giovedì 16 luglio 2015

Dalla Terra alla Luna, e ritorno

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Marcia Bartusiak, nel suo "Black hole: how an idea abandoned by Newtonians, hated by Einstein, and gambled on by Hawking became loved" sostiene che ben pochi scienziati, prima della metà del secolo scorso, credevano che la teoria di Einstein avesse una qualche utilità pratica: nella maggior parte delle università, essa non veniva neppure insegnata e si pensava che la teoria di Newton fosse più adeguata:

« Dopo un primo turbinio di eccitazione del 1919, quando la misurazione di una famosa eclissi solare ebbe fornito in maniera trionfante la prova del teoria della relatività generale di Einstein, la nuova prospettiva sulla gravità fornita dal fisico cadde nel dimenticatoio. L'assunto sulla gravità espresso da Newton aveva funzionato bene nel nostro mondo quotidiano fatto di basse velocità e di stelle normali, e allora perché preoccuparsi dei minuscoli aggiustamenti offerti dalla relatività? Quale poteva essere il suo utilizzo? "La predizione di Einstein si riferisce ad un discostamento così piccolo rispetto alla teoria newtoniana" - osservava un critico - "che non capisco intorno a cosa avvenga tutto questo trambusto." Dopo un po', la visione riveduta della gravità di Einstein sembrò non aver più nessuna importanza particolare. Quando Einstein morì, nel 1955, la relatività generale era ormai dimenticata.»

A leggere il libro della Bartusiak viene in mente il fatto che più o meno la stessa cosa della teoria di Einstein è avvenuta anche per la teoria di Marx. La teoria del valore-lavoro di Marx, per quanto fosse un passo da gigante che andava ben oltre i teorici classici del suo tempo, e nonostante abbia inizialmente prodotto un'ondata di fervore rivoluzionario, è stata poi per lo più quasi ignorata, almeno dal 1930.

Nel suo libro, "Austerity, the history of a dangerous idea", Mark Blyth sostiene che, nel 1930 in Germania, i marxisti consideravano la Grande Depressione una crisi come tutte le altre - che avrebbe svalutato l'eccedenza di capitale ed avrebbe stabilito le basi per una nuova espansione. Sebbene Blyth si riferisca solamente al SPD tedesco, coglie nel segno. Perché la Grande Depressione avrebbe mai dovuto essere differente? Nessuno a quei tempi sapeva che le cose erano cambiate per sempre, né come tali cose fossero cambiate per sempre. Soprattutto, nessuno sembrava aver realizzato che la teoria di Marx fosse diventata rilevante per la politica solamente a partire dalla Grande Depressione. La maggior parte degli economisti, anche degli economisti marxisti, non era avvezza a pensare la teoria del valore-lavoro come un quadro politico.
Anche per i sedicenti marxisti odierni, come SYRIZA in Grecia o come la SWP in Gran Bretagna, è Keynes, e non Marx, a fornire il quadro politico. Il che porta ad una sorta di contraddizione teorica - evidenziata dagli esponenti di SYRIZA e dall'economista marxista Costas Lapavitsas - secondo cui le politiche keynesiane intraprese sarebbero progettate per salvare il capitale, e non per ammazzarlo:

« Keynes non è Marx, ed il keynesismo non è marxismo. C'è un abisso fra di loro, ed è più o meno come hai detto. Il marxismo riguarda il rovesciamento del capitalismo in direzione del socialismo. E' sempre stato in questo modo, e rimarrà così. Ill keynesismo è un'altra cosa. Riguarda il miglioramento del capitalismo e perfino il salvarlo da sé stesso. E' esattamente così.»

Ecco che, con un utilizzo ironico della frase che viene normalmente usata dagli stalinisti nei confronti dei troskisti, i marxisti sembrano opporsi al capitalismo dovunque tranne dove esso esiste. Se domandi ai marxisti cosa farebbero oggi una volta eletti, difficilmente risponderebbero qualcosa di più del programma di Salonicco di SYRIZA. Il programma per le elezioni dei marxisti non è il loro programma completo, naturalmente - e loro enfatizzeranno questo aspetto - ma è il loro programma "immediato" per "affrontare la crisi"; mentre invece il loro programma completo sarebbe quello di rovesciare il capitalismo.
Si può dire che questo genere di divisione fra programma immediato e programma completo è ciò che è diventato obsoleto nel 1930.

Come si relaziona tutto questo con la perspicace osservazione da parte della Bartsiak a proposito della teoria di Einstein? Quando gli scienziati cominciarono a testare i limiti della teoria di Newton, tali limiti divennero evidenti e così la teoria di Einstein si rese necessaria. Bartusial osserva che la teoria di Newton era buona abbastanza per mandarci sulla luna e farci tornare indietro, ma subito dopo cominciava ad andare in pezzi. Similmente a quella di Newton, in un certo senso, la teoria marginalista aveva funzionato fino alla Grande Depressione, ma si era poi dimostrata incapace di affrontare quella che era la disoccupazione di massa scoppiata negli anni 1930.
La teoria di Marx aveva certamente predetto l'emergere della disoccupazione di massa, solo che questa predizione, per quanto interessante, era irrilevante finché il capitalismo non avesse raggiunto un determinato punto del suo sviluppo. Fino a quel punto, gli economisti potevano benissimo ignorare la contraddizioni fra produzione sulla base del valore di scambio e produzione ai fini del profitto. Che è come dire che potevano ignorare la contraddizione fra i valori delle merci ed i loro prezzi capitalistici di produzione. Anche se questa contraddizione esisteva, in pratica però il modo di produzione era motivato dal profitto, e non dal valore di scambio. In pratica, se vuoi trasformare i valori in prezzi, aveva detto Paul A. Samuelson, bastava...:

« E' facile, si cancella [ dalla teoria del valore di Marx ] il valore e lo si sostituisce con i prezzi di produzione. »

Ecco come stavano le cose fino alla Grande Depressione, quando - come disse l'ex presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke - misteriosamente il gold standard tutt'ad un tratto "funzionava male"; e trasmetteva lo shock della sovraccumulazione assoluta a tutto il mercato mondiale. In breve, il capitalismo era andato sulla luna ed era tornato indietro. Solo che a quel punto si trovava sulla frontiera di un'economia in cui il marginalismo era inadeguato.

Perché la teoria di Marx era diventata così rilevante con l'inizio della Grande Depressione? In primo luogo, perché nella teoria di Marx il capitalismo riduce costantemente il tempo di lavoro socialmente che è necessario alla produzione di merci. La riduzione del tempo di lavoro socialmente necessario richiesto per la produzione di merci, significa la riduzione dei valori delle merci. In secondo luogo, e simultaneamente, il capitalismo estende costantemente il tempo di lavoro dei produttori sociali in modo da massimizzare i propri profitti. Con il declino dei valori delle merci individuali, e con l'incremento del tempo totale di lavoro della società, la massa di merci prodotta durante la giornata lavorativa cresceva in maniera fenomenale.
E' vero che venivano creati nuovi bisogni nei consumatori, e si aprivano nuovi mercati di esportazione per questo enorme torrente di merci, ma alla fine, come osservato da Keynes, la crescente capacità di lavoro sociale supera qualsiasi, ed ogni prezzo di produzione, in quanto il tasso medio di profitto è caduto a zero. Il modo di produzione capitalista ha raggiunto i limiti di espansione del capitale, di produzione di plusvalore, di produzione per il profitto.
Nella teoria del valore-lavoro di Marx, il prezzo capitalistico di una merce corrisponde ad una certa durata di lavoro vivo, articolato in tempo necessario e tempo di pluslavoro. Questo ci dà l'espressione matematica, v+s.  questo si oppone al semplice valore lavoro di una merce, il cui prezzo è espresso matematicamente come v. Il prezzo di produzione della merce capitalista viene mantenuto estendendo il lavoro dell'operaio oltre il punto necessario dato dallo sviluppo tecnologico delle forze produttive. Tale estensione è espressa matematicamente come s - vale a dire, plusvalore del tempo di pluslavoro. Fino a quando il tempo di lavoro dei produttori sociali può essere esteso oltre il punto necessario ai loro bisogni materiali, può essere creato plusvalore.
Perciò, quando si arriva al punto in cui le merci capitalisticamente prodotte non possono più essere vendute al loro prezzo di produzione, il tempo di lavoro dei produttori sociali non può più essere esteso oltre la durata necessaria a soddisfare i loro bisogni materiali. Il tempo di pluslavoro dei produttori sociali - non importa quanto grande o quanto materialmente necessario - non produce più alcun nuovo valore. E dal momento che la produzione capitalista è produzione di plusvalore, essa si ferma, e deve necessariamente fermarsi, nel punto in cui il lavoro non produce più alcun valore.

Questa cessazione della produzione non è un fenomeno soggettivo; o il risultato dello spirito animale, oppure dovuto ad una domanda inadeguata; e non è neppure il risultato di cattivi investimenti, o di sovrapproduzione di merci o di troppa poca moneta, o di altre sciocchezze del genere.
La fonte del collasso della produzione capitalista è il troppo capitale, vale a dire, la produzione di plusvalore, la produzione per il profitto. Il capitale soffoca la sua stessa propria capacità di auto-espansione. Il capitale, subito dopo aver ricostruito con successo tutta la società a sua immagine, vede che i mezzi con cui ha rovesciato la vecchia società - estendendo il tempo di lavoro dei produttori ed aumentando la produttività del lavoro - sono diventati un'arma rivolta contro sé stesso.
Come era avvenuto per la teoria di Einstein per le scienze naturali, anche la teoria di Marx si è rivelata significativa solo una volta che la società aveva varcato la soglia della sovraccumulazione assoluta. Fino a quel momento, la produzione capitalista aveva attraversato delle crisi, ma tali crisi erano solo degli aggiustamenti che pavimentavano la strada verso nuove espansioni capitaliste. Quando ci fu la Grande Depressione, tutti pensavano che sarebbe finita nello stesso modo - un adeguamento forzato, a breve termine, della produzione capitalista. Ma, in realtà, la depressione non è mai finita; è soltanto andata avanti senza tregua. Come oggi nel caso della Grecia, dove nessuno aveva realizzato che qualcosa era cambiato in maniera permanente nel modo in cui funzionava il capitalismo.
Quando si arriva alla politica, le argomentazioni di Marx non vengono capite bene neanche dagli economisti marxisti, ed ancor meno da quegli altri economisti. Non ci vuole molta analisi per arrivarci. Possiamo convenire tutti sul fatto che Marx, essenzialmente, voleva l'abolizione del lavoro salariato. Ma questo viene tipicamente inserito in un contesto politico: la classe operaia deve prendere il potere politico ed usare la sua posizione in quanto nuova classe dominante per lavorare alla propria emancipazione. E fin qui... non è che, in realtà, questa interpretazione politica della teoria di Marx sia di per sé sbagliata, oppure sia un fraintendimento. Quello che viene equivocato riguarda il fatto che Marx non aveva tirato un tale argomento fuori dal cappello, non stava descrivendo il suo progetto particolare di società, e né, tanto meno, una visione del futuro che poteva, e doveva, essere imposta per mezzo di misure politiche. Per Marx, il capitalismo, sviluppando le forze produttive della società, era già in processo di abolire il lavoro. Il proletariato non avrebbe potuto abolire il lavoro, solo perché voleva porre fine alla schiavitù salariale, non più di quanto gli schiavi avrebbero potuto abolire la schiavitù semplicemente volendo essere liberi.
Quel che aveva il proletariato, e che gli schiavi non avevano, era il fatto che il modo di produzione capitalista si trovava già diretto verso l'abolizione della schiavitù salariata - cosa che non era mai stata vera per la schiavitù. Il proletariato poteva accelerare il processo che era già stato avviato dal modo di produzione capitalista, dal momento che il modo in cui periodicamente il capitale attuava l'abolizione del lavoro aveva creato degli ostacoli a quel risultato storico. Propriamente armata della teoria, la classe operaia avrebbe potuto rimuovere quegli ostacoli ed emancipare sé stessa. Rimuovere gli ostacoli allo sviluppo del lavoro sociale, sarebbe stato sufficiente ad accelerare il processo.

Il più grande ostacolo allo sviluppo delle forze produttive era la tendenza alla sovraccumulazione di capitale. Ma la sovraccumulazione di capitale era soltanto il risultato dell'estensione delle ore di lavoro dei produttori sociali oltre quella che era la durata socialmente necessaria del lavoro ai fini della produzione di merci. La teoria di Marx stabilisce che la soluzione a qualsiasi crisi del capitalismo è semplicemente quella di ridurre l'orario di lavoro!

Forse, si sbagliava; forse da qualche parte, nell'ordito del suo lavoro a maglia, ha perso dei punti. In ogni caso, quelli che accusano Marx di essersi sbagliato, ci dovrebbero spiegare perché ogni crisi si accompagna ad una domanda sociale generale di stimoli keynesiani che possano permettere di raggiungere la piena occupazione. Se le ore di lavoro non sono il problema, perché mai lo Stato dovrebbe creare posti di lavoro per mantenere la piena occupazione? Perché ogni crisi genera appelli politici alla creazione di posti di lavoro, o a sussidi di disoccupazione, per quelli che non hanno lavoro? Perché perfino i nemici della classe operaia drappeggiano le loro proposte con le bandiere della creazione di posti di lavoro?
Se la teoria di Marx è corretta, la sola politica che ogni marxista dovrebbe sostenere, "per affrontare la crisi", è quella di una riduzione dell'orario di lavoro. Ma la riduzione delle ore di lavoro è essa stessa soltanto una parte della progressiva abolizione della schiavitù salariale. Perciò, il programma immediato dei marxisti per "affrontare la crisi" dovrebbe essere esattamente il loro stesso programma completo; non esiste più la contraddizione di un programma immediato che affronta una crisi capitalistica per salvare il capitalismo, invece di ammazzarlo.


fonte: The Real Movement

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