martedì 10 novembre 2015

La ragion di movimento, e quella di Stato

gaza gerusalemme

Gli assassini dei bambini di Gaza (6 di 15)
- Un'operazione "piombo fuso" per cuori sensibili -
di Robert Kurz

SINTESI
Nella sua analisi critica dell'ideologia, "Gli assassini dei bambini di Gaza", Robert Kurz affronta i modelli di percezione della sinistra riguardo al conflitto in Medio Oriente. Dopo che negli ultimi anni, le guerre capitaliste di ordinamento mondiale, e la loro affermazione da parte dell'ideologia "anti-tedesca", sono state fondamentalmente criticate dalla "Critica della dissociazione-valore", adesso è tempo di considerare anche il rovescio di tale interpretazione ideologica, i cui portatori sono inoltre schierati positivamente con la socializzazione globale del valore e dei suoi prodotti in decomposizione. Queste interpretazioni della situazione mondiale sono impregnate di un "anti-israelismo" affettivo, alimentato anche da un "odio inconscio per gli ebrei" (Micha Brumlik), in quanto lo Stato ebraico e la sua azione militare contro Hamas e Hezbollah  vengono di per sé sussunti al capitale mondiale ed al suo imperialismo securitario. Di conseguenza, la barbarie islamica contro Israele non viene vista come l'altra faccia della medesima medaglia dell'imperialismo di crisi, ma come "resistenza", in maniera quasi romantica. In questo contesto, la base del raffronto col vecchio "anti-imperialismo" impallidisce, ed il conflitto in Medio Oriente diventa un conflitto per procura, al servizio di una "critica del capitalismo" della nuova piccola borghesia, che digerisce regressivamente la crisi mondiale del capitalismo.
(Presentazione del testo nell'Editoriale di EXIT! n° 6 dell'agosto del 2009)

SOMMARIO
* Asimmetria morale ed analisi storica * La violenta emozione dell'inconscio collettivo antiebraico * Il duplice carattere dello Stato d'Israele * L'identificazione positiva e negativa di Israele con il capitale mondiale * Le impossibili richieste di un paradosso reale * La ragion di Stato di Israele nelle guerre contro Hamas e Hezbollah * L'opinione pubblica mondiale anti-israelita e la decomposizione ideologica della sinistra * Una "terza posizione" che non è una posizione * Delitto e castigo o critica radicale mediata storicamente? * Un cuore dalla parte del regime della Sharia * Il determinismo della coscienza e il ruolo degli eroi * Il conflitto per procura e la demoralizzazione della critica del capitalismo * Anti-israelismo - la matrice di un nuovo antisemitismo * La sinistra come Dr. Jeckill e Mr. Hyde *

* Le impossibili richieste di un paradosso reale *
La falsa identificazione e la falsa contro-identificazione derivano sistematicamente dalla non comprensione del duplice carattere di Israele, che rappresenta in un certo senso un paradosso reale. Poiché l'esistenza come Stato capitalista, come unica cosa possibile nelle condizioni date, da un lato, e l'esistenza come reazione all'antisemitismo globale, dall'altro lato, non costituiscono in alcun modo un fatto comprensibile e "definibile" in maniera positivista - costituendo, al contrario, una contraddizione in sé. La costituzione in quanto Stato capitalista include necessariamente tutti gli attributi, le condizioni ed i procedimenti che sono un bersaglio nella prospettiva emancipatrice della critica radicale. Allo stesso tempo, questa critica comprende anche, necessariamente, la lotta contro qualsiasi forma di antisemitismo che è, a sua volta, costitutiva dell'esistenza di questo Stato. Per poter far fronte a questa difficoltà, si richiede un approccio che tenga conto di entrambi i momenti, senza cadere nell'identificazione; e la solidarietà con Israele in quanto Stato, contro l'antisemitismo globale, può essere efficace solo riconoscendo la contraddizione della sua esistenza.
Questo richiede anche un secondo riconoscimento, allo stesso livello di coscienza in cui è in qualche modo possibile questo primo riconoscimento del carattere duplice di Israele. In quanto Stato capitalista, Israele ha necessariamente alla sua base una corrispondente ragion di Stato. In questa ragion di Stato, tuttavia, il suo carattere duplice, mediato storicamente e socialmente su scala mondiale, può emergere solo attraverso un'ulteriore mediazione, se può emergere. Per le agenzie di questa ragion di Stato, l'antisemitismo viene di fatto percepito, in qualche modo, come condizione costitutiva; ma soltanto superficialmente, e non come momento di una critica emancipatrice, e quindi non può determinare la sua azione come portatrice di conoscenza. La conoscenza concettuale dello statuto contraddittorio di Israele proviene da una riflessione difficilmente possibile per i rappresentanti di una macchina statale capitalista - riflessione che anche per questo, pure in Israele, deve rimanere limitata alla sfera teorica. Né qui, né in alcun altro posto del mondo esiste una forza sociale nella cui azione sia potuto entrare questo punto di vista in quanto tale. Perché questo sia possibile, bisogna costituire un movimento transnazionale, e con potere di intervento, il cui obiettivo pratico sia una società mondiale al di là delle relazioni moderne di feticcio; ma siamo assai lontani da questo.
Così, il carattere duplice di Israele, dato in sé storicamente e socialmente a livello mondiale, si frantuma in due momenti contraddittori della coscienza. Per le agenzie e per i rappresentanti di Israele in quanto Stato, nella pratica esiste soltanto l'abituale ragion di Stato capitalista, con tutte le sue conseguenze che, tuttavia, e contrariamente a tutte le altre ragioni di Stato, deve affrontare la sindrome antisemita come determinazione esterna del nemico. Per la riflessione critica, al contrario, esiste soltanto il riconoscimento teorico del carattere duplice di Israele, che non può dissolversi immediatamente in quella ragion di Stato, ma che a sua volta si confronta con essa come condizione esterna. Da questo deriva, pertanto, che questi due momenti contraddittori ed opposti - nei quali lo statuto di Israele in ogni caso appare diverso alla coscienza - non possono essere scagliati l'uno contro l'altro.
Il che significa che qui abbiamo una relazione di tensione che non si può dissolvere in maniera identitaria. Né si deve appoggiare, a scatola chiusa, qualsiasi azione conforme alla ragion di Stato israeliana, di per sé, in nome della lotta contro l'antisemitismo globale; né, inversamente, si può semplicemente sussumere quest'azione alla sua qualità capitalista, e sottometterla così alla critica. Sono precisamente questi i punti estremi fra i quali oscilla l'analisi critica, la quale, o si trasforma nell'identificazione con la relazione di capitale, in quanto solidarietà meramente identitaria con Israele, oppure, in quanto critica dell'azione capitalista dello Stato israeliano, diventa una pura e semplice "critica di Israele", ed in questa misura diventa suscettibile di essere annessa allo "odio inconscio per gli ebrei" e alle attribuzioni ideologiche antisemite.
Il riconoscimento critico del carattere duplice di Israele include il momento in cui quella ragion di Stato capitalista è essa stessa nuovamente contraddittoria in sé, ivi compreso il pericolo dell'auto-distruzione. Israele è pertanto minacciata anche a partire dall'interno, nel senso relativo al suo significato di contrappeso all'antisemitismo ed alle sue cause, dal momento che Israele, come qualsiasi Stato, sviluppa in particolare quelle tendenze già menzionate, oggi bene in vista e con effetti aggravatisi - tendenze autoritarie, social-darwiniste, radicali di destra, nazionaliste, militariste, ecc. - e, nelle aggravate condizioni di crisi globale, crea perciò la sua propria potenzialità di imbarbarimento. Un procedimento critico-emancipatore non può evitare il confronto con tali inevitabili avvenimenti, se vuole che il potenziale di critica sociale non venga divorato dal paradosso reale dello statuto di Israele, e che questo a sua volta non si dissolva in un'affermazione cieca delle peggiori situazioni e dei peggiori modi di procedere capitalista, solo perché sono israeliani. In questo modo si perderebbe proprio la giustificazione della solidarietà con Israele contro l'antisemitismo e, insieme ad essa, anche il riconoscimento del duplice carattere di questo Stato.
Ma la contraddizione può essere risolta anche unilateralmente, in senso contrario, e così, mal risolta. Così come, non raggiuggendo la comprensione del carattere duplice di Israele, il punto di vista critico-emancipatorio si estingue; mentre, quando invece tutte le conseguenze della condizione capitalista di questo Stato sono oggetto di un'affermazione immediata, a maggior ragione non si riesce ad afferrare questo duplice carattere, anche se, inversamente, Israele è obbligato a soddisfare immediatamente il criterio di un modo di pensare e di agire proprio della critica emancipatrice. Allora il paradosso reale si trasforma in quelle che sono esigenze impossibili per una ragion di Stato capitalista, la quale non sarebbe più nemmeno ragion di Stato, senza che, d'altra parte, le condizioni storico-sociali fossero state soppiantate. Consciamente o inconsciamente, si vorrebbe che Israele agisse non come uno Stato, ma come un movimento di critica radicale.
La solidarietà con Israele si trasforma così nel suo contrario, poiché proprio a questo Stato, più che a qualsiasi altro Stato, è assegnata la funzione abituale di Stato nel campo delle relazioni mondiali politico-economiche di crisi. Tutte le manifestazioni capitaliste di Israele, dal punto di vista sociale, politico ed ideologico, appaiono allora anche in maniera dissimulata, come ragioni molteplici contro l'esistenza di questo Stato, in quanto esso non soddisfa alle esigenze impossibili di una coscienza critico-emancipatoria ipocrita.
La solidarietà astratta, e quindi dichiarata solo in maniera legittimatrice, a favore di Israele contro l'antisemitismo, diventa così, in ciascun scontro concreto del conflitto in Medio Oriente, la ragione per pronunciare l'anatema contro la vera Israele. Ad esempio, l'azione di Stato per cui Israele, in una tipica valutazione del nemico, abbia inizialmente promosso Hamas conto Fatah allora dominante, per ragioni tattiche, funziona come colpa fondamentale e si riflette nell'accusa di alleanze tattiche con la Turchia autoritaria, ed in generale di coinvolgimento politico nelle opache relazioni di caos nel Medio Oriente; per non parlare dell'alleanza strategica con gli Stati Uniti e con il mondo capitalista occidentale. Mentre, da molto tempo, il posizionamento anti-israeliano di gran parte delle sinistra globale viene assunto quasi come principio condizionale, la falsa coscienza critica denuncia la politica israeliana come generalmente reazionaria e alleata di tutti i regimi autoritari, appoggiata dal capitale mondiale; come se la ragion di Stato israeliana fosse obbligata a cercare la sua auto-affermazione solo in connessione con le forze deboli, per non dire patetiche, della critica tronca del capitalismo, sia nella regione che in tutto il mondo. In Medio Oriente, la critica di ispirazione marxista è stata in gran parte distrutta ed i movimenti laici dell'ideologia della modernizzazione si sono posizionati, fin dalla loro genesi, anche come antisemiti (ad esempio, l'organizzazione del vecchio Partito Bath, in Siria ed in Iraq). Seriamente, lo Stato di Israele non può essere obbligato ad un "progressismo" borghese ormai obsoleto nella regione, o ad un'azione che debba procedere d'accordo con la sinistra globale ideologicamente regressiva.
Queste esigenze assurde si acutizzano sempre più ogni qual volta ci sono interventi militari. Se non è bene considerare ciecamente l'azione militare della macchina statale israeliana di per sé come espressione di autodifesa contro l'antisemitismo, tanto meno tale azione può essere negata, in quanto espressione di politica repressiva e reazionaria, se il riconoscimento del duplice carattere di Israele, in generale, deve avere un qualche significato. Indipendentemente dalla situazione concreta e dalle sue modificazioni, gli attacchi militari israeliani vengono sempre considerati come autentiche misure di auto-distruzione. Si consuma così quell'esigenza impossibile che pretende di obbligare Israele ad un comportamento che vada oltre la ragion di Stato e che, proprio per questo, perde la pretesa di una critica emancipatoria, pretesa che vorrebbe imporsi proprio allo Stato stesso.
La dialettica di questa falsa pretesa porta anche alla liquidazione della condizione statale ebraica, ad esempio fra i nemici di Israele e fra gli antisemiti notori, poiché, nelle condizioni reali del conflitto in Medio Oriente, nel mondo del capitalismo in crisi, la dimensione militare di autodifesa non può essere mantenuta meramente latente. Una volta che il riconoscimento astratto del diritto all'esistenza di Israele nega la condizione concreta della ragion di Stato israeliana, la definizione aggettivata di una "solidarietà critica" con Israele si trasforma in una formula vuota, e la critica specifica a determinate forme di manifestazioni capitaliste si trasforma in una fondamentale "critica ad Israele", la quale critica non deve più essere differenziata da un'ostilità fondamentale contro Israele e che, come quest'ultima, viene alla fine legittimata dall'emozione morale asimmetrica.

- Robert Kurz – 6 di 15 – (continua…)

fonte:EXIT!

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