venerdì 20 febbraio 2015

I criminali dell’imposizione

kant07

ONTOLOGIA NEGATIVA
- Gli oscurantisti dell'Illuminismo e la metafisica storica della Modernità -
di Robert Kurz

La fine della galleria degli antenati e il superamento della teoria positiva
Dal punto di vista di una necessaria critica radicale dell'illuminismo e dei "valori occidentali", è evidente che i corifei della filosofia illuminista non possono sottrarsi ad una valutazione nuova e negativa. Che i poco profondi pensatori del democraticismo di sinistra, così come gli inculcatori ufficiali della macchina propagandistica occidentale, democratica e guerriera mondiale, invochino Kant e Compagnia in una forma positiva, si capisce da sé. Ma quando una riflessione che si intende come critica del valore riconosce ai signori Kant, Hegel, ecc., con una specie di deferenza rituale, le "realizzazioni del (rispettivo) pensiero" (e questo avviene anche, in una forma o nell'altro, per lo sviluppo di cui a tutt'oggi soffre la critica del valore), si dimostra una volta di più l'attaccamento al modus della logica identitaria e alla metafisica storica illuminista.
Questa maniera di trattare con la filosofia illuminista (per la quale, sotto questo punto di vista, Kant può servire da sinonimo) si differenzia solo apparentemente dal meramente affermativo degli ideologhi democratici i quali si riferiscono al fatto che, per esempio, i pensatori etici da quattro soldi che abbiamo oggi non capiscono Kant, in quanto non riescono a notare che questo si batte a livello concettuale contro il problema della costituzione della moderna socializzazione del valore, indicando le antinomie e le aporie che a questa sono intrinseche. Invece, questi ideologhi considererebbero la costituzione della forma valore e della forma giuridica - già problematizzata da Kant come un cieco presupposto - come se nel frattempo si fosse oramai stabilita nella coscienza quotidiana, evitando, proprio per questo, di percepire il problema sollevato da Kant.
Questo, ne sono certo, non è sufficiente per la valutazione di Kant e per il modo in cui "identifica i problemi". Si scopre così che il pensiero di Kant, con l'enorme mole della sua riflessione, apparrebbe essere come un precursore della critica del valore, la quale, attraverso i livelli intermedi di Hegel e Marx, crede di poter prolungare la catena di riflessioni. Quello che viene omesso, o, in qualche modo, messo da parte per non farlo sembrare importante, è il fatto che Kant puramente e semplicemente non è stato solo un pensatore riflessivo, ma è stato anche un militante ideologo dell'imposizione della socializzazione del valore.
In questa omissione si rivela l'attaccamento, ancora non superato, alla forma del valore e della dissociazione e al rispettivo modo di pensare. Come è già avvenuto nel pensiero stesso di una critica del valore così ridotta, così, anche nella valutazione di Kant e Compagnia, si rivela la differenza decisiva fra una mera riflessione positiva e (nel senso di Hegel) una mera "coscienza riflessa in sé" dell'assunto, da una parte, e la sua critica radicale teorica e pratica, dall'altra. Lo sforzo necessario, proprio della critica in senso contrario - che si oppone proprio ad un corso degli eventi solo "necessario" e prefigurato in una logica oggettivata - scompare; e così, Kant, nelle cui opere principali la parola critica fa parte del titolo, ma che è l'esatto opposto di quella di un critico della socializzazione del valore, può essere incluso nella galleria degli antenati del pensiero critico "in sé e per sé".
Questo modo di vedere le cose è inoltre possibile perché un pensiero della critica del valore che, esso stesso, non abbia ancora superato la logica identitaria, finisce per lo più per svolgersi in uno stato di contemplazione, ossia, in un regime di segregazione sistematica della riproduzione sociale di cui è tornato a far parte, sebbene in un certo modo (che, tuttavia, non viene considerato nella riflessione). Va da sé che altresì una critica del valore che non procede più secondo i precetti della logica identitaria ha come punto di partenza la separazione fra teoria e pratica, determinata dal valore, dovendo cominciare a mediarsi, in un processo complesso, con la pratica sociale. Tuttavia, lo stato contemplativo può essere superato, qua e là (ma in nessun modo completamente), nel proprio pensiero teorico, cominciando a far sì che questo smetta di essere un pensiero puramente teorico nel senso contemplativo della cesura borghese; e, in particolare, convertendosi in un pensiero realmente critico al livello della stessa teoria, invece di passare per uno stato positivamente riflessivo. La differenza consiste nell'includere anche una critica dello stato contemplativo in quanto tale (e, insieme ad essa, un altro momento della dimensione finora "tacita" delle relazioni moderne del feticcio).
Già questo significa portare allo scoperto la reale identità negativa tra teoria e pratica, nella costellazione borghese della sua separazione e della sua polarità ostile. Gli è che - proprio nella negatività oggettivata della sua segregazione radicale della pratica riproduttiva - la teoria contemplativa, allo stesso tempo, non smette di essere una forma sui generis della pratica sociale; un momento radicalmente separato dalla prassi nella sua totalità e, quindi, una prassi di second'ordine in seno a questa separazione; tuttavia, senza saperlo consciamente e senza includere questo fatto nella sua riflessione. Alla fine è proprio in questo che consiste la cesura polarizzatrice e, insieme ad essa, il carattere contemplativo, separato dall'attuazione, della teoria borghese. Il motto marxiano a proposito degli attori delle relazioni di feticcio si applica anche qui: "Non lo sanno, ma lo fanno". Dove la critica del valore non si estende ad una critica di questo carattere, le viene a mancare anche questo livello di riflessione, di modo che teme di attuare, per quel che dice riguardo al pensiero teorico, come se si trovasse realmente davanti ad una mera "storia intellettuale", la cui rilevanza pratica non viene considerata.
Nella realtà, però, la teoria, anche se separata dalla contemplazione, è da sempre indiretta e, in quanto prassi di second'ordine, agisce anche sulla pratica sociale integrandosi essa stessa in forma oggettivante nella realtà circostante. Rispetto a ciò vale quello che si applica alla dialettica soggetto-oggetto in generale: quello che avviene nella realtà non è, in nessun modo, qualcosa per cui, da un lato, abbiamo i fatti puramente oggettivi e, dall'altro, il pensiero teorico che si limita a riflettere questa oggettività e che, attraverso uno sforzo di riflessione, si avvicina e si adegua, più o meno, al suo oggetto. Appare come un teorico contemplativo, ma è proprio questa l'apparenza feticista.
Così come le realtà autonomizzate nella forma del feticcio non sono oggettive, ma solo oggettivate - ossia, fatte in casa, anche se in maniera non cosciente - anche la teoria contemplativamente separata si integra in questa "produzione". Essa, lungi dal limitarsi a reagire, agisce anche; non si limita a riflettere le situazioni una volta che queste si creano, ma aiuta anche la loro creazione. Essendo riflessione sulle oggettivazioni passate, essa è allo stesso tempo nascita, dalla testa, di future oggettivazioni. Le relazioni di feticcio oggettivate, quindi, non sono mai nate solamente da una qualche testa ma, altresì, non sono mai meri oggetti di pensiero esterno. Anche la teoria contemplativa "avviene" in un certo modo convertendosi in programma ed incarnandosi a livello istituzionale, anche se, d'altra parte, tutte le istituzioni, forme di relazionamento, ecc., sono in gran parte prodotti di ciechi processi pratici, indipendenti dalla teoria.
In questo senso, i filosofi dell'illuminismo non possono non essere visti, anche, come ideologhi dell'imposizione, per non dire come criminali dell'imposizione della società del valore e della dissociazione. Tutti loro sono i criminali dal colletto bianco di una storia di sofferenza dell'umanità, acutizzata insopportabilmente dal soggetto del valore. E, in quanto tali, essi sono ben presenti con i loro crimini intellettuali che sono diventati parte dell'oggettivazione capitalista e, per tale attività criminosa, va fatto loro un processo. L'invocazione apologetica del "contesto temporale" equivale, in questo caso, alla difesa del processo di oggettivazione. E' evidente che qualsiasi pensiero si svolge inserito in un qualche "contesto temporale", ma questo però non lo giustifica. Quel che conta è conoscere l'importanza che questo pensiero ha nella Storia.
Probabilmente si potrebbe obiettare che una condanna sommaria dei pensatori dell'illuminismo sottoporrebbe questi signori ad un trattamento che obbedisce ad auna logica identitaria ingiustificata, come se essi venissero riassunti totalmente nel loro crimine intellettuale negativo. In una certa misura  dobbiamo comportarci, in rapporto a loro, perfino in un modo così tanto apparentemente "ingiusto", per poterci liberare da questa pesante ipoteca ideale. Così come i democratici muscolosi, com'è noto, diffondono la parola d'ordine "Nessuna libertà per i nemici della libertà" (riferendosi con questo, senza alcun dubbio, più alla critica emancipatrice che ai propri razzisti di famiglia), la critica del valore e della dissociazione potrebbe procedere secondo lo slogan "Nessuna esenzione dal processo della logica identitaria per gli ideologhi della logica identitaria" poiché, diversamente, non ci libereremo mai di loro.
E' evidente che in questa apparente vertigine, anche la posizione storica della critica del valore e della dissociazione diventa qualcosa che determina inevitabilmente la prospettiva: Se è proprio vero che ci troviamo al limite della "preistoria" delle relazioni di feticcio, tutto il pensiero che fa parte di tale preistoria in forma affermativa (ossia, si trova attaccato alle relazioni di feticcio, le giustifica e aiuta a costruirle) ha raggiunto la fine del suo rispettivo periodo di validità e, in questo senso, dev'essere negato.
Tuttavia, questo non vuol significare che il pensiero si trovi ad uno zero assoluto e che tutto il pensiero sviluppato finora possa essere gettato nella pattumiera della Storia, senza ulteriori considerazioni. Il pensiero non si è mai limitato a pensare e a rappresentare la forma schiavizzante, avendo ugualmente elaborato la sofferenza da tale forma causata, per quanto distorto o poco chiaro sia stato il suo modo per farlo. A questo riguardo, quel che importa è elaborare una nuova differenziazione dei risultati di questo pensiero, dando alla "storia intellettuale" preesistente una disposizione differente che sia coerente con la nuova prospettiva. Allora i pensatori dell'illuminismo - che hanno affermato in maniera militante la moderna forma del soggetto, e insieme ad essa, hanno affermato la moderna storia della sofferenza e dell'arroganza - finiscano per essere infinitamente più malvisti di quanto sarebbe il caso in una critica che si inquadra solamente nella storia immanente dell'imposizione della modernità e che ha aiutato la relazione del valore e della dissociazione ad acquisire la sua autocoscienza, invece di superarla.
E' proprio con questo metro che la critica del valore e della dissociazione può valutare la misura in cui è stato superato il modus della logica identitaria, in un certo qual modo, anche da come si discute a proposito dell'epoca dell'illuminismo. Da un lato, portando alla luce quelle idee dissidenti che finora hanno meritato poca attenzione nella disputa immanente fra l'illuminismo ed il contro-illumunismo ad esso associato, interessandosi alle resistenze sociali e ai movimenti sociali ecc. dell'epoca in un modo diverso da quello della metafisica illuminista della storia. L'epoca dell'illuminismo non si riassume in alcun modo nell'illuminismo.
Dall'altro lato, è anche importante sottolineare la contraddittorietà interna alla stessa filosofia illuminista. Ma questo, semplicemente, non può avvenire nella stessa forma in cui è avvenuto finora, come per esempio con Adorno stesso, che tentava di estrarre da questo corpo di idee, repressivo e caratterizzato da un'ideologia autoritaria, un elemento suppostamente "buono" ed emancipatore. Prima ancora si tratta solo di dimostrare come l'illuminismo si impigli in antinomie ed aporie impossibili da superare nel suo proprio ambito, e che rivela così, involontariamente, come il totalitarismo della socializzazione del valore non funziona e non può funzionare.

- Robert Kurz -

- 8 di 8 – fine -

fonte: EXIT!

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