giovedì 12 febbraio 2015

12 febbraio: regolare i conti

montseny

Il 12 febbraio, non renderò affatto omaggio alla "compagna Federica"
di Imbert Robert

In questi tempi di commemorazioni, chissà se ci sarà la deposizione di una corona di fiori o un semplice discorso per "celebrare" la nascita di Federica Montseny? Di colei che fu una protagonista mitica della CNT in Spagna ed in esilio, la Ministra della Sanità fra il 1936 ed il 1937, la  compagna e la complice di Germinal Esgleas, alla quale, a Tolosa, hanno intitolato un viale della città, a lei, nata il 12 febbraio 1905... Federica Montseny, fa parte di quelle icone che non devono essere toccate, col pretesto che una parte della vita di quest'irremovibile dirigente si è confusa con quella della CNT sia in Spagna che in esilio... Ma alcuni archivi, la pubblicazione delle memorie di Garcia Oliver, l'opera di Burnett Bolloten o la biografia a lei dedicata da Irene Lozano, rivelano un'immagine nettamente meno "idealizzata" di "Madame la Ministre"...

Gusto del potere e vanità...
Archetipo di un "liberalismo radicalizzato". Proveniente dalla piccola-borghesia pseudo-intellettualizzata, adepta di un anarchismo idealista e senza contenuti di classe, così come viene professato da alcuni "liberali radicalizzati" della FAI, farà le sue prime battaglie, con qualche difficoltà, per potersi emancipare dalla sua famiglia di sangue e di idee, gli Urales: Teresa Mañé et Juan Montseny, quest'ultimo più noto sotto lo pseudonimo di Federico Urales, iniziatori della "Revista Blanca" (Rivista libertaria, di sociologia, arte e scienza, pubblicata a Madrid dal 1898 al 1905 e a Barcellona dal 1° giugno 1923 al 15 agosto 1936). Rifiutandosi di vivere all'ombra di un padre "Papa dell'Anarchia", "risolverà" il suo problema prendendo il suo posto in seno alla Rivista. Nell'agosto del 1936, non esiterà un attimo a difendere la "patria" e la "nazione", la Spagna degli operai, dei produttori. Dopo aver fatto valere le sue qualità di membro del Comitato regionale della Catalogna e del Comitato peninsulare della FAI, lancia un vibrante:
"La Spagna grande, la Spagna produttrice, la Spagna veramente innovatrice, siamo noi a farla: repubblicani, socialisti, comunisti e anarchici, quando lavoriamo col sudore della nostra fronte."
Per poi affermare, nello stesso discorso, che:
"Siamo tutti uniti sul fronte della lotta; unità sacra, unità magnifica, che ha fatto sparire tutte le classe, tutti i partiti politici, tutte le tendenze che prima ci hanno separato."
Nel 1937, Federico Urales indirizzerà alla "compagna Federica Montseny", allora ministro, una lettera nella quale evidenzia i due difetti che le rimproverano anche gli avversari della figlia: "gusto per il potere e vanità"... Ed avrebbe anche potuto aggiungere: "disprezzo coloniale".
Infatti, il 31 agosto 1936, a proposito del nemico interno e di un fronte antifascista", non esita a parlare dei “Mori” come quelli che "impongono la civiltà del fascio, non come una civiltà cristiana, ma come una civiltà moresca, da parte di persone che non siamo andati a colonizzare perché ora venissero a colonizzarci, con principi religiosi ed idee politiche che ora voglio impiantare nella coscienza degli spagnoli." (Solidarid Obrera del 2/9/1936).
Collaborazionismo governativo: "Gli anarchici sono entrati al governo per impedire che Rivoluzione deviasse e per continuarla al di là della guerra, ed ancora per opporsi ad ogni possibilità di tentativo dittatoriale, da qualunque parte provenga.", dichiara il 3 gennaio del 1937.
Tre mesi più tardi, Camillo Berneri le indirizzerà una lettera aperta:
"E' arrivato il momento di sapere se gli anarchici sono al governo per essere le vestali di un fuoco che è ormai sul punto di propagarsi, oppure se ci sono ormai solamente per servire da berretto frigio a dei politici che flirtano col nemico o con le forze di restaurazione della 'Repubblica di tutte le classi'. Il problema ci viene posto dall'evidenza di una crisi che va al di là degli uomini che ne sono i personaggi rappresentativi. Il dilemma: guerra o rivoluzione non ha più alcun senso. Il solo dilemma è: o la vittoria su Franco grazie alla guerra rivoluzionaria oppure la sconfitta. Il problema per te e per gli altri compagni è quello di scegliere fra la Versailles di Thiers e la Parigi della Comune, prima che Thiers e Bismarck realizzino la sacra unione."
Quelli che, come José Peirats, si oppongono al suo dogmatismo in seno alla CNT, convinti che una volta integrata nell'apparato statale, l'organizzazione sarebbe diventata il loro peggior nemico, verranno espulsi, senza alcun dibattito. Nel corso del suo esilio, la Montseny non smetterà mai di spogliarsi dei panni di ministro che aveva indossato senza che vi fosse stata costretta, e continuerà ad eludere le "domande imbarazzanti". Così come, allo stesso modo, manterrà il silenzio a proposito delle sue manovre con Diego Abad de Santillán e con Marianet al fine di far credere a Durruti che solo lui avrebbe potuto salvare Madrid...

("E' così che si nono imbarcati in questa brutta storia... E' a Valencia, una notte, mentre dormivo nel mio albergo, che vengo svegliato per essere informato del cambiamento di programma. Fuori, Montseny e Durruti mi aspettavano dentro un'automobile. Io ascolto quello che avevano da dirmi, poi mi rivolgo a Federica: 'Cosa volete, che lo uccidano?' E, infatti, era alla morte che lo mandavano. Le condizioni in cui Durruti partiva per Madrid erano inverosimili. A cosa potevano servire 200 o 300 uomini? Cosa poteva fare Durruti in una città di cui ignorava tutto e dove i suoi uomini sarebbero stati messi sotto controllo dallo Stato Maggiore, con l'obbligo di rispettarne le scelte strategiche? La mia proposta era assai diversa: un corpo d'armata di tre divisioni sotto i suoi ordini con piena autonomia di comando. Lo ripeto: nelle condizioni in cui Durruti è partito per Madrid, la sua morte era certa." (Una conversazione con Juan Garcia Oliver - À contretemps, n° 17, luglio 2004).

E anche se, in un discorso del 27 maggio 1937, a proposito della sua gestione come ministro della Sanità, non viene mai pronunciata la parola 'aborto' e che non ci sia alcuna misura in tal senso nella legge approvata in Catalogna nel dicembre del 1936, negli anni '70 si attribuirà, spudoratamente, un ruolo di primo piano circa quest'argomento.

Dopo la creazione nella CNT, di un "Sindacato delle professioni liberali" che raggruppava i medici, gli avvocati ed i membri delle professioni cosiddette intellettuali (fra i cui membri si contava Gaston Leval), Federica Montseny  ne diventa, insieme a Germinal Esgleas, un'incaricata permanente per tutti i lunghi anni dell’esilio. Circondata da un "clan" composto di "puristi", bloccherà la CNT in esilio, lanciando anatemi sugli "eretici che tentavano di rimettere in piedi un'organizzazione degna di questo nome, ma i cui ranghi venivano continuamente decimati a forza di "scomuniche".

Dal suo quartier generale al "4 di Rue Belfort", sede di Tolosa del Segretariato Intercontinentale della CNT, la "Leona" (soprannome che ricevette, negli anni 1930, quando si battè contro i "trentisti" *[vedi nota] nel nome della Santissima Anarchia) e la sua cerchia facevano il bello e il cattivo tempo, mentre le remunerazioni corrisposte agli incaricati permanenti del clan sopperivano, in tutto o in parte, ai loro bisogni quotidiani.
Per tutta la sua vita, soprattutto durante l'esilio, si farà carico di auto-organizzare l'immagine che voleva dare di sé, avendo cura di smussare le eventuali asperità, di cancellare qualsiasi incoerenza e di riscrivere i suoi momenti peggiori.
Nel suo "Testimonianza di una militante libertaria della rivoluzione spagnola" (16 interviste realizzate nel 1982 e che si possono consultare sul sito della CNT-AIT) le sue risposte lasciano di stucco:

"col senno di poi e vedendo la quantità di errori commessi, le cose che si sarebbero dovute fare, malgrado tutto, l'esempio che abbiamo dato, di affrontare il fascismo per tre anni, tutto ciò rimarrà. Una gloria per noi, il movimento libertario e per l'antifascismo, una realtà che il popolo ha vissuto nel corso di 33 mesi" (da "Sull'esempio della rivoluzione spagnola, malgrado gli errori")

A proposito del suo ingresso nel governo e la sua opinione a posteriori, dichiara che "non si può giudicare", "che bisogna inserirlo nel contesto dell'epoca" oppure "perché una rivoluzione riesca, bisogna che tutti il mondo l'accetti e si senta in quella rivoluzione". Evitando di esprimere qualsiasi opinione ... così come fa a proposito delle "Mujeres Libres" o a proposito del "Maggio 1937".

Sull'avvenire della rivoluzione, che paragona ad un salto nel vuoto, tranne la constatazione che "è a forza di saltare e di rompersi la schiena che si avanza", l'eminente teorica anarchica non dirà niente di più di quello che scrive in un numero del giornale Espoir:
"La rivoluzione spagnola non ha avuto né un Robespierre, né un Danton, né un Lenin. Ma essa possedeva una qualità inestimabile: una generazione formatasi nella lotta, che si è nutrita di progetti rivoluzionari. Noi credevamo di poter cambiare il mondi, perché eravamo giovani ed entusiasti, e perché avevamo la forza del numero".

In questi tempi di "Memoria", e per evitare di flirtare con la beatificazione o con la riscrittura, può servire, può perfino essere necessario porsi delle domande, come ha fatto Tomás Ibáñez:

"Per molti compagni, recuperare la memoria storica delle lotte, ed in particolare quella dell'organizzazione anarco-sindacalista, rappresenta un lavoro positivo che serve ad affrontare il presente. Quello di cui non si rendono conto, è dell'effetto castrante che produce una tale memoria. In realtà, quando recuperare la memoria storica significa recuperare le sigle, i simboli, i congressi, ecc., quello che avviene è una vera e propria regressione. Recuperare la memoria con i suoi toni d'epoca, come si il tempo si fosse congelato, vuol dire trasportarsi in quei momenti e vuol dire anche concepire il futuro come un modo per rivivere il passato, come una rinascita che dovrebbe riprodurre l'età d'oro." ( Tomás Ibáñez - Il recupero della memoria come modo per rivivere il passato. Frammenti sparsi per un anarchismo senza dogmi. - Edizioni Rue Des Cascades )

Per tutti questi motivi, non renderò omaggio alla "compagna Federica" ...
 
Imbert Robert

* nota: vennero chiamati "trentisti", proprio a partire dal fatto che la loro consistenza numerica era di trenta persone. Trenta sindacalisti della CNT, partigiani di quel che definivano "sindacalismo puro" e che volevano liberare la CNT dall'influenza dei gruppi anarchici. A tale scopo, nell'agosto 1931, mentre nelle strade della città della Spagna, i lavoratori e i disoccupati combattevano una guerra senza quartiere contro il capitale, essi resero noto il loro "Manifesto dei trenta". Questi sindacalisti moderati, come Peirò o Pestaña, proponevano una sorta di armistizio con le autorità, di modo che l'azione sindacale potesse svilupparsi, e criticavano la violenza dei gruppi di difesa ed il ricorso ad azioni illegali.
La Repubblica, ristabilita nell'aprile del 1931, aveva proposto ad alcuni di loro di diventare ministri - cosa che non osarono accettare. Va sottolineato come la disoccupazione di massa avesse esercitato una forte pressione sul codice morale dei sindacalisti: per lottare contro la disoccupazione, alcuni dei "trentisti" proponevano di limitare il lavoro delle donne e di controllare gli immigrati, già criminalizzati dalla stampa, e ritenevano che le azioni svolte, all'epoca, dai disoccupati contro le fabbriche, fossero "indegne dei lavoratori". La concezione anarco-sindacalista della dignità proletaria era qui diventata una sorta di versione radicale del concetto borghese del "bravo operaio" che vive esclusivamente del suo proprio lavoro.

fonte: AutreFuture.net

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