giovedì 13 agosto 2015

Lo scoppio del pallone

kurz

Il calcio inteso come bolla finanziaria
- di Robert Kurz -

In generale, l'anima del popolo freme, in maniera particolarmente spumeggiante, quando si tratta di cose senza importanza. Mentre le cose essenziali sono tabù, in quanto da queste dipende anche la propria identità. A chi riceve un salario medio, appare del tutto impensabile criticare il sistema capitalista del guadagno di denaro; mentre invece si eccita, con tanta più passione quanto senza conseguenze, per i super-ricchi, gli speculatori e gli altri vincitori della guerra dell'economia della concorrenza, i quali guadagnano denaro senza sforzo alcuno e nonostante questo non sono mai soddisfatti.

Non sempre, ma sempre più di frequente, si ammira la cosa secondaria più bella del mondo, vale a dire lo sport. O meglio: il circo dello sport professionale, che sfrutta il corpo ad un alto livello di competizione, come se fosse merce in un business lucrativo su grande scala. Gli stessi gruppi di tifosi, che celebrano le proprie stelle come se fossero familiari diventati famosi, celebrano anche la disgrazia della sconfitta, e insultano i retrocessi pieni di milioni, che non vogliono più sudare sangue alla maniera tedesca. Nell'interdipendenza esistente fra i combattimenti dei gladiatori e l'interesse passivo delle masse, fra stupidi adolescenti che calzano anfibi, fra media primitivi populisti e nuovi ricchi venditori di tappeti che arrivano ad essere presidenti di club, si è creato un complesso sportivo-mediatico, che comprende le aree di riferimento del calcio professionale, della Formula 1, della boxe, del tennis, del circo dello sci, insieme ai numerosi sostenitori. Questo complesso fornisce pseudo-eventi sociali e coinvolge una parte della coscienza collettiva, offrendo opzioni di identificazione, che allo stesso tempo servono da valvole di sfogo dell'odio e da tranquillanti della paura sociale. Tradizionalmente, si tratta di un focolaio di tendenze nazionaliste e razziste (la storia della Lega Calcio Tedesca è una miniera in proposito), dove brulica un ebbro antisemitismo latente, con pulsioni conto il "capitale finanziario predatore": gli è che lo sport ha da essere una sorta di continuazione del lavoro ariano, sul prato verde, sulla pista o sul ring.

In questo colpisce, come il pugno di Klitschko nell'occhio dell'avversario, il fatto che lo stesso complesso mediatico-sportivo rappresenti un prodotto, particolarmente bizzarro, del capitalismo finanziario più elevato e meno trasparente. Questa relazione che, all'epoca delle industrie fordiste su grande scala, era sviluppata solo in maniera debole, si è poi evoluta a partire dall'inizio della terza rivoluzione industriale microelettronica fino a giungere alla perfezione. Le possibilità tecnologiche offerte dai nuovi media hanno avuto soltanto un ruolo secondario.Molto più essenziale, è stato il carattere di assassino globale di posti di lavoro, giocato dalla rivoluzione microelettronica, in quanto non può più aver luogo una nuova accumulazione reale del capitale. La "new economy" senza sostanza doveva configurarsi inevitabilmente come bolla finanziaria.

Di questo capitalismo delle bolle si è alimentato anche il progresso commerciale del complesso sportivo-mediatico, fino ad arrivare a dimensioni astronomiche di rendimento. Quello che prima veniva riservato ai settori derivati dell'industria culturale, come Hollywood e le sue stelle del cinema, viene ora distribuito anche allo sport di alto livello competitivo. Intanto, i valori di compravendita ed i redditi annuali delle stelle principali hanno raggiunto le dimensioni dei bilanci nazionali dei paesi più poveri, ed i club di calcio sono quotati in borsa come le aziende automobilistiche e come le grandi banche. Questa assurda trasposizione di criteri si riferisce al fatto che si tratta di un fenomeno marginale di rigonfiamento di "capitale fittizio". La vera e propria rappresentazione sportiva, ed il suo pubblico diretto, sono già solamente il punto di partenza, e l'abbellimento, di una macchina del denaro, al cui centro si trova un'imprenditoria mediatica come quella di Rupert Murdoch, di Silvio Berlusconi e di Leo Kirch.

Il pilastro principale dello sfruttamento mediatico è l'economia pubblicitaria. Con pubblicità sulle attrezzature e sulle divise, pubblicità a bordo campo e blocchi di pubblicità nel corso delle trasmissioni di eventi sportivi, gira una grande ruota. Per poter ottimizzare quantitativamente un tale livello di commercializzazione, gli zar dei media hanno imposto un inflazionamento degli eventi. Le partite di campionato vengono distribuite sull'intera settimana, le pauese estive ed invernali vengono riempite con nuove partite di coppa, l'inizio del campionato viene anticipato, con un occhio all'efficacia globale. Il secondo pilastro è costituito dai canali televisivi codificati: si può vendere a tariffe orrende, come merce esclusiva, la trasmissione completa degli eventi sportivi, dal momento che mediaticamente non sono più pubblici. Alla base ci sono i diritti di trasmissione, che sono stati acquisiti dai club e dalle associazioni sportive per miliardi di euro. La capitalizzazione di borsa, sia dei gruppi televisivi che degli stessi club, ha costituito l'ultimo livello della corrente di valorizzazione fittizia.

Tuttavia, il complesso sportivo mediatico fa parte dei settori più sensibili del capitalismo delle bolle. Il forte calo della borsa e la conseguente caduta della situazione globale, potrebbero portare ad un grande fallimento, assai più rapidamente. Mentre le imprese mediatiche, così come i club. si sono indebitate fino al collo, in previsione dei guadagni futuri, i rendimenti dalla pubblicità sono crollati. In Germania, i canali a pagamento si sono rivelati un fallimento, ed il populismo volgare rivendica il diritto assoluto ad un surrogato di soddisfazione. Potrebbe essere non solo l'inizio della fine della magnificenza miliardaria nello sport professionale, ma anche un Menetekel [nota: espressione biblica (Daniele, 5-25-25) che profetizza la dissoluzione del regno di Baltasar e la sua divisione fra i Medi ed i Persi. Qui come "minaccia di pericolo" o "destino fatidico"] per il capitalismo finanziario nella sua totalità.

- Robert Kurz - Pubblicato su Neues Deutschland, Berlino 17 agosto 2001

fonte: EXIT!

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