Lei è l’uomo dell’ingiustizia, che è la cosa al mondo che il mio cuore maggiormente detesta. Ma non era che una passione, adesso ne conosco le ragioni profonde. Vi combatto perché la vostra logica è criminale quanto il vostro cuore. E nell’orrore che ci avete prodigato per quattro anni la vostra ragione ha concorso in misura pari al vostro istinto. Per questo la mia condanna sarà assoluta: lei è già morto per me. Ma nel momento stesso in cui giudicherò la vostra atroce condotta, mi ricorderò che voi e noi siamo partiti dalla stessa solitudine, che voi e noi, insieme a tutta l’Europa, viviamo lo stesso dramma dell’intelligenza. A dispetto di voi stessi, vi conserverò il nome d’uomo. Per essere coerenti con la nostra fede, siamo costretti a rispettare in voi quello che voi non rispettate negli altri. Per molto tempo questo è stato il vostro immenso vantaggio, poiché uccidete con più facilità di noi. E fino alla fine dei tempi, noi, che non vi somigliamo, dovremo dare la nostra testimonianza affinché l’uomo riceva, al di sopra dei suoi peggiori errori, la giustificazione che gli spetta e il riconoscimento della sua innocenza.

Ecco perché alla fine della lotta, dal grembo di questa città che ha preso volto d’inferno, al di sopra di tutte le torture inflitte ai nostri, nonostante i morti sfigurati e i villaggi orfani, posso dirle che, nel momento stesso in cui stiamo per distruggervi senza pietà, non abbiamo, però, odio alcuno contro di voi. E se anche domani, come molti altri, ci occorresse di morire, saremmo ancora senz’odio. Non possiamo garantire di non aver paura, tenteremo semplicemente di essere ragionevoli. Ma possiamo garantire di non odiare proprio nulla.
E quanto alla sola cosa al mondo che oggi potrei detestare, le assicuro che siamo in regola con essa e vogliamo distruggervi nella vostra potenza, senza mutilarvi nell’anima.
Il vantaggio che avevate su di noi, come vede, continuate ad averlo.
Ma nasce proprio di qui la nostra superiorità. È grazie ad essa che questa notte mi è più leggera. La nostra forza è pensare come voi sull’abisso del mondo, non rifiutare nulla del dramma che è anche il nostro, ma nel tempo stesso tenere salva la nostra concezione dell’uomo sul limite estremo di questa sventura dell’intelligenza e poterne trarre l’infaticabile coraggio delle rinascite. Naturalmente l’accusa da noi lanciata al mondo non per questo è più leggera.

Abbiamo pagato troppo cara questa nuova consapevolezza perché la nostra condizione cessi di apparirci disperata. Le centinaia di migliaia d’uomini assassinati all’alba, i muri tremendi delle prigioni, un’Europa dalla terra fumante di milioni di cadaveri che un tempo furono suoi figli: tutto questo ci è stato necessario per pagare l’acquisizione di due o tre sottili sfumature che forse serviranno soltanto ad aiutare alcuni di noi a morire meglio. Sì, la condizione è disperante. Ma dobbiamo dare prova di non meritare tanta ingiustizia.
È l’impegno che abbiamo preso con noi stessi e che inizierà da domani.

In questa notte d’Europa, percossa dal soffio dell’estate, milioni di uomini, armati o disarmati, si preparano al combattimento. Sta per sbocciare l’alba in cui sarete finalmente vinti. So che il cielo che fu indifferente alle vostre atroci vittorie lo sarà anche di fronte alla vostra giusta sconfitta. Neppure oggi mi aspetto qualcosa da esso. Ma almeno avremo contribuito a salvare la creatura umana dalla solitudine nella quale volevate relegarla.
Per aver disprezzato la fedeltà dell’uomo, proprio voi, a migliaia, morirete in solitudine.
Ora posso dirle addio.

- Albert Camus - da “Lettere a un amico tedesco”,  Luglio 1944 – IV lettera -

1 commento:

ubu re ha detto...

lettera meravigliosa. foto meravigliosa.