martedì 15 settembre 2015

Dialogo con Moishe Postone, Chicago, 11 luglio 2014

postone

"Organizzarsi secondo un'idea che vada molto al di là della distribuzione collettiva di beni e servizi"
- Una conversazione con Moishe Postone - Intervista di  Álvaro Briales (Universidad Complutense de Madrid) -

Briales: Sono trascorsi vent'anni da quando hai pubblicato il tuo principale libro, "Tempo, lavoro e dominio sociale". Trascorso questo tempo, cosa pensi riguardo alla ricezione del tuo sforzo teorico? Che influenza credi che abbia, o che possa avere in futuro? Che genere di dialogo sta avendo con le persone nelle università o nei movimenti sociali?

Postone: Penso che abbia avuto una ricezione maggiore fuori dagli Stati Uniti. E credo che, in parte questo sia dovuto al fatto che negli Stati Uniti c'è una distanza molto più grande fra il lavoro teorico e le persone politicamente attive. I circoli di attivisti negli Stati Uniti tendono ad essere "anti-teorici". Qui, la teoria è entrata a far parte delle discipline umanistiche, e il che ha avuto un effetto peculiare e un po' scoraggiante. Ho la sensazione che ci siano più persone che discutono del mio lavoro in Germania, Francia, Spagna, e spero anche in Brasile - l'edizione portoghese è stata appena pubblicata - che negli Stati Uniti.

Briales: Però ci sono molti professori marxisti, com Harvey o Jameson, che sono abbastanza letti nelle università nordamericane, no?

Postone: Sì. Non sono sicuro di questo, ma parte della spiegazione credo che abbia a che vedere col fatto che quello che si legge negli Stati Uniti dipende molto da quello che gli inglesi dicono che si dovrebbe leggere. Questo è quello che avviene soprattutto con l'editore Verso. La gente è a conoscenza di quello che Verso sta pubblicando ed allora è questo quello che insegnano.

Briales: Riguardo al dibattito intorno al tuo lavoro, hai fatto molte critiche ad autori importanti: per esempio, nel tuo libro c'è un capito intero di critica ad Habermas, e molti dei tuoi articoli e capitoli sono stati dedicati alla critica di autori come Brenner, Arrighi, Harvey, Bell, Mandel o Derrida. Hai mai ricevuto risposte dalle persone che hai criticato?

Postone: Mai. Almeno da Habermas sicuramente no, né tanto meno dai seguaci di Habermas, dal momento che mantengono un'enorme distanza rispetto a tutto quello che ha a che fare con Marx. Ritengo che la direzione presa da Habermans sia molto cattiva e che si sia portato dietro molti intellettuali progressisti. Credo che la vera debolezza del suo approccio - su cui ho scritto vent'anni fa - appaia insieme alla crisi. Si possono dire molte cose sulla crisi, ma nessuna di tali cose ha molto a che vedere con la teoria di Habermas. Ebbene, io ho dedicato molto tempo a criticare alcuni autori, ma non mi aspettavo delle risposte da loro, in realtà mi stavo rivolgendo ai lettori, e inoltre stavo tentando di sfuggire ad un'abitudine delle sinistre, che ritengo essere molto settaria, che consiste nel non considerare gli autori con i quali si è in disaccordo, oppure semplicemente caratterizzarli ed etichettarli, per poi scartarli. Credo che questo sia molto settario. In sostanza, nel mio libro ho voluto presentare un approccio non settario nel modo di criticare le persone che stanno cercando di spiegare criticamente il mondo.

Briales: Sì. Questo tipo di teoria astratta del capitalismo, a volte alcune persone la vedono come se il proporre uno sguardo globale sul mondo debba necessariamente essere qualcosa di arrogante. Però, dall'altro lato, ad esempio, a leggere Robert Kurz (gruppo Krisis/Exit!), con il suo stile che a volte è più o meno politicamente scorretto, si può produrre questa sensazione del "quanto sono stupidi gli altri, che non si rendono conto di come funziona il capitalismo".

Postone: Questo è uno dei problemi con Kurz. Molte delle cose che dice, analiticamente sono assai buone. Però forse è troppo polemico, e per me, questo perpetua quella che ritengo una mentalità settaria, e credo che la sinistra non possa arrivare da nessuna parte con un tale tipo di mentalità.

Briales: Cosa ne pensi della teoria in quanto forza storica? Ad esempio, il gruppo Krisis/Exit" sta lavorando teoricamente fuori dal mondo accademico, in quanto ritengono che il lavoro teorico sia anche una forma di militanza politica. Quindi, che ne pensi dell'importanza relativa che può avere la teoria critica vista come un modo attraverso il quale la società possa auto-comprendere il suo potenziale di trasformazione?

Postone: Credo che dipenda dalla natura del modo di teorizzare. Negli Stati Uniti, abbiamo avuto molti modi di teorizzare che in realtà hanno continuato a girare su sé stessi, nella misura in cui un gruppo molto delimitato di persone parla a sé stesso e nient'altro, cosa che credo sia disastrosa. Però, questo cambia molto da un paese all'altro. Krisis ed Exit! stanno in Germania, dove c'è una lunga tradizione di intellettuali extra-accademici. Non è così forte come lo era prima, ma tuttavia c'è ancora spazio per loro, mentre negli Stati Uniti c'è molto meno spazio. Come ho detto prima, negli Stati Uniti c'è molta più distanza fra gli accademici e gli attivisti, i quali tendono ad essere falsamente pragmatici. Credono di esserlo, ma non sono pragmatici in assoluto: tutto quel che vogliono è "fare qualcosa". Credo che nelle scienze sociali europee ci sia molto più spazio per iniziative critiche rispetto a quanto ce n'è negli Stati Uniti, in parte perché qui le scienze sociali hanno abbandonato la teoria da una generazione. E' assai tato trovare teoria rispetto alle scienze sociali negli Stati Uniti, mentre in Europa è ancora possibile. Sono luoghi molto diversi.

Briales: D'altronde, nel 2004 è uscito un numero monografico della rivista "Historical Materialism" in cui c'erano sette o otto articoli dedicati al tuo lavoro. Credi che alcune delle critiche ed alcuni commento riguardo al tuo lavoro fossero buoni?

Postone: Non ho ancora finito di scrivere riguardo a questa cosa, perché ho dovuto lottare contro alcuni problemi di salute, per cui è rimasto in sospeso. Credo che alcuni abbiano compreso molto bene il mio lavoro. Altri, che provengono dalla tradizione marxista britannica, credo che non lo abbiano capito affatto, in quanto per lo loro è come per la Chiesa: primo, bisogna "credere", e quello in cui bisogna credere è la classe operaia, e tutto il resto discende da questo. Ma io non credo nella Chiesa, credo che non sia questo ciò che deve fare la teoria critica. Però, in generale, incluse anche le persone con le quali non sono d'accordo, penso che abbiano svolto un approccio serio.

Briales: In uno degli articoli inclusi in questa monografia, Werner Bonefeld arriva a dire che non si può ridurre la classe sociale ad una relazione di distribuzione, e che anche le forme sociali sono create dai rapporti di classe. Cosa pensi di questa critica? Perché persone come il gruppo "Endnotes", o alcuni in Spagna, tornano di nuovo a sottolineare l'approccio di classe. [*1*]

Postone: Sì, credo che con questo ci sia un problema serio. Nella maniera in cui io leggo Marx, che è quello che fa sì che Marx sia molto difficile, la logica del capitale punta molto al di là della classe [lavoratrice]. E la maggior parte delle teorie basate sulla classe - credo che dopo il 20° secolo, lo possiamo affermare - o puntano ad una forma di capitalismo di Stato, o puntano ad una socialdemocrazia. Però, l'idea dell'abolizione del lavoro proletario è impossibile se parti dalla categoria di classe. Se si afferma che la logica [del capitale] porta all'abolizione del lavoro proletario, allora dobbiamo ammettere che si pongono delle questioni politiche serie: come ti organizzi? Perché non ti puoi organizzare semplicemente intorno agli interessi della classe operaia. Ci si dovrebbe organizzare, e questo è molto difficile, intorno all'idea di una nuova organizzazione sociale che sia molto più della distribuzione collettiva di beni e servizi. Credo che questo sia tremendamente difficile dati gli attuali livelli di disoccupazione nel mondo intero, e con le gigantesche popolazioni degli slum del Sud globale, che sono anch'essi il segno degli enormi livelli di disoccupazione. Mi sembra che ci sia molto lavoro da fare, se si vuole assumere questo [l'idea di un'organizzazione sociale che non sia solo basata sugli interessi di classe] come punto di partenza. Credo che non abbia più alcuna credibilità l'idea per cui, con un governo migliore, avremmo la piena occupazione. Semplicemente, non è fattibile. E' una richiesta assolutamente comprensibile, ma credo che abbia smesso di essere fattibile.[*2*]

Briales: Sì, potrebbe funzionare solo per degli specifici parsi per qualche tempo, ma a medio o lungo termine...

Postone: Può darsi che funzioni per la Germania per qualche tempo [ironicamente]. Ma, ad esempio, non credo che sia fattibile negli Stati Uniti se, per esempio, come molti sanno, si guarda alla popolazione che sta in prigione e se gli includi "come disoccupati", allora i livelli di disoccupazione negli Stati Uniti ecco che sono tremendi. Ciò che rende il problema un po' più difficile da capire, con un certo distacco in termini politico-economici, è il fatto che, in questi paesi che sono codificati razzialmente, è assai comprensibile che molti attivisti radicali credano che si tratti semplicemente di un problema di razzismo. La codifica della disoccupazione in termini razziali è un problema, ma il livello di disoccupazione non è dovuto al razzismo. Qui [negli Stati Uniti] abbiamo livelli spagnoli di disoccupazione, solo che qui i disoccupati sono tutti neri ed ispanici. L'intersezione fra la razza e l'economia politica è politicamente complicata.

Briales: E' confortante sapere che la Spagna sta tanto bene quanto stanno gli Stati Uniti, o tanto male...

Postone: Sì. Leggevo sul giornale l'altro giorno, che se uno avesse soldi da investire, ora dovrebbe investirli nel comprare debito spagnolo [ironicamente]

Briales: C'è un importante questione teorica, che ritengo non sia molto specificata nel tuo libro. Un sacco di gente considera molto importante la distinzione cruciale fra lavoro produttivo ed improduttivo, ma come si può dare un'analisi concreta del capitalismo secondo le categorie di produttivo ed improduttivo per mezzo di un'investigazione empirica? Poiché, se vuoi sapere quante sono le persone potenzialmente superflue, allora è una questione importante quella di sapere quanto lavoro improduttivo esiste in un paese, o nel mondo.

Postone: Una delle ragioni per cui non mi sono concentrato su questo tema è perché, negli anni 70 e al principio degli 80, le categorie di produttivo/improduttivo sono state profondamente fraintese e sono state intese come categorie positive. Il lavoro produttivo veniva assunto come ciò che sarebbe stata la spina dorsale del socialismo, mentre Marx voleva dire esattamente il contrario. Il problema ai fini di un'investigazione empirica è quello di scoprire quanto del settore dei servizi sia produttivo per il capitale, e non per la società. E credo che questo richieda molto lavoro teorico e pratico che io non ho svolto, però ritengo che il punto centrale, rispetto a questo tema, sia come distinguerlo. Ad esempio, in questo paese, abbiamo una nuova classe di "servi". Uno degli effetti collaterali, che sono emersi con l'uguaglianza di genere nella classe media-alta, è quello per cui tanto gli uomini che le donne lavorano, mentre la struttura del lavoro non è cambiata in alcun modo, ragion per cui è aumentata la quantità di lavoratori domestici (servi) che si prendono cura dei bambini, e che generalmente provengono dall'America Latina. Questi non vengono chiamati "servi", e non vivono nella stessa casa, come accadeva con i vecchi "servi". Sono produttivi o improduttivi? Marx pensava che la vecchia classe servente fosse improduttiva, e dopo tutto era altrettanto grande di quanto lo era la classe operaia in Inghilterra, e non è che Marx non lo sapesse. So quanto sia frustante per molte persone che amano lavorare a contatto con la realtà, con determinati gruppi della popolazione, ma io sono cosciente di questo. Ma devo dire che la classe servente di oggi è improduttiva. Ebbene, vi è un argomento per cui alcuni aspetti del settore finanziario sono produttivi, che sono importanti in termine di estrazione del plusvalore, ivi incluse anche alcune forme di capitale fittizio, e perciò nelle mie lezioni, il prossimo anno, voglio affrontare più profondamente il terzo volume de Il Capitale.

Briales: In paesi come la Spagna, abbiamo quasi un 70% di servizi, e credo che stia crescendo ulteriormente. Sì, è molto difficile, perché bisogna affrontare la struttura globale del lavoro e quindi rapportarla ad un paese specifico. Però credo che sia abbastanza importante comprendere quanto lavoro che crea valore ci sia nel mondo in questo momento, in quanto non è la stessa cosa se esso è il 50%, o il 20% o l'1%.

Postone: Certo.

Briales: Sul tema della disoccupazione, ho trovato interessante un recente libro di Jameson, "Representing Capital", in cui dice letteralmente che "i disoccupati o gli indigenti, i poveri vengono, per così dire, impiegati dal capitale per rimanere disoccupati; svolgono una funzione economica proprio per mezzo del loro non-funzionamento (anche se non sono pagati per farlo". E' un po' la vecchia questione del sottoproletariato. Dal momento che sto facendo delle ricerche sulla disoccupazione in Spagna, sono interessato a sapere come possa essere produttiva una massa di persone che diventa sempre più superflua. Non solo quelli che stanno cercando lavoro "attivamente", ma anche gli altri.

Postone: Credo che non si debbano confondere le due cose: una cosa è essere produttivo per il capitale, per la produzione di plusvalore, che analiticamente è un termine molto specifico; e un'altra cosa è dire che questa gente non sta realmente fuori dalla società, nonostante le apparenze. Dire che sono parte del sistema non è lo stesso che dire che sono produttivi. Certo, essi contribuiscono a far abbassare i salari e a diminuire la capacità di organizzazione , che è stato il ruolo svolto dalla disoccupazione strutturale negli ultimi due secoli, e che in buona parte è anche il ruolo che svolge il precariato.

Briales: Un concetto chiave nel tuo libro, è il concetto di mediazione. Cosa vuoi dire esattamente con mediazione? Quali sono le tue fonti?

Postone: Marx, naturalmente. Tutti citano il feticismo, e parlano del modo in cui le relazioni appaiono come cose, e questo sarebbe il feticismo. Io volevo vedere che cosa comporta prestare attenzione alle relazioni, e le relazioni sono forme di mediazione, ma le forme di mediazione non appaiono come relazioni sociali, sebbene siano relazionali ed abbiano tutte le proprietà di una relazione. Pertanto, il valore non è una proprietà bensì una relazione, il capitale è una relazione, una relazione dinamica, ed è questo quel che ho cercato di seguire, e quindi ho utilizzato la parola "forme di mediazione". Molte persone, nel marxismo [tradizionale] di classe, vanno nella direzione opposta, e pensano che l'unica relazione è la relazione fra blocchi, però queste non sono relazioni, sono blocchi, sono forme feticizzate. Non so se questo sia l'inizio di una risposta.

Briales: E dal punto di vista filosofico, cosa ha a che vedere Hegel con questo concetto?

Postone: Molto. La differenza fra Hegel e Marx, nella mia lettura, è che per Hegel la natura misteriosa della mediazione, che Marx analizza con il valore ed il capitale, è una proprietà della realtà in generale, ed in Marx non lo è. Quest'idea della mediazione "occulta" [dietro le nostre spalle] è una caratteristica del capitalismo, non della realtà. E credo che quando Marx si interrogò su come sarebbe stata una società post-capitalista, ritenne che buona parte del ruolo giocato dalla mediazione sarebbe stato occupato dalla politica: non prendendo decisioni tecnocratiche, ma attraverso dibattiti diretti.

Briales: Ci sono alcuni importanti autori che condividono punti comuni con il tuo approccio, però non vengono menzionati nei tuoi lavori, ad esempio Immanuel Wallerstein e tutta la scuola dell'analisi del sistema-mondo. Anche loro attribuiscono importanza al tema della riflessività e cercano di spiegarla storicamente, condividono anche l'idea del capitalismo come accumulazione illimitata, e criticano le separazioni accademiche. Qual è la tua opinione?

Postone: C'è un autore della scuola di Wallerstein che ho analizzato in maniera molto puntigliosa, e questo è Arrighi. Quello che mi piace di Wallerstein e della sua scuola è il fatto che hanno analizzato la natura globale del capitalismo fin dai suoi stessi inizi. Questo mi piace e sono decisamente a favore di una tale analisi. Però non credo che abbiano una comprensione davvero sufficiente del capitalismo. So che quel che dico suona un po' esagerato, ma ritengo che sia così. Il concetto, come in Arrighi, secondo il quale la relazione fra lo Stato ed il capitalismo necessiti sempre dell'egemonia, ne è una caratteristica. Bene, sì, ad un livello è necessaria, ma non per il capitalismo, bensì per il funzionamento dell'ordine mondiale, il che non è la stessa cosa, c'è una differenza. E per lui, se non c'è egemonia non c'è capitalismo, il che significa che è aconcettuale, non ha un concetto del capitale. E penso anche che non abbiano una comprensione delle contraddizioni del capitale. Voglio dire, che sono d'accordo con la loro enfasi riguardo alla natura globale del capitalismo, ma in realtà non hanno una concezione del capitalismo.

Briales: Sì, hanno un idea trans-storica del lavoro, non distinguono fra valore e ricchezza... E che cos'è che nell'approccio di Wallerstein non riesce a spiegare quello che è avvenuto negli ultimi 50 anni, ad esempio, che nel tuo approccio potrebbe essere spiegato?

Postone: Credo che il mio lavoro aiuti a spiegare - ed in sé ne è un sintomo - il declino del marxismo tradizionale. Per esempio, credo che il mio lavoro aiuti a spiegare la debolezza dei partiti della classe operaia negli ultimi quarant'anni in rapporto alla prima metà del 20° secolo. Credo che l'analisi del sistema-mondo non riesca a captare questo processo in assoluto. Quello che è avvenuto, è che i partiti di sinistra che si pensava fossero forti, sono semplicemente scomparsi! Come quello italiano! Ricordo di quando si pensava che il partito comunista italiano fosse il partito più forte d'Europa. E ad un tratto sparisce! E' davvero incredibile, e poi arriva Berlusconi! Lo stesso è avvenuto in Francia, ed in Spagna non è stato molto diverso anche se alla fine della dittatura c'è stato un forte partito comunista. Credo che il mio approccio aiuti a spiegare questo processo.

Briales: Sì, nelle ultime elezioni europee, si è vista l'ascesa dei partiti di estrema destra esplicitamente razzisti.

Postone: E cosa è successo in Spagna?

Briales: Bene, in Spagna è avvenuta una cosa particolare, con un nuovo partito chiamato "Podemos", il quale ha ricevuto anche qualche critica. Dal punto di vista della tua teoria riguardo le forme contemporanee di anticapitalismo, credo che sia molto interessante capire alcune delle cose che stanno avvenendo, in quanto credo che sia molto difficile, ora, anche in Europa, non incolpare direttamente il capitale finanziario, soprattutto a partire dalla posizione della Spagna, costretta dall'Unione Europea a fare delle ristrutturazioni, negli anni 80 e 90. Questo nuovo partito, [Podemos], sta utilizzando un'idea che può esser vista come pericolosa, perché parla esplicitamente dei "poteri stranieri che non abbiamo eletto", che suona un poco...

Postone: Cospirativa. [*3]

Briales: La differenza è che loro [Podemos] stanno identificando il nazionale ed il patriottismo con i servizi pubblici, e sono stati molto espliciti riguardo ad un discorso antirazzista che non contrapponga i lavoratori spagnoli agli immigranti. In altre parole, che questo "potere straniero" venga identificato con i ricchi, con la troika, con il capitale finanziario, ecc., e perciò vengono anche accusati di essere in qualche modo populisti. Inoltre, ora c'è un dibattito in Spagna sul tema dell'utilizzo dell'identità nazionale, poiché ci sono molte persone di sinistra che rifiutano un tale utilizzo. Ma uno dei principali argomenti di Podemos è che era urgente porre la questione dell'identità nazionale ed unirla ad un discorso di sinistra, perché questo porterebbe ad avere un partito di sinistra che occupa lo spazio che potrebbe essere occupato potenzialmente dall'estrema destra, come in Grecia ed in altri paesi. Quindi, quest'idea dei "poteri stranieri" suona molto male, però è molto utile per ottenere voti, ed il punto è quello di riuscire ad incolpare i cosiddetti "poteri stranieri" senza incolpare gli immigranti. Ma non sono sicuro che qui si tratti di una questione superficiale o di una questione molto più profonda, e spero che non ci siano delle conseguenze indesiderate in futuro. Allora, pensi che l'identità nazionale sia necessariamente reazionaria per la sinistra, o ci possono essere modi interessanti di utilizzarla?

Postone:  Penso che dipenda molto dal contesto. Per un certo tempo, si è andati troppo lontano nell'altra direzione. Quando c'era l'influenza dei movimenti anti-coloniali, in molte parti del mondo l'identità nazionale veniva vista come trasformatrice. E credo che negli ultimi anni il Medio Oriente abbia dimostrato che l'identità nazionale era reazionaria anche lì: è stata alla base della dittatura in Siria, in Iraq ed in Egitto. E la sinistra è saltata sul carro dell'identità nazionale. Bisogna sottolineare che ci sono poche analisi di sinistra sul Medio Oriente. Tutti pensavano che appoggiare i palestinesi fosse di sinistra, cosa che era un grande equivoco, in quanto, parallelamente a questo, si trascurava il resto del Medio Oriente, di modo che ora le persone sono molto sorprese di quello che avviene in Siria: sono stato lì trent'anni fa, e c'è sempre stata una dittatura brutale, e non si è mai letta un'analisi di sinistra sulla Siria. In Gran Bretagna, in parte si è visto un dibattito fra Tariq Alì, che è molto nazionalista, e Fred Halliday, che del Medio Oriente ne sapeva molto di più.

Briales: Sì, credo che questo tipo di analisi siano abbastanza sconosciute, quanto meno nel contesto spagnolo.

Postone: Sì, perché il mondo arabo ha finito per essere ridotto ad Israele-Palestina. Se la gente parlava di Medio Oriente, lo faceva unicamente a proposito di Israele-Palestina. Al-Assad ha ucciso 175mila persone! E' enorme e la sinistra non scrive su questo. Credo che sia una frode e credo che in parte abbia a che fare con il nazionalismo, col nazionalismo extra-europeo, che veniva visto semplicemente come qualcosa di positivo per il passato anti-coloniale. Ci sono molte poche analisi sulla natura dei regimi post-coloniali. E una delle ironie è che di tutti i paesi in cui negli ultimi cinque anni ci sono state delle rivolte, è la Tunisia quella che sta cambiando - per lo meno c'è qualche speranza. La Tunisia ha le istituzioni più europee, ha un movimento sindacale forte che gli altri paesi non hanno mai avuto, e questo in parte lo si deve al colonialismo francese, vale a dire, che in questo c'è dell'ironia. E in molti casi, alcuni movimenti che non erano poi così trasformatori erano quelli più appoggiati dalla sinistra europea. In Algeria, ci sono stati movimenti anti-coloniali di sinistra che erano molto più progressisti di quanto lo fosse l'FLN, ma quasi tutta la sinistra saltò sul carro dei movimenti nazionalisti islamici.
Credo che in Europa la questione sia molto diversa, ma non penso che il nazionalismo abbi alcun futuro in Europa, se non come "anti-immigrante". Su questo credo che abbia un futuro dorato. A parte ciò, alcuni movimenti sono semplicemente stupidi, come quello della Scozia. La Catalogna è qualcosa di più comprensibile a causa del tradizionale anti-centralismo spagnolo, ma la Scozia?

Briales: Sì, in Catalogna è molto contraddittorio, e non c'è affatto una sola posizione. Credo che ci siano delle persone critiche che ritengono che nell'attuale contesto storico abbia senso appoggiare il movimento indipendentista. E inoltre ci sono molte relazioni con le esperienze latinoamericane, col Venezuela, la Bolivia, l'Equador, ad esempio. Al momento, si stanno appropriando dei mezzi di produzione in senso classico, ed in molti casi appare loro sufficiente.

Postone: Penso che si trovano a confrontarsi con un insieme di problemi molto diversi, con la questione indigena, con il divario fra poveri e ricchi, ma anche con il rischio della dittatura. Non sono un grande fan di Chávez né dello chavismo, né tanto meno di Evo Morales, il che non significa che sia un fan delle opposizioni di questi paesi. Non so se in Venezuela ci siano gruppi di sinistra che non sono chavisti. Credo che in Brasile e a Cuba ci siano. Mi interessano le persone che sono critiche di questi regimi, però da sinistra.

Briales: Ora, in Spagna ci sono di nuovo molti dibattiti sui mezzi e sui fini, in quanto c'è una situazione molto diversa da quella delle ultime elezioni, dove alcune persono stavano già immaginando di tornare al potere. C'è un tuo concetto che mi piace molto e che parla dell'appropriazione del tempo storico della società inteso come un tutto, che cerca di superare l'idea classica dell'appropriazione dei mezzi di produzione in quanto semplice proprietà privata.[*4] In termini concreti, pensi che la tua idea di un "fine" come l'appropriazione del tempo storico potrebbe utilizzare i "mezzi" keynesiani, i "mezzi" produttivisti" o i mezzi dello Stato? Perché se noi immaginiamo che prendendo il potere politico in Spagna, si avrebbero i mezzi per ridurre di molto la giornata lavorativa, in quanto abbiamo molta industria, ecc.. La sinistra ora dice che creerà nuova industria, ma naturalmente questo è molto limitato, in quanto come già sappiamo per il capitalismo globale c'è solo una soluzione globale. E questo dilemma è dovuto anche alla nostra tradizione di movimenti sociali molto influenti che rifiutano di entrare nelle istituzioni.

Postone: Certo, l'anarchismo spagnolo. Io penso che qualsiasi movimento a livello nazionale possa essere solo riformista. Credo che a questo proposito ci sia qualcosa di molto importante: 150 anni fa, Marx diceva che per l'organizzazione della classe operaia, la lotta è importante non solo perché così i lavoratori  ottengono quel che richiedono, ma soprattutto perché si organizzano. Mi sembra che questa nuova forma di sinistra debba cercare di arrivare ad essere internazionale, per lo meno a livello europeo. E questo implicherebbe scoprire quali rivendicazioni sono storicamente adeguate, e quali sono troppo locali. Credo che questo sia un processo da compiere, e non credo che sia possibile alcuna vittoria delle sinistre in Spagna, e in nessun altro paese europeo, che si appropri immediatamente del tempo storico. Non credo sia possibile, non ci può essere qualcosa come "il post-capitalismo in un solo paese". Non so se questo movimento di sinistra abbia relazioni con movimenti simili in Francia, Germania, Olanda, Italia. Non può essere solo un movimento del Sud Europa, con la Grecia per esempio.

Briales: Sì, ora il punto principale del discorso è il Sud dell'Europa contro il Nord dell'Europa ed i suoi interessi.

Postone: Credo che bisogni allearsi anche con il Nord Europa, perché altrimenti gli internazionalisti saranno Alba Dorata e Le Pen, insieme a qualche movimento fiammingo, forse. Questo è davvero spaventoso, che ci possa essere un movimento fascista internazionale, per cui bisogna che ci sia un movimento di sinistra che possa andare al di là dell'involucro del comunismo e della socialdemocrazia. E non vi sono risposte definitive, bisogna che sia un processo che diventi possibile attraverso la sua organizzazione ed il suo percorso di apprendimento. Credo fermamente che, in Europa, debba essere internazionale.

- Intervista realizzata a Chicago, l'11 luglio del 2014 -


NOTE:

[*1*]: Per Postone, il marxismo tradizione non svolge una critica del modo di produzione, ma soltanto del modo di distribuzione, ossia, dell'appropriazione diseguale del plusvalore. Secondo Postone, la categoria di "classe" è una categoria della distribuzione, mentre la critica della produzione include, altresì, la critica del lavoro, dell'industria e della crescita senza limite. Per gli argomenti classisti, vedere Bonefeld (2004) e www.endnotes.org.uk , un gruppo extra-accademico britannico di teoria critica del valore.

[*2*]: L'argomentazione  di Postone rispetto alla crescente disoccupazione si lega alla sua lettura del capitolo 23 de Il Capitale. La critica non semplicemente rivolta a segnalare l'impossibilità della "piena occupazione" nel capitalismo, ma a segnalare la possibilità potenziale di liberarsi dal lavoro grazie al fatto che il capitale, tendenzialmente, richiede una proporzione sempre minore di lavoro per aumentare la produttività.

[*3*]: Quest'idea viene segnalata per i suoi parallelismi con la caratterizzazione della figura dell'ebreo che Postone individua nell'antisemitismo moderno, il quale assegna ad un gruppo concreto feticizzato, un potere enorme che, in realtà, corrisponde al tipo specifico del moderno dominio astratto del capitale. Lo stesso avviene con alcune visioni della sinistra che criticano il capitale finanziario - astratto - dal punto di vista di una "autentica" economia reale - concreta.

[*4]: Questo concetto viene sviluppato alla fine di "Tempo, lavoro e dominio sociale". L'idea fondamentale è che non basta realizzare l'idea marxista tradizionale dell'abolizione del mercato e della proprietà privata, ma che si deve superare la relazione stessa del lavoro grazie ad un'appropriazione post-capitalista della produttività capitalista, al fine di aumentare in maniera esponenziale il tempo socialmente disponibile.

fonte: Capital y Crisis

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