giovedì 2 luglio 2015

Le montagne stanno ferme

carisma

Il carisma della crisi
di Robert Kurz

C'è in corso un vecchio dibattito a proposito del ruolo della personalità nella storia. I teorici della struttura puntano sull'oggettività dei processi sociali, di cui solo le grandi figure possono essere espressione. I teorici dell'azione, al contrario, dicono: al principio era l'atto; fede e volontà devono essere in grado di poter muovere le montagne. Entrambi sono sicuri solo relativamente. Gli sviluppi sociali non avvengono di per sé, richiedono l'intervento dell'azione. Dall'altro lato, l'azione si relaziona alle condizioni strutturali preesistenti, in quanto rimane soggiacente ad una dinamica cieca, come avviene inequivocabilmente nel capitalismo. Per questo, è proprio nel corso delle grandi crisi che vengono cercate personalità carismatiche, le quali possano creare un ambito stimolante. E' inconfondibile il momento religioso di un simile meccanismo. Quando la rottura di un'epoca scuote la società, le speranze, i desideri e le paure si legano ad un messia politico. La questione è quella di sapere se il carisma sarà capace di supportare il nuovo o se darà semplicemente una forma alla sviluppo della catastrofe del vecchio.

Il "Kennedy nero" Barack Obama non rappresenta il soppiantamento del capitalismo globale, ma il suo rinnovamento. Il suo carisma non è sorto nel contesto di un movimento sociale con fini di emancipazione, ma come maschera nel quadro dominante dell'impresa mediatica e politica. Se Obama è diventato il depositario della simpatia del mondo intero e negli Stati Uniti commuove la gente fino alle lacrime, ciò avviene in quanto egli rappresenta la fede nel ritorno ad una crescita sostanziale e regolata dallo Stato, che crei buoni posti di lavoro e preservi l'ambiente. Rappresenta la fede, allo stesso tempo, nel superamento dei vecchi concetti di nemico, nell'equilibrio globale del potere e nella partecipazione all'umanità da parte della maggioranza di colore. Il centro di gravità di queste speranze è costituito dalla classe media mondiale che, prima della crisi, voleva cambiare tutto affinché tutto potesse rimanere fondamentalmente com'era. Ma questa fede non muove le montagne. La rottura del 1989 ha portato alla trasformazione del vecchio capitalismo di Stato in capitalismo finanziario globalizzato. Mentre, invece, la rottura del 2008 segna la crisi ed i limiti interni di tale sistema mondiale in sé. Obama diventa l'uomo più potente di un mondo che, con ogni probabilità, non riuscirà più a trasformarsi a partire dalle sue proprie basi.

Per il 44° presidente degli Stati Uniti, il potere di configurare le relazioni è già limitato, se si considera solo il bilancio rovinato dello Stato. Questo però, non è soltanto conseguenza di una politica sbagliata dell'amministrazione Bush, come molti vogliono far credere, ma il risultato di una crisi strutturale profonda del capitale mondiale. Obama non può virare il timone bruscamente, ma può solo amministrare la dinamica incontrollabile di questa crisi. La prevedibile depressione globale distruggerà i posti di lavoro precari della crescita "indotta finanziariamente", anziché crearne di nuovi. Ad esserne colpiti saranno proprio gli afro-americani che avevano compiuto un ascesa sociale, negli Stati Uniti, e la nuova classe media in Asia. E se ci vorrà un po' di tempo, questo avverrà non a causa di decisioni politiche finalmente efficaci, ma perché la situazione economica basata sul deficit si estinguerà; si tratta di qualcosa di simile alla rovina delle industrie del capitalismo di Stato nel blocco orientale nel corso degli anni 1990, che ha temporaneamente diminuito l'effetto serra dovuto all'emissione globale dei gas.

Anche l'equilibrio fra le opposizioni politiche rischia di arrivare ad un punto morto. La fine delle guerre di ordinamento mondiale in Afghanistan ed in Iraq non si annunciano come accordi di pace, ma come la prevedibile rovina della capacità di finanziamento militare. Il ritiro della macchina militare americana potrebbe, pertanto, sfociare in uno sviluppo caotico. Allo stesso modo, un'intesa politica con i paesi produttori i petrolio e di gas naturale, come la Russia o il Venezuela, sarà del tutto inutile se i regimi locali collasseranno, poiché, con la caduta dei prezzi dell'energia, si romperà la base della sua negoziazione. A maggior ragione, un nuovo equilibrio di potere nelle relazioni con la Cina presuppone la continuazione del rullo compressore dell'esportazione unilaterale del Pacifico. In realtà, però, la reciproca dipendenza si disintegrerà non appena la molto probabilmente inevitabile inflazione del dollaro svalorizzerà le astronomiche riserve valutarie degli esportatori asiatici, Un dislocamento compiacente delle relazioni di potere politico finirà per rivelarsi illusorio nella stessa misura in cui le finanze statali e le monete di un numero crescente di paesi diventeranno insostenibili. Già ora, dopo l'Islanda, anche l'Ungheria, l'Ucraina e, di nuovo, l'Argentina sono considerati candidati alla bancarotta di Stato. Altri paesi seguiranno.

Obama ha assunto la carica di comandante globale dei pompieri, ma non riesce neppure a contare gli incendi che scoppiano, mentre l'acqua per poterli spegnere comincia a mancare. Fede e amore, volontà e speranza sono cose buone quando incontrano una "condizione di possibilità". Il sistema mondiale del capitalismo finanziario non offre alcun fondamento per questo. L'entusiasmo globale della Obama-mania minaccia di trasformarsi in una grande delusione. Tuttavia, non si deve incolpare di questo una personalità il cui carisma è basato su dei falsi presupposti. La crisi del sistema mondiale non è un romanzo il cui lieto fine possa essere messo in scena mediaticamente. Così come gli Stati Uniti sono l'ultima potenza mondiale del capitale, forse anche anche Obama sarà l'ultimo messia politico. L'umanità dovrà imparare di nuovo quello che, in un'altra costellazione storica, proclamava "l'Internazionale": "Nessun essere supremo, nessun Cesare, né tribuno ci salverà; la nostra liberazione dalla miseria dovrà essere opera di noi stessi" (1). Il pathos perduto di questa affermazione è ben diverso dal pathos dell'Obama-mania.

(1) - Traduzione letterale della versione tedesca dell'Internazionale di  Eugène Pottier: “Il n'est pas de sauveurs suprêmes / Ni Dieu, ni César, ni tribun, / Producteurs, sauvons-nous nous-mêmes / Décrétons le salut commun".

- Robert Kurz - Pubblicato su "Folha de São Paulo" del 9.11.2008 col titolo "L'ultimo Messia" -

fonte: EXIT!

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