sabato 12 settembre 2015

rileggendo

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Il fatto per cui Marx non abbia mai concentrato in un solo volume la sua critica della politica e dello Stato, ha facilitato l'opera di chi, come Bernstein, Kautsky, e tanti altri, ha fondato il "marxismo" come vera e propria teoria dello Stato ("popolare, "libero", "democratico", ...).
Tuttavia, fin da quando inizia la sua rottura con l'hegelismo e con la democrazia, nel 1842/1844, Marx pensa di scrivere un libro sopra (vale a dire, contro) lo Stato. Ma, a differenza dei suoi contemporanei che svolgono una critica platonica dello Stato, opponendo il popolo buono allo Stato cattivo, Marx cerca nelle relazioni di produzione i fondamenti dello Stato stesso; cosa che lo porta la considerare la critica della politica come una conseguenza logica della critica dell'economia. A tal fine, nel 1845, poco prima di esiliarsi in Belgio, Marx firma, a Parigi, un contratto con un editore tedesco, dove si impegna a consegnare un'opera in due volumi dal titolo "Critica della politica e dell'economia politica". Allora non sapeva che un tale progetto gli avrebbe occupato tutta la vita e che non lo avrebbe mai portato a termine. Quell'opera avrebbe dovuto dare continuità all'insieme dei suoi lavori svolti nel 1843 e nel 1844: la "Critica della filosofia dello Stato di Hegel", ma soprattutto "La questione ebraica" e le Glosse marginali di critica all'articolo "Il re di Prussia e la riforma sociale, firmato: un Prussiano", così come i manoscritti denominati "manoscritti di Parigi". Sono tutti lavori dove si consuma e si consolida la rottura di Marx con tutta la società borghese. La critica del denaro e dello Stato, nella sua relazione dialettica, costituiscono la chiave di tutti questi lavori. Il superamento della filosofia coincide con la negazione pratica dell'economia, la politica, e l'arma della critica non si può sostituire alla critica delle armi.
Qualche anno dopo, Marx stenderà un altro piano della sua opera, nel quale, al posto dei "capitoli" (più tardi li chiamerà "sezioni", e dopo ancora "libri") sul "capitale", "la proprietà della terra", ed il "lavoro salariato", concepisce un libro su "Lo Stato".
Il fatto che la sua intensa attività militante, nel corso di tutta la sua vita, gli abbia impedito di affrontare esplicitamente ed in maniera accurata un tale tema, ha permesso che vengano dette sciocchezze come quella per cui "in Marx non c'è una teoria dello Stato", oppure che "Marx non ha fatto una critica della politica", o ancora peggio, per mantenere la leggenda bakuninista e kautskiana (e dopo leninista e stalinista) di un Marx adoratore dello Stato. Oltre ai testi succitati, esistono nell'opera di Marx altri documenti che sono decisivi per provare il contrario:

a) Note a margine del libro di Bakunin, Stato e Anarchia (1873);
b) La "Critica del programma di Gotha - Nota a margine al programma del Partito operaio tedesco" (1875);
c) "Comune contadina e prospettive rivoluzionarie in Russia".

"Questi tre documenti costituiscono, in qualche modo, la quintessenza del libro sullo Stato che Marx pensava di scrivere", scrive Maximilien Rubel in "Marx teorico dell'anarchismo".

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