sabato 19 settembre 2015

Un altro discorso

jappe

La società dello spettacolo trent'anni dopo
- di Robert Kurz -

Guy Debord ed altri situazionisti francesi sono di moda. E' la cosa peggiore che poteva loro capitare. In quanto la moda è l'opposto della critica. La critica radicale non può diventare moda senza perdere l'anima. Quel che è sulla cresta dell'onda, è la maniera in cui le idee vengono trasformate in spazzatura. Nella sua lettura postmoderna tanto in voga, la dichiarazione di guerra situazionista fatta all'ordine dominante appare come una critica dei mezzi di comunicazione, che viene svolta sia secondo il gusto degli stessi media, nel miglior stile di un Neill Postman, sia come una manovra culturalista compiuta da "creativi" di sinistra che amano surfare, apparentemente in maniera radicale, sulle onde dell'industria della coscienza. Ma Guy Debord non merita di essere confuso con Baudrillard, e di essere ridotto al formato un un poster pop culturale.

In questa situazione, lo studio di Anselm Jappe su Debord arriva al momento giusto. Poiché Jappe non ha niente in comune con quella lettura della Critica della Società dello Spettacolo, i cui promotori, per molto tempo, ignoravano perfino se fosse stato Debord, e solo lui, il vero fondatore. Se prima c'era bisogno di mettere a tacere il precursore del situazionismo, da parte dei suoi falsificatori che volevano cancellarne le tracce, oggi sembra invece che venga strumentalizzato come un un'icona pop legata ad un "discorso" annacquato e conformista, ben adattato a quel mercato che egli detestava profondamente. Jappe respinge quest'affronto fin dall'inizio, ripristinando senza concessioni la memoria del vero Debord, di cui il mondo fino ad oggi non ha voluto sapere. Il libro di Jappe si concentra proprio sul quel solido marxismo che fa dell'opera di Debord una critica sociale radicale e che, proprio per questo, è stata sistematicamente soppressa dalle attuali reinterpretazioni culturaliste.

E' vero che non si tratta di un marxismo compatibile con quell'ideologia leggittimatrice della "modernizzazione tardiva" che affondò insieme ai regimi capitalisti di Stato. Contro la corrente del marxismo di partito, trent'anni fa Debord, all'epoca del tutto isolato, si era concentrato sul tema centrale della teoria marxista di cui il marxismo del movimento operaio non ha mai saputo cosa farsene: la critica radicale del feticismo della merce, così come si presenta nel modo di produzione e di dominio capitalista. A partire da questo filo conduttore, Debord aveva potuto descrivere l'Unione Sovietica, già molto prima della sua decadenza, come una forma derivata e subalterna del moderno sistema produttore di merci, la quale alla fine doveva di nuovo sfociare nel flusso principale del capitalismo.

Il merito del libro di Jappe, è quello di rendere più chiara l'importanza decisiva della critica radicale dell'economia moderna nel pensiero di Debord. Una critica, le cui quotazioni continuano ad essere in caduta libera, nonostante tutti gli appelli rivolti ai situazionisti dall'attuale spirito del tempo. Quale adepto dei "discorsi" disarmati della critica economica, ama oggi ricordare che l'intervento situazionista svolto nel 1968 culminò nella rivendicazione dell'abolizione del denaro e dello Stato? E' stata quella critica radicale del valore di scambio, che inseguiva il Marx oscuro e sconosciuto, a diventare la critica della "società dello spettacolo". . La riduzione della realtà al fine in sé della valorizzazione capitalistica del valore - l'inversione che avviene al suo interno fra astratto e concreto, fra mezzo e fine - trasforma le potenzialità sociali in un potere estraneo ed ostile che si contrappone agli individui. Le relazioni fra gli esseri umani appaiono come relazioni fra cose morte. Debord sviluppa quest'idea per mostrare come la relazione feticista imposta dal capitale ha raggiunto nel dopoguerra un grado di astrazione ancora maggiore, nella misura in cui le cose prodotte sotto forma di merce sono state rivestite di mmagini, prodotte anch'esse sotto forma di merce: sono tali immagini che mediano, da allora, le relazioni sociali come una realtà apparente compensatrice che si pone di fronte agli uomini, in maniera isolate, come forza aliena riguardo alle forze sociali in essa comprese. Non si tratta di alcuna "teoria dei media", bensì di una critica incompatibile con il capitalismo nell'epoca dei media - lo spettacolo non è altro che "economia delirante".

A partire da quest'analisi, Debord poteva, come Jappe dimostra, sviluppare anche due temi inerenti alla critica del feticismo, che solo oggi, trent'anni dopo, hanno assunto attualità in maniera eminente: la critica del lavoro e la critica della politica. Per la prima volta, germina l'idea per cui l'astratto "lavoro" non rappresenta alcuna categoria sovra-storica, ma è la forma specifica dell'attuazione del sistema capitalista del fine in sé - anche quando Debord formula un tale riconoscimento in una maniera che risulta influenzata dall'esistenzialismo. E nella misura in cui egli integra, in forma generale, la politica nello spettacolo, cioè, nel modo capitalista di de-realizzazione della vita, denuncia già la "democrazia dei media" alla fine del 20° secolo, le sue messinscena senza contenuto, l'apartheid sociale e le guerre sanguinose del nuovo ordine mondiale, che camminano insieme mano nella mano.

Guy Debord ha anticipato sotto molti aspetti una critica categoriale del sistema produttore di merci, critica che oggi, con altri accenti più teorico-critici, viene sistematicamente sviluppata da una scuola, ancora in formazione, di critica radicale del valore e contro lo Spirito del Tempo. Emerge che la crisi oggettiva delle categorie sociali dominanti è maturata a tal punto che un nuovo assalto contro il feticismo della merce, contro il lavoro astratto e contro la politica dello spettacolo, potrebbe arrivare ad essere all'ordine del giorno. In tal senso, è di grande interesse il tentativo di un'articolazione fra la critica di Debord alla "società dello spettacolo" e la teoria radicale della crisi, a partire da una nuova critica del valore.

Nessuno è più indicato di Anselm Jappe, tedesco con radici francesi che vive a Roma, e che fa parte oggi di quei pochi intellettuali che cercano uno scambio transnazionale ai fini di una critica sociale emancipatrice ampliata a partire da questa decisiva dimensione. E non senza successo. La rottura categoriale con la forma "merce" e con la sua emanazione sociale non appare più così tanto disperatamente incomprensibile ed impossibile, com'era alcuni anni fa. Rafforzare i fili più sottili di una tale rete, per un "altro discorso", può essere senza dubbio uno dei buoni servizi svolti dalla traduzione brasiliana di questo libro, che è stato già pubblicato in Italia ed in Francia, ma purtroppo non ancora in Germania.

- Robert Kurz - Prefazione all'edizione brasiliana di "Guy Debord", di Anselm Jappe, 1999 -

fonte: EXIT!

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