giovedì 7 maggio 2015

la pietra nella fionda

coop

Oltre il Mercato e lo Stato
- La trasformazione dell'economia attraverso un nuovo modo di produzione cooperativo -
di Robert Kurz

Esiste un sogno caratteristico della modernità: il sogno dell'emancipazione sociale, dell'autodeterminazione dell'uomo, di una produzione autonoma della vita. Allo stesso tempo, il processo storico della modernizzazione ha distrutto l'economia agraria, ha dato libero corso alla produzione di merci ed ha trasformato tutte le relazioni sociali in relazioni monetarie. Istituzioni poco sviluppate, come lo Stato ed il Mercato, sono diventate forme ibride ed hanno cominciato a riempir lo spazio sociale. Che fine ha fatto il sogno di emancipazione sociale?
I progetti di riforme sociali, di liberazione nazionale e di socialismo erano basati, senza eccezioni, sul controllo statale del mercato. Lo Stato sociale keynesiano d'Occidente proponeva di ritirare l'eccedenza monetaria dal mercato e convertirla nei benefici dei programmi sociali. Come "imprenditore generale", lo Stato socialista d'Oriente e dell'emisfero Sud si arrogava il diritto di decretare al mercato i suoi prezzi e salari. In entrambi i casi, gli uomini erano meri oggetti di una burocrazia che alla fine collassò sotto il peso del mercato globalizzato. Contrariamente a quanto afferma il liberalismo, il mercato non è una sfera di azione autonoma per gli uomini ma, semplicemente, il rovescio della stessa medaglia. Il mercato stesso è il responsabile dell'assoggettamento degli uomini alla "dittatura muta" del denaro e della redditività economica. E' per questo che la critica dello Stato, fatta dal mercato liberale, è altrettanto poco emancipatrice della critica del mercato fatta dallo Stato socialista. La liberalizzazione economica serve solo a frustrare le ultime speranze di responsabilità sociale, camuffate nel capitalismo e nel socialismo come maschere burocratiche dell'apparato statale.
Sulle soglie del XXI secolo, il sistema ibrido composto dallo Stato e dal mercato sembra portare ai confini dell'assurdo. Di fatto, se questo sistema non è più in grado di integrare socialmente milioni di persone in tutto il mondo, allora è condannato a smettere di essere la forma predominante di società. Di conseguenza, un numero sempre maggiore di voci, si levano per proporre nuove forme di riproduzione sociale, oltre lo Stato ed il mercato. Nella sua "Critica della ragione economica", il sociologo francese André Gorz ha introdotto il concetto di attività autonome, organizzate attraverso l'unione di volontari nelle microsfere sociali dei quartieri e dei distretti. La sua idea è orientata, soprattutto, verso attività culturali e sociali, come, ad esempio, la creazione di asili nido e case di riposo, ma mirando anche alla produzione di alimenti e di beni di prima necessità. Jeremy Rifkin, economista e critico sociale nordamericano, arriva perfino ad immaginare una "era post-mercato", con lo sviluppo di un terzo settore visto come ambito sociale autonomo.
Non si tratta, come può sembrare a prima vista, di pure elucubrazioni teoriche. Negli ultimi dieci o vent'anni, il mondo ha visto crescere l'importanza di uno spazio sociale diffuso, fra lo Stato ed il mercato. Non mi riferisco qui alla "economia informale", la quale spesso non è altro che un mercato illegale e brutalizzato. Al contrario, il terzo settore è composto dall'unione di innumerevoli raggruppamenti volontari, volti a contenere la miseria sociale ed a sbarrare il passo alla distruzione ecologica. La maggior parte di questi gruppi conferisce enorme valore all'amministrazione autonoma. Sul terreno pratico, essi occupano lo spazio abbandonato dal mercato e dallo Stato a causa della bassa redditività o della mancanza di risorse finanziarie. Le loro attività vanno dalla creazione di cucine pubbliche, alla coltivazione di orti e alla raccolta di rifiuti, fino ai servizi di asilo nido, case di riposo ed organizzazione di scuole particolari. Fra i nomi citati da Rifkin, ci sono enti come "Travaux d'Utilité Collective", in Francia, "Jichikai" (comunità di mutuo soccorso), in Giappone, le "Organizaciones Económicas Populares", in Cile, o le associazioni di vicini in altri paesi dell'America Latina. Per rubricarli, sono stati coniati i nomi di "Organizzazioni senza fine di lucro" e di "Organizzazioni non-governative", di modo che sia ben chiaro che non si tratta di iniziative commerciali o burocratiche.
La questione decisiva è quella di sapere se il terzo settore possiede le condizioni per essere un nuovo paradigma di riproduzione sociale. Affinché questo sia possibile, deve andare oltre le semplici misure palliative o di urgenza, volte solamente a curare le ferite aperte dalla "mano invisibile" del mercato globalizzato. Se non vi è più alcun focolaio di crescita economica, come molti ancora sperano, il terzo settore dovrà formulare la sua prospettiva di sviluppo per il XXI secolo, invece di essere un semplice sintomo passeggero della crisi.
In cosa consiste, alla fine, la logica economica di tali attività? Salta agli occhi il fatto che autori come Gorz o Rifkin descrivano ancora il problema secondo le categorie imposte dall'economia di mercato. Gorz, oltre a proporre il pagamento in denaro di un reddito minimo per tutti i lavoratori, suggerisce l'utilizzo di un'elevata produttività tecnica al fine di diminuire la giornata lavorativa. Il tempo libero verrebbe utilizzato a favore delle organizzazioni volontarie situate ai margini del mercato e dello Stato. Rifkin, al contrario, si aspetta che si creino numerosi "impieghi remunerati", all'interno dello stesso settore cooperativo. In entrambi i casi, tuttavia, il terzo settore viene visto come il fratellino minore del mercato, dal momento che le fonti di "finanziamento" sono necessariamente le briciole di carità lasciate dalla produzione volta al profitto. Secondo le leggi oggettive del mercato, l'aumento di produttività tecnica non implica la riduzione della giornata lavorativa, ma soltanto la riduzione dei costi produttivi. Nelle condizioni attuali, questo equivale alla disoccupazione di massa per gran parte della popolazione, mentre l'incremento della produttività viene consumato per far fronte alla concorrenza sui mercati globali. I punti di vista di Gorz e Rifkin minacciano di rimanere un semplice modello di sovvenzione per i paesi ricchi, una sorta di passatempo altruista per i campioni del mercato.
E' senza dubbio impossibile concepire la sostituzione totale ed immediata del sistema di mercato, da parte del terzo settore. Si può immaginare, tuttavia, un numero sempre maggiore di persone, le cui necessità vengano soddisfatte senza l'uso del denaro, per mezzo dell'utilizzo di servizi organizzati in maniera comunitaria. Questo già avviene oggi, intorno a molte di queste iniziative. L'assenza totale o parziale di sovvenzioni, significa che le attività, il tempo e le risorse di tale settore, sono "disconnessi" dalla logica monetaria.
La storia del movimento operaio registra un tentativo analogo a questo, sotto la forma delle cooperative. L'idea cooperativista originale non consisteva solo nel lottare per salari più alti e per migliori condizioni di lavoro, ma anche nel salvaguardare, per mezzo di attività autonome, alcuni ambiti della vita pressati dal lavoro salariato. I partiti socialisti ed i sindacati patrocinarono tali "economie comunitarie", come, ad esempio, le comunità di consumo, di produzione e di alloggio. Quest'embrione cooperativo, tuttavia, venne schiacciato dall'espansione storica del mercato. Dopo la conquista di aumenti salariali significativi e della riduzione della giornata lavorativa nei settori industriali, i sindacati persero interesse nel movimento cooperativo.
Lo Stato, come c'era da aspettarsi, non vedeva di buon occhio la creazione di una sfera autonoma; i suoi sforzi si concentrarono nello trasformare il cooperativismo in un'attività lucrativa, per poi poter imporre delle tasse  sulle entrate monetarie risultanti. In parte costretti dalle leggi, in parte spontaneamente, le cooperative si convertirono in imprese perfettamente adeguate al mercato; quando ciò non avveniva, erano condannate a sparire poco a poco. C'è qui un'ironia storica: mentre in molti paesi i sindacati liquidano le ultime vestigia della vecchia "comunità" logorata dal capitale, il terzo settore nasce "dal basso" con rinnovata forza, una volta che lo Stato ed il mercato sono incapaci di afferrare la vita nella sua totalità.
Gli economisti affermano con certezza che il terzo settore non resisterà al mercato, in quanto i costi degli investimenti necessari alle iniziative autonome sono molto elevati, e la loro produzione sarebbe possibile soltanto con mezzi primitivi. Questo è perfettamente vero per la produzione di certi beni, quali computer, macchine, attrezzi, ecc.. Per le attività iniziali del terzo settore, la fabbricazione di tali merci è esclusa. Quanto ai beni di consumo ed ai servizi, però, il pronostico degli economisti è del tutto infondato. Sul piano tecnico, di fatto, la rivoluzione microelettronica ha innescato una miniaturizzazione e, sul piano economico, un enorme calo dei prezzi dei mezzi di produzione. Calcolatori e macchine, che solo vent'anni fa occupavano lo spazio di case intere ed avevano bisogno di un considerevole investimento di capitale, oggi sono ridotti a dimensioni tascabili e sono accessibili alla grande maggioranza. Perché allora quest'intensa crescita di capitale nell'industria dei beni di consumo e nei servizi? La ragione è semplice: "in quanto imprese lucrative, tali settori sono obbligati a concorrere con i profitti dell'industria dei mezzi di produzione e con i rendimenti del mercato finanziario. E' per questo che si inchinano alla tendenza della concentrazione di capitale e sono redditizi solo quando dominano grandi fette di mercato. Questo problema, per definizione, rimane escluso dalle organizzazioni senza fini di lucro: la loro produzione è rivolta direttamente alle necessità del consumatore, e non al reddito da capitale.
Ne sono un buon esempio le imprese incorporate. Un investitore di capitale non è interessato semplicemente a costruire case o edifici, ma vuole, soprattutto, un ritorno per il suo capitale che sia quanto meno uguale al profitto ottenuto in altri investimenti. I membri di una cooperativa, al contrario, vogliono abitare nelle case che costruiscono. Non hanno bisogno di alcun profitto aggiuntivo, ma soltanto del capitale per pagare le materie prime e la mano d'opera specializzata. Molti servizi possono essere realizzati da essi stessi. Criteri sociali, estetici ed ecologici possono essere analizzati con particolare attenzione, una volta che i profitti non entrano nella questione. Per simili progetti, ovviamente, occorre tempo, spazio ed un'adeguata consulenza giuridica. Su queste basi, possiamo prevedere un grosso conflitto, in futuro. Il sistema economico e giuridico è fondato sulla capacità di attrarre risorse private o statali. Il mercato considera naturale che la forza lavoro si metta a disposizione del profitto; chi non ha "lavoro" deve chiedere in ginocchio per averlo. La classe politica considera naturale che l'uomo venga amministrato dallo Stato. Così come in passato, gli imprenditori ed i politici di oggi non hanno nessun interesse alla creazione di un settore autonomo ed esterno al loro controllo.
Nella misura in cui il mercato innalza il suo proprio livello di redditività, il numero di uffici vuoti cresce in tutto il mondo, i mezzi di produzione vengono disattivati in proporzioni spaventose ed i grandi latifondi rimangono improduttivi. Tali risorse non vengono donate alle ONG e neppure alle organizzazioni senza fini di lucro, ma restano sotto custodia di una proprietà astratta, sia essa pubblica o privata, senza che ricevano un trattamento adeguato.
Ragioni come queste, ci portano a concludere che il terzo settore sarà un fattore politico di peso. O meglio, un fattore antipolitico o post-politico, in quanto le nuove iniziative non si lasciano etichettare secondo le vecchie categorie della politica moderna. Una simile tendenza è ancora poco evidente, in quanto, nonostante alcune eccezioni, i politici, gli arrivisti ed i terroristi di Stato ricevono in media più attenzione di quanto ne ricevano i grandi movimenti del terzo settore. Ciò anche come risultato, in parte, della timidezza di questi gruppi, dell'assenza di un discorso sociale più graffiante. Finora, i loro membri non si sono riconosciuti come una forza storica innovatrice.
Anche l'appoggio da parte dei gruppo della sinistra politica, rimane ugualmente dubbio. Il loro attaccamento al concetto di Stato è ancora molto forte perché accettino i movimenti del terzo settore come un possibile alleato. E' più probabile che annusino nelle attività cooperative una pericolosa concorrenza politica, e non una promettente forma di emancipazione sociale. I vecchi marxisti preferiscono capitolare davanti al neoliberismo piuttosto che superare criticamente il loro proprio passato. Forse potrebbe essere più raffinato sorprendere i neoliberisti militanti con la seguente risposta: Voi avete ragione, l'iniziativa personale e l'organizzazione decentralizzata sono superiori ai dinosauri dello statalismo, come Davide è superiore a Golia; ma chi mi dice che l'alternativa deve assumere caratteristiche commerciali? Le organizzazioni senza fine di lucro e le ONG non possono limitarsi alle attività locali, in quanto già oggi formano una rete internazionale. Forse il futuro si trova nelle mani di una "economia naturale microelettronica", fondata su vincoli cooperativi. E forse il sistema totalitario dell'economia di mercato (così come lo Stato) è esso stesso un Golia corpulento, per cui è già stata armata le pietra nella fionda, nell'attesa dell'esatto momento per abbattere il gigante.

- Robert Kurz - Pubblicato su "Folha de S. Paulo" col titolo "Para além de Estado e mercado", il 03.12.1995 -

fonte: EXIT!

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