lunedì 6 aprile 2015

un po' sì, e un po' no

cap1-3

La lotta per la verità 5/7
(Note sul comandamento postmoderno al relativismo nella teoria critica della società)
- Un frammento di Robert Kurz -

Premessa: Il presente testo costituisce un frammento scritto da Robert Kurz. Viene pubblicato senza nessuna sistemazione editoriale. Ci sono quindi delle annotazioni fra parentesi e degli spazi in bianco fra i paragrafi lasciati dall'autore e che erano destinati ad accogliere delle spiegazioni che Robert Kurz non ha potuto elaborare. E' un frammento postumo, rivolto contro il comandamento postmoderno al relativismo nella teoria critica della società. Questo comandamento viene identificato come risultato di un'incertezza transitoria, alla fine dell'epoca borghese, in cui anche il campo della critica del capitalismo, legittimato dalle idee di Marx, si presenta spesso come una sorta di labirinto, per quelli che ne sono fuori. La risposta postmoderna a questa situazione, consiste ora nel vivere la "perdita di tutte le certezze", non come probabile problematica, ma elevandola a dogma, a nuova garanzia di salvezza, la cui promessa di felicità consiste nel non dover compromettersi con niente e nel lasciare tutto aperto. Qualsiasi posizione determinata, che non riconosce da subito anche il suo contrario, viene aspramente criticata  da questo dogma. Ma una simile imprecisione ed ambiguità non possono essere mantenute per un tempo illimitato poiché la gravità stessa della situazione di crisi obbliga ad una definizione. Il pensiero postmoderno, nel rifiutare una nuova chiarezza, o una definizione di contenuto, e pretendendo di vedere proprio in questo rifiuto il nuovo in generale, può fare appello soltanto al potenziale di barbarie in esso addormentato, preso in contropiede dalla sua stessa decisione priva di fondamenti. (Riassunto apparso sul n° 12 di Exit!)

Conflitti intorno alla verità * Dalla teorizzazione della politica alla politicizzazione della teoria * ( Dalla politicizzazione del privato alla privatizzazione del politico ) * All'ordine del giorno c'è la tattica, la strategia, il mimetismo, il camuffamento * Il dogma "anti-dogmatico" della postmodernità * Stringere la vite * Il posto nella storia come campo di battaglia delle idee * Svolta linguistica * Totalitarismo del linguaggio e cosa in sé * (Anti-essenzialismo ) *  ( L'atteggiamento esistenziale ) * ( Soggettivismo strutturale ) * ( La mancanza di basi della narrativa, costruzione/decostruzione e discorso ) * ( Critica dell'oggettività negativa o positivismo del discorso? ) * ( Relativismo storico e post-storia ) * ( Fare chiarezza sull'avversario e chiarire sé stessi ) * (Negare l'oggettività della verità ) * ( Dal positivismo dei fatti al positivismo della narrativa, della costruzione e del discorso ) * ( Storia della formazione e storia interna ) * ( Relativismo strutturale, senza concetto della totalità ) * La storia come campo di battaglia delle idee, le idee come armi della storia *
 - I titoli fra parentesi sono quelli dei capitoli che Kurz non è arrivato a poter elaborare -

Svolta linguistica
L'episteme postmoderna dell'indecisione fanatica, della pseudo-apertura e della contingenza viene generalmente ricondotta ad una svolta del linguaggio, all'analisi del linguaggio o critica del linguaggio (svolta linguistica) che ha caratterizzato i suoi distaccati rappresentanti teorici a far data dall'inizio del XX secolo. Il termine in sé venne di fatto reso noto da Richard Rorty solo alla fine degli anni 1960; e fu ancora dopo che ebbe una ricezione più ampia, come senso comune intellettuale fin nell'ambiente studentesco zombie indulgente della sinistra, soprattutto con la parata trionfale del pensiero postmoderno nell'era neoliberista degli anni 1980. Come di solito, il topos, una volta messo in movimento, appare come come parola-chiave, frequentemente conosciuta solo per sentito dire, attraverso la comunità accademica, dal seminario al collegio di laurea, per mezzo dei supplementi culturali, dalla comunità dei bloggers ai network sociali.
Tralasciando i teorici fondatori, come Saussure o, in un altro senso, Wittgenstein - che non potevano neppure immaginare la sua fortuna postmoderna, avendo fornito alla svolta linguistica dei fondamenti del tutto differenti - e tralasciando anche il dibattito con loro che porterebbe ad esposizioni teoriche particolari, specifiche e strettamente determinate, quello che qui ci interessa è soprattutto il campo di ricezione e di interpretazione successiva che si è amalgamato con la la mentalità postmoderna. Nonostante tutti i tentativi di negare un legame, che invece bisogna cogliere, al fine di nascondere la "molteplicità" totale suppostamente non generalizzabile, è proprio la rimozione del contenuto predominante che ha reso possibile, in primo luogo, concetti come postmodernità o svolta linguistica.
Ora, suona un po' strano designare la riflessione sul significato del linguaggio come una "svolta" nella storia della teoria. Il fatto di sapere cos'è veramente il linguaggio, e la relazione che ha con la realtà, può esser fatto risalire fino a tempi assai più remoti. Anche se si riconosce che non è semplicemente un luogo comune dirsi che la percezione della realtà e la comprensione fra le persone, o la lotta per questo, sono comunque sempre filtrati attraverso l'espressione del linguaggio, difficilmente questo può essere definito come una nuova scoperta pioneristica. Trattandosi semplicemente del significato del linguaggio, da questo non risulta alcun oggetto vero ed autonomo, che possa costituire una posizione propria nella filosofia e nella teoria sociale.
Tralasciando i problemi metafisici ad esso associati, si può riconoscere l'importanza specifica del linguaggio nel dibattito sulla teoria sociale e la critica sociale. E' chiaro che il linguaggio non è un mezzo neutro, ma semmai un momento dell'essere sociale e della sua storicità. In questo, esso è sempre "relativo", dal momento che non solo esprime le relazioni, ma è anche un momento della loro costituzione, essendo esso stesso sottomesso alla mutazione che avviene nei conflitti. Un ordine dominante delle relazioni sociali, del relazionamento con la natura e della scienza, per quanto qui si possa seguire interamente Foucault, crea anche la sua forma di linguaggio e la sua specifica collocazione dei concetti e dei significati, che esso afferma e difende. Inversamente, la critica ai diversi ordini ed alla loro auto-legittimazione è obbligata, insieme alla sua articolazione necessariamente linguistica, a dotarsi anche di concetti modificati, a decodificare e a screditare i vecchi regolamenti linguistici, ossia, insieme alla critica dei contenuti teorici e alla critica pratica, a combattere anche l'espressione linguistica a partire dalle relazioni esistenti. Questo vale ancora una volta non solo per il conflitto con l'ordine capitalistico in sé e come tale, ma anche per il conflitto all'interno della teoria critica e della sua stessa storicità, che corrisponde alla sua finalità.
Anche in tutto questo ancora non c'è niente che, in qualche modo, non possa essere sottoscritto da qualsiasi posizione teorica, senza con questo entrare in conflitto
con i propri fondamenti; finora non si tratta in qualche modo di un procedere sovversivo che possa ripudiare tutto il pensiero precedente della teoria sociale. In ogni caso si potrebbe dire che qui si fa valere maggiormente un momento che nella storia della teoria, la maggior parte delle volte, è rimasto in ombra. Ma non è questo il caso. La svolta linguistica, o per meglio dire, una determinata linea di interpretazione delle teorie corrispondenti, c'è stata unicamente ed esclusivamente perché e nella misura in cui ad essa veniva associata un'ipostatizzazione elementare del linguaggio come tale. Il punto di vista per cui il linguaggio non è un mezzo neutro per descrivere una realtà da esso indipendente è stato fin troppo allungato fino all'affermazione per cui il linguaggio sarebbe l'unico costituente della realtà, davvero l'unica realtà in sé.
Il linguaggio si trasforma così, da momento co-costituente delle relazioni storiche con la natura e con la società, in un'oggettualità totale che dissolve in sé tutti gli altri oggetti. Ancora di più: non esiste alcuna natura, ma soltanto le rispettive affermazioni linguistiche e il solo modus di comunicazione; non c'è alcuna formazione sociale storica, ma solo campi linguistici nei quali si comunica qualcosa; non esiste una vera e propria realtà dei conflitti sociali, ma solo un modus linguistico di opposizioni sociali. Il linguaggio non descrive qualcosa che simultaneamente influenza, ma è in definitiva la sua stessa materia, che può essere determinata solo a partire da sé stessa. Tutti gli oggetti sono in primo luogo oggetti linguistici; tutte le relazioni sono in primo luogo relazioni linguistiche. Nonostante sia ovvia l'assurdità di una simile affermazione, essa è diventata il fondamento epistemico del pensiero postmoderno, nel senso più lato.
Se il linguaggio può essere inteso soprattutto come fenomeno culturale, la dissoluzione del mondo nel linguaggio può sfociare così in un riduzionismo culturalista della teoria sociale. Quest'interpretazione si rivolgeva soprattutto contro la teoria di Marx delle relazioni di dominio, che pretendeva di rimuovere. La smaterializzazione del capitalismo corrispondeva alla sua culturalizzazione (linguistica). Se il capitale è solo un fenomeno linguistico, e quindi culturale, allora la cosa non ha poi troppa importanza. Se viene supposto che il linguaggio costituisce semplicemente la realtà, anche l'oggetto culturale-linguistico dev'essere decodificato soltanto dal punto di vista culturale-linguistico. Così facendo si ammorbidisce il concetto di critica, livellando simultaneamente la tensione fra negazione teorica e negazione pratica dell'ordine dominante.
Qui troviamo anche la radice delle tecniche di simulazione postmoderna nella critica sociale pratica e nel concetto di "lotte" sociali, poiché, data l'identità generale ed immediata fra linguaggio e realtà, non ci può veramente essere una qualche differenza qualitativa fra scioperi ed altre forme di intervento reale nella riproduzione del capitale, fino alla lotta armata, da un lato, ed azioni meramente simboliche, dall'altro. Inversamente, anche un conflitto risolto per mezzo delle armi da fuoco viene banalizzato come "fenomeno culturale", cosa che, tuttavia, indica una certa limitazione geografica o sociale del senso postmoderno della vita. Per una simile coscienza da zombie indulgente, quello di cui c'è bisogno è discutere dell'assunto ed organizzare le relative "pratiche culturali", questa è l'unica realtà. E' ormai l'apoteosi quasi cosmologica delle chiacchiere fatte al tavolo della taverna di sinistra. E, dal momento che il linguaggio è socialmente mediato, essenzialmente, attraverso i media, la "presenza mediatica" rappresenta la determinazione centrale dell'azione. In questo senso, la Nuova Sinistra del 1968, nel frattempo invecchiata, presentava già tracce ovviamente postmoderne. nonostante il revivalismo ideologico temporaneo dell'ortodossia del marxismo del movimento operaio.
E' facile capire perché quello che si intende per svolta linguistica, costituisca simultaneamente il terreno ideologico su cui può allegramente fiorire il dogma postmoderno della fine di tutte le certezze e la cultura dell'indeterminazione, o dell'ambiguità teorica. Se il mondo ha un'esistenza indipendente dalla sua interpretazione, se la natura costituisce una condizione materiale dell'esistenza umana e la società rappresenta una costituzione storica rigida, allora la riflessione teorica, e ancora di più la critica pratica, devono affrontare chiare determinazioni, una volta che pretendono di raggiungere realmente, e rivoluzionare, i loro oggetti. Ma, se il linguaggio è il suo proprio oggetto e tutti gli altri oggetti hanno in esso la loro unica realtà accessibile, allora anche il mondo è identico alla sua interpretazione. Così, è naturale che la tesi di Marx su Feuerbach si erga in modo assurdo: poiché, non solo "l'essere pratico" determina dall'esterno la teoria - essendo così il "modificare" confinato all'ordine dominante - ma c'è di più, poiché il "modificare" in generale può avvenire solamente come una semplice interpretazione, dal momento che non ci sarà più alcuna differenza ontologica fra la realtà e l'interpretazione.
Una volta raggiunto questo stato ideologica, allora si rende anche possibile l'eterno stato intermedio, o stato di sospensione, come se fosse una sorta di prodezza. Sul piano livellato e poco chiaro delle relazioni puramente linguistiche, ogni differenza di contenuto può essere relativizzata in maniera assoluta, poiché tutte le affermazioni stabiliscono esse stesse la realtà immediata, dal momento che così ormai non esiste più un qualsivoglia criterio per la loro verità o menzogna. A questo modo, la contingenza, di una sequenza di realizzazione o di non realizzazione delle possibilità, si trasforma in un'identità simultanea fra possibilità (multiple) e realtà, identità, di conseguenza, anch'essa assolutizzata. Un oggetto è tanto "multiplo" quanto le sue interpretazioni, incluse quelle che affermano la sua non esistenza. Il capitalismo esiste un poco, ma anche non esiste un poco. Dovremmo un poco essere quello, ma sarebbe anche meglio non dover essere un poco. Discutere l'assunto e l'oggetto modifica per noi la sua realtà linguistica, incessantemente e come un caleidoscopio.
Così tutto è simultaneamente il suo contrario, tutto può essere reinterpretato e "definito differentemente", a questo scopo basta avere sufficienti partecipanti linguistici. Con questo, tuttavia, la critica di un oggetto, di una posizione, di un modo di pensare non solo viene dislocata verso l'indeterminato, ma viene rese rigorosamente impossibile. Solo la critica può ancora essere criticata, poiché presuppone una chiara determinazione. Se linguaggio e realtà sono identici, la critica dell'ideologia, in particolare, non è più nemmeno pensabile, poiché qualsiasi espressione linguistica convenuta fra soggetti ne costituisce la sua propria valida realtà. Viene meno così la differenza fra affermazione e critica, fra dominio ed emancipazione, fra sinistra e destra. Perché anche i razzisti e gli antisemiti non potrebbero su qualche punto avere un po' ragione? Quanto meno non può essere stabilito alcun criterio per un giudizio chiaro. La svolta linguistica, in quanto metafisica postmoderna, ha reso questo impossibile e solo a questo punto non c'è più qualsivoglia contingenza, poiché in caso contrario non ci sarebbe più contingenza totale. La completa paralisi del pensiero e dell'agire in questo modo può sorgere come apertura "liberatrice" per la molteplicità multicolore delle indeterminazioni e delle indecisioni, che proprio in questo modo vengono storicamente determinate e decise. Ma questo non si può già più dire.

- Robert Kurz – ( 5 di 7 – continua …)

- Pubblicato sulla rivista EXIT! Krise und Kritik der Warengesellschaft, nº 12 (11/2014) -

fonte: EXIT!

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