lunedì 5 gennaio 2015

Mika

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"Abbiamo visto di tutto. C'è una donna che comanda la compagnia e i miliziani che si lavano i calzini. Questo, per una rivoluzione. è una rivoluzione!"

Ne "La mia guerra di Spagna", di Mika Etchebéhère, ci troviamo ben lontani da quei racconti eroici dove ad ogni pagina trasudano momenti di gloria e colpi di mano. Mika parla con semplicità del suo impegno politico iniziato in Argentina, della sua partecipazione insieme al POUM sul fronte di Sigüenza, delle altre battaglie. Con umanità, parla del suo amore con Hippolyte, fa le sue considerazioni sull'arte, sulla sessualità al fronte. Ci racconta della sua amicizia con Cipriano Mera, il quale interverrà al momento del suo arresto da parte della Ghepeù.
L'incontro con Hippolyte Etchebéhère, per Micaela Feldman (il vero nome di Mika), sarà l'incontro della sua vita; lo sposerà e, alla morte di lui, gli succederà sul fronte spagnolo come comandante di una colonna del POUM. Più volte, nel libro, parla del marito, ne parla ogni volte che si sente stanca o depressa, o semplicemente sola. Dopo la caduta della cattedrale di Sigüenza - la battaglia più importante in cui ottenne il comando della colonna - parte verso Parigi per recuperare le forze:

"Dopo ho eretto una diga contro i ricordi. Per poter vivere. Così mi sono svuotata. Ho solo i pensieri utili alla guerra, dagli altri mi difendo. Non devo leggere perché ho già letto tutto insieme a lui, né devo guardare il cielo, né amare la montagna, né soffermarmi a guardare un fiore, perché tutto questo appartiene alla nostra vita a due, a quando mi diceva: 'Dobbiamo amministrare il nostro amore. Compreremo meno libri così che tu possa avere un bel vestito. Ti ricordi di quello che avevo disegnato per te quando ci siamo conosciuti? Ora non hai altro che una vecchia gonna e quel cappotto da ragazzo che ti ha regalato Marguerite.
La politica inghiotte tutta la nostra vita, bisogna che non ci divori.'"

Quando, sul fronte, incontra Cipriano Mera, si ricorda il suo primo coinvolgimento con l'anarchismo e con il gruppo femminista "Louise Michel", cui aveva aderito, in Argentina, all'età di 14 anni... "Lui incarna per me l'anarchismo intransigente ed austero che mi ha portato alla lotta rivoluzionaria appena uscita dall'infanzia". E lui non nega affatto il suo modo di pensare:

Cipriano: "Ammetto che tu continui ad essere legata ai tuoi vecchi fratelli anarchici. In te, il comunismo resta in superficie, dentro tu rimani anarchica."
Mika: "Forse hai ragione... In ogni caso, quello che a me rimane dell'anarchismo, è l'incapacità a rispettare le gerarchie imposte, e la mia fede nel circolo dell'uguaglianza."

Quando uno dei suoi miliziani, Clavellin - che aveva solo 15 anni - resta mortalmente ferito nel corso della battaglia sulle colline dell'Aguila, Mika scoppia a piangere, e mera le si rivolge con tono sferzante:
"Andiamo, piccola, smetti di piangere: sei così coraggiosa, e piangi! Certo, dopo tutto sei una donna."
Con orgoglio, risponde con una quota di disprezzo:
Le sue parole mi colpiscono come una frusta, facendomi stringere i pugni e facendo bruciare il mio viso. Alzo la testa, cercando di calmarmi, cercando una risposta schiacciante, ma riesco solo a dire: "E' vero, una donna dopo tutto, e tu, con tutto il tuo anarchismo, un uomo dopo tutto, marcio di pregiudizi come qualsiasi altro maschio."

Si oppone, Mika, quando vede le chiese bruciate a causa dell'anticlericalismo.
"Sapete, compagni, ci sono dei veri tesori qui. Ogni pezzo di legno dipinto vale una fortuna. E' molto antico e non si potrà mai più rifare niente del genere. Quando la guerra sarà finita, la vostra chiesa verrà dichiarata monumento nazionale e verranno dappertutto per poterla vedere, perfino dall'estero."
E quando vede tre sacerdoti arrestati dai miliziani, seduti su una panchina davanti alla stazione, ne ha pietà:
"Senza i miliziani armati a sorvegliarli, si potrebbe credere che aspettino il treno per partire. Nessuno di loro prega. Hanno un'aria così patetica, che provo rabbia a sentire il mio vecchio nemico, la pietà, e la vergogna di avere sempre pietà mi serra la gola."

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Non c'è un capitolo sulle donne in generale, nel libro, ma vengono evocate secondo le circostanze e nel corso della vita quotidiana al fronte. Le prime ad essere citate sono "alcune donne, qualcuna di loro dall'aspetto bizzarro" che si trovano nella sede del POUM nei primi giorni di guerra. Rapidamente viene a sapere che "sono le ragazze di un bordello qui vicino che sono venute ad arruolarsi nella milizia". Allora emerge disagio e disgusto nei confronti di queste prostitute.
"Mi riportano lontano, e indietro, ad una triste serata di Parigi, nel quartiere della Chapelle, rue de la Charbonnerie: indossavo un impermeabile nero, la mista stanchezza di una dura giornata ed una valigia piena di 'Che fare?', la rivista del nostro gruppo che bisognava distribuire nei chioschi. Venni assalita da un terrore infantile, quando una gigantesca donna bruna cominciò ad avanzare verso di me facendo dei gesti osceni, mi misi a correre come una folle, inseguita a lungo dalle risate di queste donne che nei nostri discorsi anarchici, quando avevo diciott'anni, chiamavamo 'nostre sorelle puttane'. Di fronte a queste sorelle che oggi si rivolgono a noi, non ho un'anima fraterna. Rancore, forse perfino gelosia perché i nostri compagni le ricoprono di riguardi."

Ci sono anche altre che sono fonte di rifiuto: quelle che cercano, a qualsiasi prezzo, di diventare le fidanzate dei miliziani, o le amanti dei capi, al fine di ottenere, per procura, un certo prestigio, un'ascesa sociale, oppure semplicemente salvarsi la vita approfittando della loro femminilità.
Ma c'è "l'Abissina":
"Da dove veniva quest'Abissina che al ritorno dell'ospedale avevo trovato in mezzo a noi? Aveva la pelle di un bruno praticamente nero, degli occhi come carbone e la testa incoronata da trecce nere quanto i suoi occhi, da qui il suo soprannome di "Abissina", e aveva sedici anni - ma ne dimostrava venti. Grande, il petto alto, la tuta blu di miliziana non riusciva a nascondere la sua taglia né a dissimulare la sua camminata bilanciata da figlia dei bassi quartieri di Madrid. Cantava tutto il giorno Ay Mari-Cruz, Mari-Cruz, maravilla de mujer..., passeggiava, abbozzava un passo di danza, abbordava un miliziano, un altro cui faceva sempre la stessa richiesta: 'Mostrami come si smonta un fucile. Lo so caricare, ma non smontarlo, ed un giorno anch'io ne avrò uno..."
Ma anche "Manolita la Fea" (la brutta):
"Sì, Brutta. Faccio parte della colonna Pasionaria, ma preferisco rimanere con voi. Loro non hanno mai voluto dare armi alle ragazze. Vanno bene per i piatti e per il bucato. Ho sentito dire che nella vostra colonna le miliziane hanno gli stessi diritti degli uomini, che non si occupano né di cucina né di lavanderia. Non sono venuta al fronte per crepare con uno strofinaccio in mano. Ho lavato già abbastanza pentole per la rivoluzione!"
Le sue riflessioni sulla sessualità delle altre donne cambiano dopo aver visto tutte le atrocità che una guerra può causare. A Madrid, incontra una donna per strada ed inizia una conversazione:
"Non ho mai fatto molto l'amore qui, mi dice una donna che tiene una grossa gallina legata per una zampa ad una sedia. Questa gallina, ci fa un uovo al giorno. La sera esco a prendere un po' d'aria non appena smettono di cadere le granate. Le ragazze di Madrid vanno in cerca di ragazzi... A questo ritmo, le perdite della guerra verranno ben presto colmate.
E' sempre così in tempo di guerra, le dico affinché non si vergogni delle sue concittadine. La gente vuol vivere velocemente per paura di morire...
"

Dopo le giornate del maggio 1937 a Barcellona e la messa fuorilegge del POUM, Mika viene arrestata dagli stalinisti e rischia di andare incontro alla stessa sorte di molti suoi compagni eliminati dalla Ghepeù. Riesce a sfuggire all'esecuzione sommaria grazie all'intervento di Cipriano Mera.

Dopo la sua liberazione si unirà al gruppo femminista libertario delle Mujeres Libres, parteciperà ai combattimenti fino al giugno del 1938.
Come Mera, alla fine, morirà a Parigi, non prima di aver partecipato al maggio francese.
Ironia della sorte, anche Mera, qualche anno più tardi, sarà a sua volta vittima di altri commissari politici, ma questa volta della CNT in esilio.

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