giovedì 5 febbraio 2015

Il tempo del deserto della disoccupazione

jameson

Sul potere del negativo
di Fredric Jameson

Così, dopo tutto, il potere del negativo finisce per essere post-modernità: non è di certo, secondo questi splendidi saggi, il potente motore della storia celebrato da Hegel. Piuttosto, è la rottura della storia, un inquietante perpetuo presente nel quale nessuno sa quello che sta per succedere (la "cosa che non hai visto") e in effetti nessuno sa se sta per succedere una certa cosa. E' veramente la realizzazione dello slogan "no future", e giustifica la combinazione di così tanti disparati argomenti, dall'architettura al capitale finanziario (nello stesso saggio), dalla distopia ad Occupy, dalla disoccupazione permanente all'ironia. Presente permanente significa che nessuno può ricordare cosa fosse la catastrofe, e che quindi non ci può essere un accordo tematico circa quello che siamo ora, e certamente nessuna previsione plausibile sui possibili futuri, se non nella misura in cui non ne abbiamo nessuno. Il solo argomento che ci rimane è il tempo stesso, o piuttosto questa particolare temporalità di un presente senza passato e senza futuro, che non somiglia molto all'eternità e che, nonostante Paul de Man ed i romantici tedeschi, non mi sembra possa rivendicare il termine "ironia".
Ho sempre amato l'idea della "House" di Rachel Whiteread (l'idea, perché non l'ho mai vista, ed ora non potrò più vederla): quello che dovrebbe essere demolito è comunque perfettamente logico ed è come se costituisse la struttura del lavoro stesso.Ecco, una fila di case abbandonate, tutte da demolire e senza neppure più uno squatter come abitante: questa è la crisi stessa ed il suo niente - solo l'incarnazione spettrale (o la disincarnazione) della disoccupazione strutturale, come la prevede Aaron Benanav per l'attuale capitalismo, e che viene spesso citato nei diversi saggi di questa raccolta. Ma come fare per rendere visibile un fantasma, o una disincarnazione, come farlo apparire? Un problema non dissimile da quello di rendere visibile il presente, in assenza del suo passato e del futuro. Fai un calco di cemento del suo posto vacante: una qualche sorta di prima negazione hegeliana, nella quale l'assenza viene negata dalla materializzazione, dove l'assenza, reificata, viene fatta apparire. E poi, in un secondo, neppure di negazione hegeliana, la distruggi. Rimane un ricordo? Se è così, non lo è certamente alla maniera di quei vacui monumenti e quei memoriali che sono sorti in obbedienza allo slogan, altrettanto vacuo, di "luoghi della memoria". Ma non è neppure il tangibile, magnifico gesto di Gordon Matta-Clark di tagliare e bucare edifici, dividendo a metà un nucleo abitativo famigliare, facendo buchi attraverso vecchi magazzini. Quello era ancora il vecchio colpo di genio modernista; questo è qualcos'altro, per cui non mi piace molto l'attuale nozione di "malinconia" (anche se ne riconosco la rilevanza), dove l'affetto sostituisce l'emozione: questa non è la mimesi della demolizione a venire; è la sua presenza silente.

jameson buchi

Suppongo, forse a torto, che la Grove Street sia poi diventata sede di un centro culturale tipo la ricostruzione della fabbrica Fiat fatta da Renzo Piano a Torino: cultura immateriale come conseguenza della disoccupazione, della demolizione, del nulla, anzi una qualche sorta di terza negazione dove lo "spirituale" nega il materiale e la reificazione assume la forma, non più del concreto, ma piuttosto della "creatività" e del turismo (ancora un altro simulacro postmoderno che stranamente manca nella mostra). Connettere questo rifunzionamento "culturale" con l'emergere del concetto di lavoro immateriale (che di certo storicizza in un sol colpo) è sicuramente un gesto metodologico impressionante, che trasforma indubbiamente la teoria in un altro simbolo culturale ancora. Questo non significa che la teoria, in quanto riflessione storica su una data situazione storica, sia perciò necessariamente non vera: ma solo che abbiamo bisogno di cambiare la maniera in cui pensiamo la verità. Che lo stesso Occupy sia un sintomo, piuttosto che un programma politico, può ben significare che la "classe media" americana (un eufemismo) non ha alcun programma politico (o "futuro") ora; ma anche che questa è una diagnosi storica preziosa.
Eppure, il passato spettrale delle vecchie tendopoli indugia nel presente di Occupy, che viene comunque amplificato dai suoi echi di Seattle, della Primavera Araba, e di tutte le autogestite dimostrazioni/occupazioni di massa dovunque. E' la forma di questi movimenti e le loro relazioni con il nostro presente perpetuo ad essere politicamente interessante, e non i loro risultati o le conseguenze in qualsiasi vecchio senso rivoluzionario.
Lottando, nel finale pasticciato di "Essere e Tempo", per trovare una mediazione fra l'esperienza esistenziale dell'individuo e la storicità stessa (o, in altre parole, il collettivo), Heidegger si imbatté in una nota a piè di pagina nell'allora-nuovo concetto di "generazione" di Dilthey. Nel suo caso, come sappiamo, era una scoperta inquietante: il punto, ad ogni modo, è che l'esperienza generazionale è relativamente non comune e la contemporaneità (ora usata nella storia dell'arte come sostituto di postmoderno) non è una soluzione veloce: abbastanza rari, diceva Mallarmé, sono coloro i quali sono contemporanei anche con sé stessi.
Ma l'insolita traiettoria che viene delineata fra "The Road" e "Le cose che non abbiamo visto arrivare" mi ha colpito improvvisamente come se fosse un sintomo nuovo ed assolutamente significativo: banali distopie ce ne sono state parecchie (e mi piacerebbe non dover confessare che penso che il romanzo di McCarthy sia uno di questi), ma qui, per la prima volta, ho la sensazione che la distopia sia diventata un genere maggiore e che la sua promozione sia, essa stessa, il segnale che stiamo assistendo all'emergere di una nuova generazione: a mio avviso, è dagli anni '60 che non ce n'era più stata una (e devo aggiungere che io non ne ho fatto parte). Ma i '60 hanno formato la nostra idea di quello che era una generazione, e ci ha ha fatto perdere di vista il fatto che quello che costituisce una generazione, fra le altre cose, è una nuova idea della generazione stessa, che è come dire, una nuova idea di tempo.
Il concetto di tempo che si stava già facendo strada durante il periodo modernista, è quello che io vorrei designare come "retroattività", la sua prima piena enunciazione viene data già da Freud con il suo concetto di Nachträglichkeit (detto in altre parole, come un evento tardivo come la pubertà possa tornare indietro nell'esperienza dell'infanzia e trasformarla in psicosi). Qui, il presente riscrive il passato o perfino lo costruisce come se fosse la prima volta (come in Proust, per esempio); e viene inventata la tradizione.

jameson tende

Il nuovo concetto di tempo che vedo emergere in questi scritti ora si aggiorna in maniera nuova, coerentemente con il dislocamento del concetto tradizionale di distopia, in quello che mi sembra essere una nuova versione del tempo distopico. E' come se il passato. essendo stato "decostruito" (nella postulazione dei suoi stessi presupposti), ora si dissolvesse lentamente, lasciando dietro di sé solamente due dimensioni del tempo.
Questo, per dirne una, non ha alcuna causa: può essere post-catastrofico, ma la catastrofe non è stata registrata, neppure ricordata o dimenticata (Infatti, McCarthy lo tratteggia: "Gli orologi si erano fermati all'1:17. Una lunga lama di luce e poi una serie di colpi sordi", è il segno della sua incapacità a rompere con il vecchio, tradizionale genere distopico). Nessun futuro, ma non nel senso di Edelman del ripudio dell'utopia e della stessa politica: piuttosto, semplicemente una riduzione della "protensione" verso il futuro di Husserl, un indebolimento del senso del tempo e la preoccupazione ossessiva-compulsiva ("Sorge", ansia) circa il cosa fare dopo, e poi dopo, e dopo ancora. E' questa la vera riduzione al presente, ma il libro di Amsterdam, "Things We Didn’t See Coming" chiarisce che si tratta di un presente abbastanza differente da quello che abbiamo immaginato (e a dire la verità, il mio pensiero per cui esso costituirebbe una "riduzione al corpo" probabilmente è sbagliato). Non si tratta certamente della "nuda vita"; ma il suo eroe avrebbe potuto benissimo aver vagabondato per le tende di Occupy, ad un certo punto. Le forme esteriori di potere sociale qui vanno e vengono come le nuvole, troppo alte nella stratosfera per poter essere direttamente osservate. E' politica? La domanda è mal posta, e dovrebbe essere piuttosto formulata, "Come fa ad essere politica?", dal momento che la questione è che noi semplicemente ancora non lo sappiamo (né l'eroe opportunista ha da dirci molto di più a tale riguardo; egli è più vicino ad un picaro, a Lazarillo de Tormes, che all'anonimo eroe de La Strada o a Mad Max). In ogni caso, tutti questi saggi mi sembrano finire qui, nella contemplazione di questa nuova enigmatica temporalità, il tempo de deserto della disoccupazione, per così dire.

- Fredric Jameson -

fonte: Mediations - Journal of the Marxist Literary Group

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